“Lo sapete, non mi piacciono le parole, però ho un po' di cose da dirvi” – debutta Rafa Nadal davanti ai microfoni di una conferenza stampa speciale. Il suo inglese ormai è pulito, corretto, elegante. Sono lontani i tempi di quell’accento più maiorchino che british, con cui Nadal – in canotta e pinocchietti macchiati di rosso - scatenava la risata burlona di Federer e le smorfie di chi, con un cappello di paglia in testa, non accettava che il tennis venisse contaminato da un tale impeto selvaggio. Ora Nadal indossa una polo grigia, personalizzata, con il suo logo (le corna di un toro). Adesso Rafa lo amano tutti, persino gli impagliati.
Annuncia che quest’anno non potrà difendere il quattordicesimo titolo del Roland Garros, che la stagione sulla terra rossa – quindi – la salterà tutta. Non vedremo Rafa Nadal sul suo terreno di conquista, quella superficie al di sopra della quale il classe 1986 di Manacor ha sfiorato la dimensione dell’invincibilità, spremendo le meningi degli avversari come un rullo compressore su fondo dissestato. Terra rossa, umida e compatta, che ricopre i campi di Monte Carlo, Barcellona, Madrid, Roma, Parigi. Città dove Rafa ha trionfato 52 volte in carriera, su 92 tornei vinti nel circuito ATP. Stadi in cui Nadal ha battuto qualsiasi rivale, più volte, in qualsiasi stagione; costruendo la propria leggenda. Quest’anno non ci sarà, la delusione è palpabile, evidente, e porta il maiorchino a prendere una decisione netta: “Ho bisogno di una pausa, il mio fisico me lo chiede da tempo. Non mi allenerò per i prossimi mesi. Quest’ultimo anno è stato difficilissimo, frustrante; i risultati non sono stati di livello nonostante io abbia continuato a sforzarmi per mantenere una certa continuità, per restare nel tour. Sono una persona positiva, ma non sono un illuso, e mi viene difficile pensare che uno che ha avuto una deriva fisica negativa come l’ho avuta io nell’ultimo anno possa improvvisamente rientrare e stare perfettamente. Il mio obiettivo è quello di fermarmi per avere un'ultima chance di divertirmi e dire addio, sul campo, ai tornei più importanti della mia carriera”. Rafa dice le cose come stanno, con lucidità e toni pacati. Prima in inglese, poi in spagnolo, alla fine in catalano. Parla a qualche centimetro di distanza da un microfono della sala de prensa della Rafa Nadal Tennis Academy. Lì dove giovani talenti hanno a disposizione 43 campi da tennis e due da calcio per trasformare la propria passione in un mestiere. Lì dove Rafa Nadal, pochi giorni fa, veniva ripreso dalla telecamera indiscreta di un tifoso. Un video di una ventina di secondi; sembra una canonica sessione di allenamento di Nadal, nell’estremo tentativo di ritrovare la forma in ottica Roland Garros. O forse no. Perché improvvisamente il maiorchino smette di palleggiare, si ferma. La testa china, il viso sofferente. Rafa Nadal è piegato in due.
Tutto è cominciato un anno fa, durante la finale di Indian Wells contro Taylor Fritz. Rafa sente pungere il petto, si tocca più volte. Combatte, perde, ma porta a termine il match. Scoprirà di aver giocato con una frattura da stress alle costole. Tre mesi più tardi e a Wimbledon, quarti di finale, Nadal si prende la rivincita ai danni del nemico Fritz. Trionfa al quinto set nonostante un medical time out per una lesione di sette millimetri agli addominali, che lo costringe a rinunciare alla successiva semifinale. Agli Us Open, agosto, Rafa appare sottotono, ma viene comunque eliminato dopo una maratona di tre ore dal rampante Frances Tiafoe, 25enne dalla palla pesante che nell’umidità di New York gioca in casa. È dalla partita di doppio del mese successivo alla Laver Cup, per l’addio di Roger, che Rafa non sembra più Rafa. L’avevamo detto che insieme a Federer, dal campo da tennis, se ne sarebbe andata anche una parte di Nadal. Il maiorchino, sul cemento nero della O2 di Londra, piange a dirotto, come se di riflesso vedesse la propria carriera improvvisamente vicina al traguardo. Dieci giorni più tardi e nasce Rafael, primo figlio di Nadal, che alza al cielo il congedo di paternità e rientra in campo a Bercy, cinque settimane dopo. Rafa, da novembre 2022 a gennaio 2023, gioca appena sei partite. Ne perde quattro. Mai così male. Al secondo turno degli Australian Open Mackenzie McDonald lo elimina in poco più di due ore. È, ad oggi, l’ultima partita ATP di Rafa Nadal, che lascia Melbourne con una lesione di secondo grado all’ileopsoas.
Rivedremo Rafa Nadal sul campo da tennis solo se sarà convinto di potersi ancora divertire. Il divertimento, per Rafa, è un concetto semplice, dai contorni umili. Significa essere in possesso della più minima possibilità di vittoria, quella percentuale infinitesimale per cui, comunque, conviene lottare, stringere i denti, giorno dopo giorno, punto su punto. Divertirsi, per Nadal, vuol dire sostenere una sessione di ripping balls (strappare palle, picchiare dritti e rovesci) senza avere paura di un ulteriore stiramento, dell’ennesima sofferenza, del centesimo percorso di recupero di una carriera infinita. Colpire palline gialle al centro del piatto corde, con intensità ed effetto sempre crescenti, mentre ruggiti cupi avvolgono l’aria, silenziando voci, versi, iniziative dell’ambiente circostante. Ad ogni botta la racchetta trasmette scosse di endorfina che, dal polso, si propagano lungo tutto il braccio, fino ad arrivare al cervello, dove vengono rielaborate sotto forma di timidi ghigni di soddisfazione. Divertirsi, per Rafa, significa scendere in campo e non parlare con nessuno, nemmeno con se stesso. Vuol dire abbandonarsi ad una concentrazione assoluta, immacolata, quasi mistica, all’interno della quale Nadal deve poter sistemare asciugamani e bottigliette d’acqua nella posizione che preferisce, completare una serie di gesti scaramantici prima di ciascun turno di servizio. È cura maniacale del gioco, della professione, che svanisce non appena il giudice di sedia pronuncia “Game, Set, Match” e Rafa si lascia andare ad un tuffo felice sulla terra rossa, dal quale si rialza sporco e umano. Nadal non tornerà sul campo da tennis senza la convinzione di poter provare una di queste sensazioni. Non andrà in giro per il mondo, con una moglie e un bambino piccolo a casa, senza credere nel successo. Perché Rafa non è fatto per i convenevoli, per i discorsi d’addio, che in un eventuale farewell tour lungo dodici mesi diventerebbero anche stucchevoli. “Non mi piacciono le parole” – l’ha confermato, lui che in carriera non ne ha mai detta una di troppo. Nel 2024 sarà fuori dai primi cento del ranking: gli organizzatori dei tornei dovranno invitarlo, concedergli una wild card, per non farlo passare attraverso le qualificazioni. “Penso di essermi meritato le lettere d’invito” – sorride Nadal. Sì Rafa, eccome se te le sei meritate. Così come non meriti di dire addio in un’asettica sala conferenze di Maiorca. Meriti un’altra parola, una sola, l’ultima. Vamos. Vogliamo che rimbombi in cielo.