6 luglio 2008, Wimbledon, Roger Federer e Rafael Nadal, rispettivamente numero 1 e 2 del mondo stanno per giocare la terza finale consecutiva a Londra, lo svizzero ha vinto le precedenti due, un mese prima però, al Roland Garros, il maiorchino ha trionfato, lasciando, sempre in finale, solamente 4 game al suo rivale; niente di nuovo, è il quarto anno di fila che Nadal si presenta a Wimbledon dopo aver battuto Federer al Roland Garros, per la prima volta però c’è la sensazione che qualcosa stia cambiando, la distanza sull’erba tra i due si è ridotta notevolmente e questa potrebbe essere, per Rafa, l’occasione buona.
I due giocatori non potrebbero essere più diversi, Federer si presenta sul campo centrale con un maglioncino bianco, rifinito in oro, da cui esce il colletto della polo che indossa sotto, sembra pronto per andare a cena fuori, quello è il suo giardino, la camminata e lo sguardo sono quelli del Re che va a salutare il suo popolo. Nadal invece indossa la parte superiore della tuta, i pantaloncini sono lunghi, stile pinocchietto, le ginocchia sono fasciate, lo sguardo determinato, la camminata è pesante, sotto alla tuta c’è una canottiera, che mette risalto i suoi muscoli. Non è solo lo scontro tra i due migliori giocatori del mondo, ma anche tra due modi di intendere il tennis, nessuno esprime l’eleganza di questo sport come Federer, nessuno la sua forza bruta come Nadal.
È stata una partita spartiacque per la loro rivalità, Nadal era chiaramente il miglior giocatore tra i due sulla terra rossa, ma non aveva ancora dimostrato (se non sporadicamente) di poter battere Federer anche sulle altre superfici; quel giorno, con quella vittoria 9-7 al quinto, Nadal entrò definitivamente nella testa del suo rivale, rimanendo lì per 9 anni, ovvero fino a quando, grazie all’aiuto di Ljubicic, Federer trovò, a ormai 36 anni, delle contromisure valide per battere con continuità il maiorchino (dal 2017 in poi Federer ha vinto 6 dei 7 incontri disputati). È stata una vittoria fondamentale anche per la carriera dello spagnolo, a 22 anni aveva appena dimostrato di poter essere un campione anche fuori dalla terra rossa, nel giro di due stagioni avrebbe vinto anche gli Australian Open e gli US Open, mettendo in bacheca, a 24 anni, tutti e quattro i titoli dello Slam.
Partire da quella finale è necessario se si vuole parlare di Nadal, è impossibile raccontarlo senza contrapporlo a Federer (e viceversa), lo spagnolo sembrava essere stato creato in laboratorio per diventare l’antitesi del Re, erano così diversi da completarsi a vicenda, guardandoli da fuori prima di entrare in campo, non sembrava neanche che stessero andando a fare la stessa cosa, a giocare al solito sport. Nadal ha reso Federer più grande di quanto fosse da solo e viceversa lo svizzero ha spinto il rivale a superare i propri limiti fuori dalla terra rossa, portandolo a scrivere la propria storia, non più da antagonista del Re, ma da successore al trono.
Quando lo spagnolo è arrivato nel circuito, vent’anni fa, nessuno aveva mai visto prima un giocatore del genere su un campo da tennis, muscoli d’acciaio, colpi con rotazioni esasperate, corse e resistenza da maratoneta; con il tempo, e i tantissimi infortuni fisici che ha subito, le sue caratteristiche sono cambiate, il servizio è diventato molto più incisivo, il diritto una forza inarrestabile, il rovescio molto più solido e anche il piano tattico di ogni partita si è fatto incredibilmente sofisticato. Nadal si è trasformato in uno studente del gioco, un tennista celebrale, strategico, la sua grandezza è stata quella di capire come modificare il suo tennis al tempo che passava, diventando, inaspettatamente viste le premesse di inizio carriera, un giocatore molto longevo, capace di vincere ben 8 slam dopo i 30 anni.
C’è una cosa però che non è mai cambiata durante tutta la carriera: la sua forza mentale. Nadal rifiuta la sconfitta, non gli serve essere il miglior giocatore in campo, quello che colpisce meglio e neanche il meno stanco, gli basta arrendersi dopo che lo faccia il suo avversario, con lui abbiamo imparato come la frase, spesso abusata nello sport, “non è finita fino a che non è finita” sia vera; contro lo spagnolo non è finita fino a che non viene a stringerti la mano a rete, per batterlo devi vincere tutti i punti che ti servivano, sapendo che dall’altra parte del campo, lui non ti regalerà nulla. È frustrante giocare contro Nadal, sapere di aver bisogno di quello sforzo extra, che contro gli altri giocatori non serve, può mandarti fuori di testa.
È difficile trovare una particolare eredità dal punto divista tecnico, nessuno può giocare come fa lui, quelle rotazioni, quella forza, sono sprigionate da un fisico come mai si era visto e che difficilmente rivedremo, una combinazione di potenza e leggerezza nei movimenti unica, che prima di vederla nella realtà ci sembrava possibile solo immaginata dalle menti dei creatori di Dragon Ball, One Piece o Naruto.
Il lato più incredibile di Nadal però, è emerso nella parte finale della sua carriera, la sua capacità di tornare da ogni infortunio, sempre più grave, e ricominciare a vincere come se nulla fosse, nonostante un corpo ormai in netto decadimento; nel 2022, di ritorno dopo l’ennesimo infortunio, ha vinto gli Australian Open rimontando due set in finale a Daniil Medvedev, poi ha vinto, con un piede addormentato, il Roland Garros e infine, a Wimbledon, si è dovuto ritirare prima di poter giocare la semifinale, per un infortunio agli addominali. In quel periodo abbiamo capito quanto sia brutale il tennis, accecati dall’eleganza senza affanni di Federer e dalla freddezza robotica di Djokovic, attraverso gli sforzi di Nadal ci siamo ricordati di quanto questo sport sia estremo. Vedere un fisico scultoreo, come quello dello spagnolo a inizio carriera, scomporsi piano piano in mille infortuni e problemi, ci ha detto quanto lo sport professionistico sia carico di dolore, e prima di Nadal, almeno nel tennis, nessuno aveva portato così tanto alla luce del sole questo aspetto.
L’eredità che lascerà quando appenderà le racchette al chiodo sarà proprio questa: la forza di trovare sempre un modo di vincere, di andare oltre la sofferenza, di dimenticarsi il dolore per concentrarsi sul risultato finale. Sono concetti che vengono spesso tirati fuori nel mondo dello sport, spesso a sproposito, ma questo è uno dei rarissimi casi dove non sono parole al vento, Nadal davvero ritrova sé stesso nella fatica, nel dolore e nel non mollare mai.
Gli obiettivi, in quella che sarà probabilmente l’ultima stagione della sua carriera (ha dichiarato che annuncerà la sua decisione prima del Roland Garros), sono il Roland Garros e le Olimpiadi, che si giocheranno sempre a Parigi; difficile dire se siano raggiungibili o meno, sicuramente se c’è un giocatore che può realizzare tale impresa, quello è senza dubbio lui, Rafa Nadal.