È fortissimo, Lamine Yamal. Lo è da almeno due stagioni, con in mezzo un Europeo vinto in maniera dominante con la sua Spagna, mentre adesso con il Barcellona sta puntando all’accoppiata campionato più Champions League, con 15 gol complessivi messi a referto nell’annata. Ah sì: se non lo sapete parliamo di un ragazzo che diventerà maggiorenne a metà luglio.
Viene legittimo chiedersi, alla luce delle ultime circostanze del calcio italiano, che ne sarebbe stato di un simile talento se fosse nato nel nostro paese. A un primo sguardo, il dubbio è più che legittimo: qui da noi il calcio (e non solo, a ben vedere) ha un rapporto coi giovani a dir poco complicato. Spesso tifosi ed esperti rinfacciano ad allenatori e dirigenti dei club di non dare abbastanza fiducia agli atleti sotto i 23 anni, con la conseguenza di ritrovarsi a considerare “giovani” dei 25enni che, all’estero, sarebbe già valutati come sportivi pienamente maturi e, di solito, ben affermati.

Gli esempi non mancano. Tra gli attaccanti “emergenti” della Serie A c’è Lorenzo Lucca, che spegnerà 25 candeline il prossimo settembre, mentre il classe 2005 Francesco Pio Esposito, di proprietà dell’Inter e che oggi sta facendo faville allo Spezia, conta ancora 0 minuti in Serie A. Nel 2023 la squadra azzurra raggiungeva una straordinaria finale del Mondiale U20, ma di quei giocatori oggi appena quattro sono titolari in club della massima serie: Ghilardi (Verona), Casadei (Torino), Pisilli e Baldanzi (Roma). Simone Pafundi, considerato una delle maggiori promesse del calcio italiano - Mancini lo fece debuttare in Nazionale maggiore appena 16enne, nel novembre 2022 - quest’anno ha totalizzato solamente 92 minuti in Serie A con l’Udinese, ma spezzettati in 8 partite.
Ma andando un po’ più in profondità si scopre che forse il problema è più complesso di quanto non si direbbe. In Italia senza dubbio si usa molta cautela nei confronti dei giovani, ma dovrebbe essere legittimo domandarsi se i nostri talenti siano così forti come pensiamo. Francesco Camarda, promettente attaccante del Milan classe 2008 ed esordiente più giovane della storia della Serie A, ha dimostrato di non essere ancora al livello richiesto dalla prima divisione, e pure in Serie C con la seconda squadra rossonera ha fatto giusto benino (5 gol in 18 partite). Cesare Casadei, miglior giocatore del Mondiale U20 del 2023 e strappato dal Chelsea all’Inter per 15 milioni quando aveva solo 19 anni, ha faticato a trovare spazio perfino nella seconda divisione inglese, in un contesto dove sicuramente c’è attenzione verso i ragazzi della sua età.

Allora forse il punto non è chiedersi se da noi un Lamine Yamal sarebbe titolare - quasi sicuramente sì - ma come mai noi, un attaccante così, non ce lo abbiamo. Quando uno è un fenomeno, gli esperti lo capiscono e lo fanno giocare: Gigio Donnarumma ha debuttato nel Milan a soli 16 anni ed è diventato subito titolare, in uno dei ruoli più delicati del calcio. È successo nel 2015, non un secolo fa. In questi anni il calcio italiano ha continuato a produrre giocatori di qualità, e la conferma la si ritrova nelle buone prestazioni delle nostre selezioni giovanili, ma raramente questi atleti riescono a confermarsi al momento di passare al professionismo, sia per ragioni atletiche che mentali. A ciò si potrebbe aggiungere che il calcio italiano tende a plasmare giocatori meno portati al dribbling, e quindi tecnicamente poco appariscenti: è ovvio che una punta come Yamal colpisce di più l’attenzione rispetto a un difensore centrale come Giorgio Scalvini, che è diventato titolare nell’Atalanta a soli 18 anni.
È il problema cronico degli ultimi anni nel calcio italiano: l’incapacità di lanciare mezze punte o punte esterne realmente talentuose, quei numeri 10 - ma pure 7 e 11 - che stimolano maggiormente la fantasia degli appassionati. E più che di fiducia nei giovani sembra essere una questione di come vengono cresciuti sotto i profili tecnici, atletici e psicologici. Probabilmente ci sono anche molti fattori da considerare, per esempio quelli di ragione sociale: da sempre, lo sport pesca i suoi maggiori talenti, quale che sia il paese che prendiamo in considerazione, dalle fasce più umili della società. In Italia, oggi, questo non succede praticamente più.
Come segnalato da diversi report, specialmente dopo il disastro dell’Europeo della scorsa estate, il nostro è uno dei paesi europei in cui le scuole calcio costano di più, in particolare in confronto alla declinante ricchezza delle famiglie, che hanno sempre meno potere d’acquisto. Avere la possibilità di costruirsi un futuro nel calcio è quindi una questione economica, che esclude una fetta sempre maggiore della popolazione. Per rendersene conto basta guardare il netto declino dei giocatori del Sud Italia nelle selezioni azzurre degli ultimi trent’anni. Questo problema va di pari passo con le difficoltà di accesso alla cittadinanza per i figli degli immigrati, a causa di una legge molto penalizzante che costringe di fatto i club a selezionare i giocatori “non italiani” in base ai pochi posti disponibili nelle giovanili. Yamal, nato in Spagna da padre marocchino e madre della Guinea Equatoriale, se fosse stato di Milano probabilmente oggi non avrebbe avuto la cittadinanza (e se fosse stato di Palermo avrebbe faticato a iscriversi a una scuola calcio).

In ultimo, c’è da considerare anche il rovescio della medaglia, in tutto questo discorso: il rischio di feticizzare i giovani calciatori. Il mito del fenomeno adolescente fa sempre presa sui tifosi e gli appassionati di pallone, ma può essere deleterio per la carriera di un giocatore, quando la ricerca di questo tipo di atleta diventa ossessiva. Il “primo Yamal”, se vogliamo, è stato Ansu Fati, lanciato come titolare dal Barcellona a soli 16 anni, nel 2019. Talento cristallino e indiscutibile, Fati è stato caricato di pressioni enormi dal suo club e dalla stampa.
Ha subito un sovraccarico mentale e fisico quando non era ancora maggiorenne, iniziando a collezionare infortuni sempre più seri, e adesso, a 22 anni, è una riserva del Barcellona: ha messo insieme meno di 300 minuti in 11 partite stagionali, senza segnare neppure un gol, ed è legittimo domandarsi quale futuro possa avere nello sport.
Per cui, facciamo attenzione a non scadere in facili considerazioni. I talenti come Lamine Yamal bisogna innanzitutto saperli trovare, saperli sviluppare e saperli proteggere, dato che sono ragazzi che nelle mani del calcio - dei suoi dirigenti, allenatori, e anche dei tifosi - ripongono la propria carriera e la propria vita. Non basta prendere il primo adolescente che ci capita a tiro e fargli giocare quante più partite possibile.
