È risaputo che, a volte, i giornalisti “condiscono” le vicende narrate con un pizzico di fantasia o, se vogliamo dargli qualche attenuante generica, con stile “letterario”. Ma è ben diverso dal riportare dichiarazioni mai raccolte o descrivere situazioni e luoghi che non esistono solo per il gusto dello scoop.
Questa seconda ipotesi è alla base della segnalazione del giornalista Riccardo Romani che, nello specifico, pone la lente di ingrandimento sugli articoli di un altro autorevole collega come Maurizio Crosetti di Repubblica che, da inviato a Buenos Aires, sembrerebbe aver arricchito un po' troppo i suoi pezzi con alcuni episodi inesistenti legati alla morte di Maradona.
In un lungo posto, che trovate di seguito, tutte le “bufale” che l’inviato avrebbe scritto.
Riccardo Romani è un reporter e scrittore che narra storie da oltre vent'anni. Dopo Milano, New York, Buenos Aires e Roma, oggi vive a Londra dove lavora per SkyTG24. I suoi reportage sono stati pubblicati in tutto il mondo.
Il post di Riccardo Romani
Non è una crociata contro Repubblica, un quotidiano in cui lavorano eccellenti giornalisti. E’ piuttosto la constatazione di come il giornalismo abbia smarrito il suo valore più prezioso, l’etica. Si chiama Maurizio Crosetti, è un inviato di punta del giornale e sulla vicenda della morte di Maradona ha prodotto pezzi suggestivi, anche belli, ma quasi totalmente fabbricati. Che si cerchi a ogni condizione il sensazionalismo sul cadavere del più grande giocatore di sempre, è disgustoso.
I fatti. Repubblica comincia col pubblicare un reportage esclusivo in cui Crosetti racconta di essere entrato di soppiatto nel cimitero in cui riposa Maradona per depositare una rosa sulla tomba. Richiamo in prima pagina. Senza dubbio fa effetto. E’ l’unico giornalista al mondo riuscito nell’impresa. Peccato l’evento sia accaduto nella sua fantasia.
(Di seguito trovate la foto scattata più da vicino alla tomba).
Naturalmente prima di scrivere questo post abbiamo ottenuto conferma dall’ufficio di Sergio Berni, Ministro per la Sicurezza della Provincia di Buenos Aires: nessun giornalista ha avuto accesso al cimitero, presidiato da quasi 400 agenti, privati e pubblici. Neppure certi parenti lontani di Maradona hanno avuto accesso. Il racconto del giornalista italiano che imbonisce il “custode” per ottenere di entrare oltre che infantile, è ridicolo (nessuna foto del giornalista sul suo approccio al cimitero o sul tassista che ce l’ha portato schivando posti di blocco, è stata prodotta).
Di seguito Repubblica decide di pubblicare un’intervista – esclusiva – a Cesàr Luis Menotti, grande allenatore e amico di Diego. Crosetti pubblica una foto con Menotti su twitter, presa probabilmente nel bar dove è risaputo Luis Cesàr si fa vedere ogni giorno. Ma una cosa è fare un selfie, o magari conoscerlo dai tempi in cui allenò la Sampdoria, ben altra realizzare un’intervista di cento righe. E quando leggi “esclusivo”, dubita.
E infatti, la persona che cura la redazione dei pezzi e la gestione interviste per conto di Menotti ci conferma con un messaggio vocale di cui siamo in possesso che Menotti non ha rilasciato nessuna intervista a proposito di Diego. E’ stata con lui per tutto il tempo, incontrando molte persone (tra cui suppongo anche il “nostro”). Ma era troppo scosso e triste per rilasciare interviste. Lo ha detto pubblicamente.
Deve aver fatto un’eccezione per i lettori di Repubblica. Può darsi. Se non fosse che quando i giornalisti argentini (e italiani) lasciati senza intervista hanno saputo che Menotti aveva “parlato” con un italiano, si sono arrabbiati con la persona delle pubbliche relazioni che ha ribadito l’impossibilità che potesse essere accaduto.
La cialtroneria e l’approssimazione non si fermano qui. In un reportage del 20 dicembre, Crosetti racconta della sua visita alla vecchia casa-museo di Maradona nel quartiere Paternal, dichiarando di aver sganciato 50 dollari a “una specie di custode” per convincerlo a farlo entrare a dispetto dei divieti per il Covid. Descrive la casa, spiega che all’ingresso campeggia il murale di Diego.
Ebbene, questi i fatti. Cesar Perez, figlio di Alberto, un distinto 80enne ed ex tesoriere dell’Argentinos Junior (la prima squadra di Maradona) oggi ha il compito di curare proprio la casa-museo. E’ lui quello che Crosetti definisce una specie di “guardiano”?
Cesar Perez asserisce di non aver mai ricevuto nessuno con quel nome o di averlo mai visto, una volta osservata la foto. Insomma, nessuno di Repubblica ha chiesto di entrare. Cesar Perez ha invece sì fatto entrare senza problemi giornalisti Rai e Sky. Il murale di Maradona all’ingresso? Non esiste. Mai esistito. Al giornalista sarebbe bastata una visita su google map per verificalo. Ma già, lui era Buenos Aires…
Tralascio infine le “rivelazioni” con tanto di virgolettati, di quanto scritto dai procuratori sulla causa relativa alla morte, come se con loro avesse un filo diretto. Se fosse, sarebbe l’unico giornalista al mondo. Anche perché la causa non è stata ancora formalmente presentata.
Quel che resta è lo stupore per l’arroganza con cui un cosiddetto inviato, possa credere di scrivere ad un pubblico di cretini totali e possa pensare di passarla liscia grazie alla bella scrittura e ad evocazioni emozionanti costruite – sospetto - a tavolino in una comoda camera d’albergo. Non credo che questo sia un caso isolato, e ciò spiega l’ormai disarmante sfiducia del pubblico rispetto ai media. Perché se tu hai abbastanza fegato per mentirmi sulla bara di Maradona, come faccio a crederti quanto mi parli di virus e vaccini?
PS Ho fatto commenti e rivolto domande al diretto interessato sul suo profilo twitter. Risultato? Mi ha bloccato e assieme a me, la sua coscienza.
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