Dirlo, oggi, sembra qualcosa di preistorico. Il calcio dei Flintstones, ammesso che ancora qualcuno al di sotto dei trenta – magari calcisticamente ammaliato dal giochismo puro e dai suoi profeti – conosca i Flintstones. Tuttavia, se esistessero i Darwin Awards del rettangolo verde, vincerebbe a mani basse la scelta di costringere sempre e costantemente il portiere a giocare il pallone.
Con i piedi.
A distanza di insicurezza dalla porta.
Pressato.
Senza alcun motivo pratico.
I Darwin Awards, black humor allo stato brado, sono i premi cinici e simbolici destinati a chi si è adoperato “per la protezione del patrimonio genetico dell’umanita tramite l’estremo sacrificio di autosopprimersi nella maniera più spettacolare e idiota possibile”, ed è un po’ ciò a cui i portieri spesso vengono costretti dalla new wave. Ieri sera è accaduto a Ionut Andrei Radu, portiere dell’Inter impegnata a Bologna nella sfida bonus per lo scudetto: fallo laterale, palla scaricata indietro a Gagliardini che lascia a Radu che liscia, gol di Sansone a porta vuota. Domenica Meret, portiere del Napoli e della Nazionale, si è trovato a rinviare sui piedi dell’empolese Pinamonti la palla del 2-2, sabato è toccato a Buffon, posizionato oltre il limite dell’area e chiamato in causa da un insensato retropassaggio da centrocampo: liscio anche per lui e rete del Perugia. Scorrendo anche solo gli episodi di questa stagione, e senza andare troppo indietro, se ne trovano diversi (da Szczesny in Udinese-Juventus, ultima italiana di Ronaldo, a Donnarumma contro il Real ai quarti di Champions) con una costante: palloni sanguinosi scaricati sui portieri così come su di essi si scaricano le colpe - “rischio”, “erroraccio”, “papera”: questo dicono scrivani e telecronisti, senza mai chiamare in correo chi dà loro quelle palle - dei gol. Ruolo calcistico infame: già chi sta in porta si deve guardare da difensori incapaci di marcare, da errori di linea e - ma questo è normale - dalle qualità degli avversari, da qualche tempo a questa parte anche dalla dabbenaggine di allenatori e compagni di squadra.
Perché sì, bisogna uscire da dietro anche quando ci sono altre possibilità, perché mandarla avanti è una scommessa, perché è così che si gioca, anche se sarebbe magari opportuno riproporre talvolta un po’ di utile buon senso: dietro al portiere non c’è nessuno, solo la porta, e così oggi si percula Radu come si è perculato Donnarumma (e Meret, e Buffon, e Szczesny e gli altri), dimenticandosi che quasi sempre chi sta dietro ne farebbe volentieri a meno di doversi allontanare dalla porta per attirare gli avversari e creare spazio - per quanto sia controintuitivo, è così - esponendosi così alla possibilità di ciclopiche figure di palta per gestire palloni delicati non tanto per la difficoltà reale quanto per quella contestuale, situazioni ardue anche chi i piedi li ha educati (Allison ed Ederson per fare due nomi), figurarsi per chi quella qualità non ce l’ha semplicemente perché almeno quello dovrebbero saperlo fare meglio gli altri. Il calcio non è il futsal, dove a certi portieri è richiesto di partecipare al gioco in uscita per creare superiorità numerica: banalmente, la porta è sufficientemente larga per consentire a un errore di rivelarsi decisivo al punto che, se è vero che le uscite da dietro hanno un senso eccome, è vero altresì che le situazioni pericolose potenzialmente evitabili sono numerose. Vince però l’onanismo del passaggino a tutti i costi, quello di difensori e centrocampisti di poca scienza e troppa fede in ciò che gli allenatori dicono.
Viene in mente un vecchio pezzo di Latte & i suoi derivati, Lillo e Greg insomma. Il ballo dell’estate, s’intitola, e si conclude così:
“Ma tu fai tutto quello che te dico?”
“Sì, m’adeguo ai tempi”
“Vabbè, t’adegui ai tempi, ma se te dico de buttarti ar fiume che fai?”
“Certo sarebbe a rischio…”
“Lillo?”
“Eh?”
“Buttate ar fiume!”
(Splash)
Ma sì, dai, datela al portiere…