Un gol lunare. Dribbling, giocate incredibili, due traverse. Lamine Yamal, nella partita di semifinale di Champions League contro l’Inter, è sembrato di un’altra categoria. Un alieno. Addirittura c’è chi, analizzando la partita, ha spiegato che in campo c’erano ventuno giocatori di calcio e Lamine Yamal. Come fosse una cosa a parte, una specie protetta. In effetti lo è. Siamo di fronte al maggior talento della storia del calcio: nessuno come lui a 17 anni. Nessuno, nemmeno Messi. Alla stessa età, il fuoriclasse argentino aveva giocato nove partite con la maglia del Barcellona, Lamine è già a cento. Non da comparsa, da numero uno. È vero che non significa niente nel giudizio definitivo, ma i segnali sono quelli di un crack destinato a sconvolgere questo tempo del calcio. E probabilmente la storia.

La domanda è: perché lo scopriamo ora? È questo il limite che abbiamo nel calcio italiano. Dovevamo vederlo contro di noi, contro una squadra del nostro campionato, per sapere che era così forte questo ragazzo? Non è certo una novità e forse ci saremmo dovuti preparare meglio per contenerlo. Perché, quando un calciatore di questo infinito talento riceve palla, non può avere tempo per pensare, decidere, osservare gli spazi. Magari non sarebbe cambiato niente, però, a fine partita, non si possono giustificare i tre gol subiti con l’espressione: “Eh beh, ma il Barcellona ha Yamal in campo. Uno così nasce ogni 50 anni”. Lo sapevamo. Sembra la scoperta dell’acqua calda.
Ci sarebbe da ricordare che poco meno di un anno fa, precisamente il 14 luglio 2024, il fresco 17enne Lamine, il giorno prima aveva festeggiato il compleanno, alzava al cielo il titolo di campione d’Europa con la Spagna da protagonista assoluto del torneo. Ancora negli occhi abbiamo la magia compiuta in semifinale, niente di meno che con la Francia. Un tiro a giro all’incrocio dei pali che aveva fermato il respiro a tutto lo stadio per qualche secondo. Colpo diverso da quello che ha dato il via alla riscossa del Barcellona contro l’Inter ma di simile costruzione.
Yamal quando ha la palla tra i piedi, la accarezza. La leviga, come l’arte di un pizzaiolo napoletano che massaggia l’impasto per aiutare il processo di lievitazione. I colpi sono così leggeri e autentici che sembra tutto naturale, semplice. Questo impressiona del fuoriclasse spagnolo, la semplicità con cui prende decisioni, cambia la storia di partite ai massimi livelli mondiali. E cambia la storia del calcio.

Stiamo parlando appunto di un talento enorme, il più accecante di sempre rapportato all’età degli altri grandi della storia. Perché tante volte ci mostrano le giocate di baby fenomeni che fanno giocate contro i loro coetanei nei campi dei settori giovanili, ma poi restano un video pubblicato su Youtube. Qui siamo di fronte a un adolescente che si mette in tasca, tutte le partite, i più forti calciatori del mondo. E lo fa ogni volta che decide che è il momento di incidere. Imprimere il proprio nome nella gara. Nel tempo.
Di Lamine piace anche l’approccio fuori dal campo. A fine partita, durante le interviste, sorride, è sobrio, si confronta con i campioni delle generazioni precedenti alla sua e quando Thierry Henry gli chiede la maglia, risponde: “Ok, ma io voglio la tua”. Fresco, sorridente, leggero, umile. È il campione che ci voleva, dopo il dualismo Messi e Cristiano che, diciamo la verità, ci ha un po’ lacerato i maroni.
Lamine Yamal è un talento precoce. Cresce nel difficile quartiere di Rocafonda della città di Matarò, a 40 chilometri da Barcellona nel sud della Costa Brava. Quello che il partito di estrema destra spagnolo, Vox, aveva definito “letamaio”. Il piccolo Lamine gioca pallone dalla mattina alla sera e già a 3 anni, il padre Mounir Nasraoui, lo iscrive alla scuola calcio del paese. Già a 7 anni lo notano gli scout del Barcellona e se lo prendono. Inizia così il grande sogno di quello scricciolo con la gambe secche che, in mezzo alla strada, si divertiva a dribblare i cani che lo inseguivano e lo mordicchiavano, per rubargli il pallone. Un predestinato che si è presentato alla Masia dei Blaugrana senza scarpini, capace però di impressionare tutti al primo tocco di palla. Devastante dal giorno zero. E sempre molto legato al suo paese al quale dedica l’esultanza di ogni gol: 304, questo mima con le mani dopo aver gonfiato la rete. Il codice postale di Rocafonda. Lo sapevano tutti al quartiere che Lamine sarebbe diventato un campione. E sono felici perché ora Matarò non è solo criminalià, ma anche la città di questo prodigio del calcio che non finisce mai di sorprendere.
Yamal, semplicemente il numero uno, ma l’avevamo visto anche prima della patita con l’Inter.
