Metti un Paese che crede ancora nei cornetti rossi, nei gatti neri, nell'oroscopo di Paolo Fox, nel sangue di San Gennaro e nelle promesse elettorali. Metti la stessa nazione che, contemporaneamente, giura sulla “Scienzah” come nuovo culto monoteista, e che, mentre ti invita a inginocchiarti davanti al virologo di turno, dimentica che quel medesimo virologo solo qualche settimana prima assicurava che il virus in Italia non sarebbe arrivato, e che il giorno dopo averti detto che se non ti vaccini muori viene fuori che a essere malato e mezzo morto è lui, mentre tu non hai nemmeno due linee di febbre in tutta la pandemia. L’oracolo è comunque infallibile, sei tu che non capisci, che non hai studiato, anche se hai studiato e ti ricordi che la scienza vera sarebbe quella nata e progredita proprio sulla continua messa in dubbio e sul porsi e porre domande e sul verificare. Niente da fare, siamo il Paese dove il razionalismo è superstizione travestita e la superstizione è un modo magico per non prendersi mai la responsabilità di un cazzo di niente.
Dentro questo teatro grottesco arriva, come un carico di meravigliosa idiozia, la faccenda della maglia dell’Inter indossata da Chiara Ferragni. Ferragni che, già mediaticamente malconcia dopo il caso del pandoro e altri “errori di comunicazione”, osa, nelle settimane più delicate, farsi vedere con una maglia nerazzurra addosso (peraltro creata da un milanista: doppio reato). L’Inter, coincidenza vuole, da quel momento smette di vincere e comincia invece a perdersi e a perdere tutto: fuori dalla Coppa Italia col Milan, triplete che evapora, ko col Bologna e con la Roma, superato dal Napoli con Scudetto quasi andato e speranze di una stagione che pareva essere trionfale appese ormai quasi solo a una difficilissima semifinale di Champions League e a un’eventuale e ancora più improbabile finale. Ma non per colpa sua, chiaramente. Oltre a recriminare (come il Mister) su rigori e rimesse e calendari, molti tifosi gridano alla iattura, i social si incendiano come fosse scoppiata la Guerra dei Cent'anni ma più scema, e anche qualche telegiornale, incapace di distinguere tra goliardia e scaramanzia cronica, amplifica la stronzata della casacca della Ferragni come fosse il Watergate.
Del resto, la teoria del “colpevole è sempre qualcun altro” ha nobili precedenti. Marco Masini, condannato negli anni Novanta all’oblio in vita perché “porta sfiga”, sentenziavano, mentre lui poveraccio cantava e subiva la disperazione. Matteo Salvini, a cui nella vulgata popolare ogni squadra o ogni campione che sostiene pare girare le spalle come un amante tradito. L’arbitro cornuto, venduto e figlio di puttana di giornata, contro cui si scagliano città intere con i forconi (ormai virtuali, ma solo per pigrizia e cialtroneria), come se il mondo avesse bisogno di un agnello sacrificale antropomorfo per ogni supposto misfatto.

È un meccanismo perfetto: se fallisci, se perdi, se non ce la fai, non sei tu che non vali abbastanza, o che ti sei presentato in campo con l’approccio di una meringa. No: è la Ferragni, è colpa di Masini come quella volta in cui la fidanzata ti ha lasciato nel 1994, è il segno zodiacale, è il colore dei vestiti, è Saturno contro, è l’universo che ce l’ha con te, è lo specchio rotto con sette anni di guai quando invece il guaio è che da sempre in quello specchio c'eri riflesso tu.
Chi si ostina a credere che un’influencer con una maglia possa determinare il destino di undici uomini più panchinari pagati milioni di euro per tirare quattro calci a un pallone avrebbe bisogno non solo il ridicolo, ma anche una lezione di logica spiccia: perché se è sempre colpa di qualcun altro quando perdi, allora non è mai merito tuo quando vinci. Come se poi perdesse o vincesse il tifoso, quello strano animale che paga per dire “abbiamo vinto” o “bastardi, ci hanno rubato la partita” mentre i soldi (che vincano o che perdano) e l'eventuale gloria se li beccano quelli che giocano dall'ora e mezza alle tre ore a settimana e neanche lo degnano di uno sguardo. E così, invece di chiedersi come mai l’Inter abbia smesso di funzionare, come mai Inzaghi abbia smarrito la gestione mentale e tecnica della squadra, come mai Thuram si spacchi come una lampadina cinese da discount, si preferisce prendersela con una che con il calcio non c’entra niente. Forse è davvero un complotto rossonero? Forse Ferragni è un’agente della sfortuna sotto il controllo postumo di Fedez per sabotare i nerazzurri? Per esorcizzarla bisogna mandarle Marco Masini sotto casa a cantarle Vaffanculo con coretto di Matteo Salvini che motteggia “Forza Napoli, Vesuvio lavami col fuoco”? O forse, più semplicemente, l’Italia è un Paese infantile che cerca sempre un dito da mordere quando le cose vanno male?

Non sarebbe meglio invitare Calhanoglu e compagni a correre? Magari a segnare? Magari a difendere? Magari a provare a non cagarsi in mano? No, troppo razionale. Troppo sensato. Meglio rompere le ovaie all'ex Ferragnez anziché dire ai calciatori di tirare fuori le palle. Ma Chiara Ferragni non è una dea, non è una strega, non è la fata cattiva che maledice i campi sportivi. È una donna che, con tutta probabilità, del risultato dell’Inter se ne frega e sa di calcio come Barella sa di skincare coreana. Se l’Inter perde, la spiegazione è semplice e mortale: perché gioca peggio, perché Thuram si fa male (perché capita, e capita anche agli avversari, non perché una maglietta l’ha voluto, ma perché succede, succederà ancora) e i sostituti non sono all’altezza, perché Lautaro si divora gol, perché è la vita, e nella vita spesso non siamo abbastanza bravi, spesso ci finiamo sotto, spesso non meritiamo, spesso gli altri ci pisciano in testa e non c’è Var che tenga. E invece abbiamo quelli che cercano capri espiatori per non affrontare la verità. Come i tifosi che, anziché prendersela con i giocatori e i loro errori in campo, con l’allenatore, con la società o soprattutto con nessuno, invitano Chiara a indossare la maglia del Barcellona per portare sfiga ai catalani in vista della semifinale di Champions, come se un capo d’abbigliamento potesse determinare in maniera ineluttabile la storia.
La verità è che abbiamo un problema profondo e antico: non tolleriamo l’imponderabile. Il caso ci spaventa. L’errore ci umilia. La fatica ci annoia. Meglio pensare che ci sia un colpevole a portata di mano, un nome da biasimare, una sciarpa o una bandiera da bruciare. E se questo colpevole è famoso e visibile, tanto meglio. Che poi si stia parlando di una che al massimo è andata a San Siro a farsi qualche selfie con l’allora marito e i figli, e che probabilmente non riuscirebbe a distinguere Inzaghi da un agente immobiliare o da un broker finanziario di passaggio, è un dettaglio irrilevante.
La verità è che la sfiga non esiste, ma gli sfigati sì. E hanno una connessione a Internet con giga illimitati e non abbastanza problemi reali nella vita.
