Il colpo è arrivato, anche se qualcuno già se lo aspettava. Novak Djokovic non giocherà agli Internazionali d’Italia. Dopo i passi falsi a Montecarlo e Madrid, il numero uno serbo ha deciso di saltare il Masters di Roma. La notizia, confermata dagli organizzatori del torneo, fa ancora più rumore perché arriva insieme a dichiarazioni rilasciate pochi giorni fa a Madrid che, riascoltate oggi, suonano come un preludio a qualcosa di ancora più grande: forse l'addio imminente al tennis professionistico. Djokovic, reduce da una serie di prestazioni opache, compresa la sconfitta contro l'italiano Matteo Arnaldi all'Open di Madrid, ha ammesso di essere alle prese con una “nuova realtà”. “Quest'anno mi è capitato spesso di perdere al primo turno, purtroppo”, ha detto, visibilmente segnato, dopo l'eliminazione in tre set contro il giovane azzurro. “È una sensazione completamente diversa da quella che ho provato in oltre vent’anni di carriera. È una sfida mentale dover gestire questa situazione, adesso che esco regolarmente presto nei tornei”.

Un’ammissione sincera, quasi disarmante, che si somma alle parole ancora più pesanti rilasciate sul suo futuro immediato. Alla domanda se quella di Madrid potesse essere stata la sua ultima partita nel torneo spagnolo, Djokovic non ha escluso nulla: “Potrebbe esserlo. Non so cosa dire. Tornerò, forse non come giocatore”. Un commento che, riletto oggi, fa tremare i tifosi e alimenta i dubbi sul fatto che il serbo, che a breve compirà 38 anni, possa effettivamente essere competitivo ancora a lungo. La decisione di non partecipare al torneo di Roma, quindi, non è solo una questione fisica o di calendario. È il segnale chiaro di un momento di transizione che Djokovic stesso fatica a mascherare. “Non è sembrato particolarmente felice in campo negli ultimi due tornei”, ha osservato Jamie Delgado su Sky Sports Tennis. “Credo che il suo obiettivo sia solo il Roland Garros, e che abbia deciso che riposarsi sia il modo migliore per prepararsi. È una scelta importante, anche rischiosa”.

Del resto, il piano di Djokovic negli ultimi tempi sembrava già chiaro. Lo aveva detto lui stesso: preferire meno tornei, più tempo con la famiglia, e concentrazione massima solo sugli eventi che contano davvero, ovvero i tornei dello Slam. Ma tra febbraio e aprile, complici anche alcune esigenze contrattuali e commerciali, si era ritrovato a giocare molto di più del previsto: Doha, Indian Wells, Miami, Montecarlo, Madrid. E i risultati, tolto l'acuto a Miami (finale persa), sono stati un disastro. Tre eliminazioni premature in tre tornei, con l'aggiunta di una pesante sconfitta a Montecarlo contro Alejandro Tabilo e un crollo in finale in Qatar contro Jakub Mensik. “Devo cercare di accettare questa nuova fase”, ha ammesso Djokovic, “sapendo che non posso più dominare come prima. È dura, ma bisogna conviverci”. Il serbo ha anche spiegato che, nonostante la delusione, vuole provare a sfruttare questo momento per ritrovare nuove motivazioni: “Cercherò di dare il massimo nei tornei che contano davvero, come gli Slam. Non so se riuscirò a esprimere il mio miglior tennis a Parigi, ma farò del mio meglio”.

Intanto, però, l'assenza di Djokovic a Roma pesa come un macigno. Sei volte campione al Foro Italico, uno dei simboli del torneo, una figura amata e contestata ma sempre centrale. Il suo ritiro, accompagnato dalla formula “ci vediamo nel 2026” usata nel comunicato degli Internazionali, suona quasi ironico: quanti credono davvero che tra due anni Djokovic sarà ancora lì, pronto a combattere sul circuito? Tra il fisico che dà segnali preoccupanti, la testa che sembra meno convinta e la pressione di una carriera già leggendaria che rischia di offuscare il presente, l'addio di Djokovic al tennis giocato potrebbe essere molto più vicino di quanto tutti avrebbero voluto immaginare solo pochi mesi fa. E a Madrid, tra una sconfitta inaspettata e parole piene di malinconia, Novak ha già lasciato intendere che quel momento, forse, è ormai dietro l'angolo. Però, che lui piaccia o no, noi oggi un tennis senza quel giocatore serbo che ci ha accompagnato fino a oggi proprio non lo sappiamo immaginare.