Nei video pubblicati su Instagram per annunciare il grande ritorno sulla scena, Rafa Nadal ripete frequentemente la parola ilusión. In italiano si traduce con entusiasmo, speranza o – appunto – illusione. Rafa la butta lì come se fosse una spolverata di magia in mezzo a ragionamenti più seriosi. Ogni volta – se ne contano almeno quattro – in cui Nadal pronuncia ilusión, la sua espressione tradisce un timido sorriso. “Spero di tornare a sentire quella tensione, quella illusione, quella paura, quei dubbi” – racconta, prima di scavare più in profondità nelle sue sensazioni: “Spero…spero realmente di non aspettarmi niente da me stesso. Vorrei saper accettare che le cose in un primo momento possano andare male, e la probabilità è alta. Vorrei essere capace di non pretendere sempre il massimo da me stesso, sapendo che ci può essere un futuro in cui le cose possono cambiare se mantengo l’illusione”. E poi ancora: “In molti momenti ho pensato che non avrei più giocato, ci sono state molte ore di allenamento dopo l’operazione in cui non ho visto risultati. Ma come ho detto nell’ultimo incontro coi giornalisti nella scorsa primavera, non credo di meritare che la mia carriera finisca in una sala stampa. Vorrei finire in un altro modo, e in ogni momento, anche in quelli più negativi, ho sempre mantenuto l’illusione affinché questo avvenga”.
It’s just an illusion, in all this confusion. È solo un’illusione in tutta questa confusione. Il Tennis di Nadal potrebbe grossolanamente essere riassunto con il ritornello degli Imagination, che tra gli anni ’80 e ’90 volavano in discoteca. Al di fuori dello scambio, Rafa vede solo caos. Per questo sistema bottigliette, asciugamani e racchette di riserva con cura maniacale. Per questo a ridosso del servizio esegue una liturgia precisa, fatta di strofinamenti, lisciate e altri gesti, che negli anni si sono solamente accentuati. Poi Rafa come d’incanto getta via il copione, spezza le catene: detta il ritmo a suon di grugniti sparati nell’aria, con le labbra che si piegano in segno di sforzo estremo e poi si deformano nuovamente, per sganciare il peso di un’esultanza. Per Nadal giocare a tennis è una liberazione, una soddisfazione che si concretizza e cresce ad ogni colpo. Lo immagini mentre si sposta verso destra, quasi a formare una mezzaluna, per liberare il suo dritto mancino carico di spin e spalancarsi il campo (il rovescio va adoperato solo quando necessario). L’apertura è ampia, tale da creare un’attesa, un barlume di quiete. È un attimo, dopodiché Rafa scopre il bicipite, digrigna i denti e decomprime la pallina con un gancio così violento da stendere chi sta dall’altra parte della rete. Nel rettangolo di gioco, Rafa fa pulizia. Non senza entusiasmo, non senza una logica, un preciso ordine tattico. Nel Tennis Rafa cerca costantemente la sua ilusión, la sua idea di un mondo migliore. Spesso la trova.
Sui social lo abbiamo visto allenarsi per una settimana in Kuwait in compagnia Arthur Fils, poi nella sua Academy di Maiorca, con Richard Gasquet ed Emil Ruusuvuori nelle vesti di sparring partners. L’intensità, dal poco che si intuisce, è promettente. Rafa, dopo un anno di assenza dal circuito, dopo l’ennesima operazione (l’ultima, a giugno, all’anca), torna. Rientra questo weekend a Brisbane, per ritrovare il ritmo partita in ottica Australian Open. Sul tabellone, accanto a Rafael Nadal, c’è scritto wildcard. Sotto al suo nome, nelle pagine del ranking ATP, due cifre: 37 anni e rotti, 672esima posizione. L’ultimo grande ritorno del maiorchino somiglia per certi versi a quello di Federer nel 2021. Come Rafa, anche Roger ripartì da un torneo duecinquanta (Doha), alla soglia dei quarant’anni, con un ranking che senza Covid sarebbe stato in caduta libera, con mille dubbi sulla tenuta fisica, con la voglia matta di divertire e divertirsi nell’ultimo giro di giostra, mettendo in conto eventuali figuracce. Federer mostrò al mondo ampi scorci del suo talento intatto ed irripetibile, ma faticò ad esprimerlo sempre, per tre ore al giorno, tutti i giorni. In cinque mesi giocò tredici partite, quattro sconfitte e nove vittorie. Rafa, che da Roger ha ereditato il testimone, che ovunque andrà avrà il pubblico dalla sua parte, spera vada diversamente.
Spera, Nadal spera. Quasi si contraddice, prima del suo ritorno. Non si aspetta nulla, ma cerca l’ilusión: “Nella mia testa ci sono molte possibilità che questo sia il mio ultimo anno, ma non ne sono sicuro al 100%, non so cosa potrà accadere, quindi perché porsi un limite?”. La meraviglia è qui, nelle parole di Rafa, un papà che dopo ventidue titoli del Grande Slam ha i dubbi, le paure, le speranze di un bambino. Impazziamo per lo sport perché lì la nostra mente può riscoprirsi ancora infantile, immatura, inaspettatamente giovane. Nello sport possiamo illuderci senza rischiare danni irreparabili, possiamo credere nelle eventualità più remote, credere di essere ancora belli come vent’anni fa, mentre tentiamo di riportare in auge la miglior versione di noi stessi nonostante la fatica, il dolore, e i segni del tempo sulla pelle. Crediamo in un’ultima sfida con Djokovic, nell’ennesima cavalcata trionfale al Roland Garros, in qualche colpo da maestro che lasci impietriti Alcaraz, Medvedev, Sinner. Sogniamo, ci illudiamo, continueremo a farlo finché ce n’è. Restiamo vivi, fino all’ultimo punto, senza abbassare il capo. È amor proprio, ostinazione, passione per ciò che si fa. Tutte cose che ci ha insegnato Rafa Nadal, con il suo modo di stare in campo. Lì dove vorremmo restasse per sempre.