A Barcellona l’ha messa di traverso in ogni modo, chiudendo la giornata di test con il record della pista e dimostrando ancora una volta a tutti che lui, Nicolò Bulega, starà lì a giocarsi il mondiale. Doveva essere solo il compagno di squadra di Alvaro Bautista, ma ora è assolutamente evidente che sarà il suo primo avversario. La vita di Nicolò Bulega, almeno quella sportiva, è tutto un “doveva essere” e probabilmente è ancora così, visto che da dimostrare c’è praticamente ancora tutto. Tranne una cosa e cioè che Anais Nin aveva ragione da vendere quando affermava che quello che chiamiamo destino è in realtà il nostro essere più intimo e che quel nostro essere più intimo può cambiare in ogni momento.
Bollato sempre. Bollato dalla nascita. Perché doveva diventare un campione prima ancora di imparare a tenersi sulle motociclette e perché quella promessa per un po’ l’ha pure mantenuta. Bollato poi, quando vinceva con il 46 sul cupolino e giù tutti a dirgli d’essere il nuovo Valentino Rossi. Anche quando Valentino Rossi, quello vero, l’ha preso nella sua Academy per farlo crescere di più e meglio. Bollato, Nicolò, anche dal ragazzo che era, magari vivendo da campione, o sentendosi tale, quando campione doveva ancora diventarlo, tra auto veloci guidate troppo presto, orologi ostentati e un’aria spavalda che probabilmente nascondeva solo una sofferenza. Col risultato di finire bollato. Bollato come uno “che è bravo ma non si impegna”, bollato come un ragazzo che, pur non facendo assolutamente niente di male o di contrario al buon vivere, aveva avuto la colpa di non saper capitalizzare le opportunità che la vita gli aveva messo davanti. Bollato, insomma, come si bolla uno che ormai è perso.
Fuori – anche per colpa, sia inteso – dai giri che contavano in tempo zero e dentro, piuttosto, a un vortice di sensazioni che ha distrutto tante promesse fino a portarle alla devastazione personale o che, proprio come nel caso del ducatista, hanno reso evidente la necessità di una resurrezione. Solo che è dalla terra e dalla polvere che si risorge, su terreni in cui è più facile che le cose vadano storte e il talento diventa quello di saper andare di traverso per arrivare lo stesso là dove gli altri arrivano andando dritti. E dove avrebbe potuto arrivare anche lui se fosse andata diversamente. Un’altra opportunità, magari proprio per terra, c’è per tutti e c’è stata anche per lui. Ha avuto le forme, pazzesche, di una Ducati V2 e di un campionato in cui a fare i grandi erano quelli che lui da ragazzino sorpassava e basta, senza vederli per niente. Avversari di una volta che – è umano anche questo – l’avranno poi guardato come si guarda uno che la fortuna non ha saputo capitalizzarla. Come si guarda un principe biondo buttato in mezzo agli operai. Quel principe, però, le mani ha deciso di sporcarsele e forse proprio il peso tolto di una corona messa in testa troppo presto ha permesso quella leggerezza che è condizione necessaria della velocità. E per capire che “bollato” non è una condanna come è condanna “bollito”.
Ok, la fortuna gli è andata incontro di nuovo. Questa volta, però, non ha trovato un ragazzino ma un uomo che non si chiedeva più – probabilmente perché non lo sapeva neanche più – se essere principe o operaio. Con l’unica certezza che sta in una dichiarazione di qualche tempo fa che oggi suona di profezia: “Io non so più niente. Ho odiato questo mondo, ho odiato le corse, ma ogni volta che ci penso a fondo e mi indago dentro scopro che le moto sono tutta la mia vita”. E’ ripartito da lì, da quell’amore, e non ha piegato il destino. Perché il destino, ammesso che ci sia, non si piega, ma ha adeguato il futuro alla sua storia, a tutto quello che ha imparato, magari scoprendo che ce ne è ancora. Ancora e oltre. Trasformando un passato che poteva essere “da fallito” in ricchezza autentica e consapevolezza che la fame, quella sportiva, non è solo malessere e dovere. Ma anche, e soprattutto, gusto di soddisfarla. Pur sapendo che non basterà mai. Ma con una certezza nuova: anche quando va di traverso c’è ancora del margine e magari proprio quell’andare di traverso diventa la ricchezza in più. S’è visto anche in queste giornate di test della Superbike a Barcellona, con l’italiano che ha voluto stare davanti a tutti i costi. E non s’è accontentato di avere feedback buoni dalla sua moto, come magari hanno fatto molti degli altri candidati al titolo. Perché la sfida vera, questa volta, non è battere gli altri, ma migliorarsi ancora. Ancora e oltre. Anche attraverso un record della pista, anche fermando il cronometro dove non l’ha fermato mai nessuno. Scoprendo che le bollature che aiutano di più sono probabilmente quelle che fanno più male sull’immediato, mentre le altre, quelle che glorificano in fretta, hanno il sapore del miele sul momento, ma poi fanno l’effetto di un veleno. “Sono stato veloce – ha detto dopo il test di Barcellona – Sono molto contento di essere stato veloce anche qui, perché le condizioni sono totalmente opposte rispetto all’Australia. Potrò stare sempre davanti? Non lo so e per ora non mi interessa”. L’ha detto proprio Bulega, dopo aver chiuso con un tempo pazzesco la giornata in pista e in queste poche parole c’è probabilmente la vera lezione di chi ha imparato una lezione: dare tutto, darlo adesso, senza bollarsi e senza farsi toccare dalle bollature. Vincere, se arriverà, sarà solo conseguenza di un cambiamento personale e il destino e l’essere un predestinato non c’entrano assolutamente niente.