La gara di Marc Marquez è finita a poche curve dall’inizio quando Jorge Martin - con cui l’8 volte iridato dovrà tornare a fare i conti in futuro - è entrato con un sorpasso duro abbastanza da convincere il fuoriclasse di HRC ad organizzare una risposta. Risposta che, manco a dirlo, è arrivata qualche curva più tardi con una manovra (nel cross si chiama block pass) che Marc ha reso un marchio di fabbrica. Ci si affianca all’interno della traiettoria, si rialza leggermente la moto e ci si appoggia all’avversario di turno che ha (quando va bene) due possibilità: cadere o finire largo. A questo va aggiunto che, in una MotoGP in cui i primi dieci girano con lo stesso passo, finire larghi è quasi come cadere.
Solo che stavolta la velocità era troppa, l’impatto è stato più violento del previsto e sono caduti entrambi. Un peccato, perché Martin aveva dimostrato di essere veloce e Marquez altrettanto. Nel motorsport faceva così, seppur in modo diverso, anche sua maestà Ayrton Senna: in estrema sintesi lasciava scegliere agli avversari se farsi passare o schiantarsi assieme a lui. E gli avversari, una volta digerita l’esperienza, preferivano lasciarlo passare.
Nella Formula 1 di allora però, così come nel motomondiale, le cose si risolvevano nel paddock a moto ferme. Cazzotti, testate, spintoni, insulti. Ora a telecamere accese regna una sorta di omertà collettiva che spinge i piloti a dire “così sono le corse” anche quando la storia è un po’ diversa. Ed è un peccato, perché le corse sono anche sangue e istinto che così finisce represso per mettere la proverbiale toppa peggiore del buco.
A questo poi si aggiunge la consueta latitanza della Direzione Gara che, ancora una volta, si è girata dall'altra parte. Un incidente al primo giro che ad essere buoni è un grave errore di valutazione andrebbe sanzionato. Perché può succedere all’ultima curva dopo una decina di sorpassi, ma un’entrata simile gridando vendetta è un’altra cosa e Marc se n’è assunto la piena responsabilità. Eppure allo Stewards Panel lo sanno bene e, sempre più spesso, sanzionano i piloti di Moto3 e Moto2 per manovre di gran lunga più innocenti. Se per la Direzione Gara è importante “inquadrare i giovani fin da subito” fare in modo che “i grandi diano il buon esempio” dovrebbe essere fondamentale.
A Marc Marquez, tuttavia, si è sempre riservato un trattamento d’eccezione. Come in Argentina nel 2018, quando gli si spense clamorosamente la moto in griglia di partenza (con conseguenti infrazioni) o in tante altre occasioni in cui gli Dorna ha chiuso gli occhi per aiutare il fenomeno a spiccare sul gruppo. Anche il suo approdo in MotoGP è frutto di un cambio regolamentare, perché venne rivista la regola del rookie che fino all’anno precedente impediva ad un debuttante di salire su di una moto ufficiale. Il problema è che, ad uno come Marc Marquez, non serve regalare nulla. Il talento eccezionale c’è sempre stato, la fame anche. La testa del fuoriclasse figuriamoci. Così invece si finisce per ridimensionare (anche soltanto in parte) un talento formidabile. Il quale, almeno fino al 2019, non aveva certo bisogno di sconti e i suoi otto titoli mondiali li avrebbe vinti comunque. Per gli avversari questo trattamento è come uno dei suoi sorpassi: ci hanno fatto l’abitudine e non provano nemmeno ad entrare nella polemica. Per gli appassionati invece piove sul bagnato. E non è acqua.