C’era un tempo in cui vedere Novak Djokovic in difficoltà, quasi in balia degli eventi, sembrava fantascienza. Un tempo in cui il serbo entrava in campo con l’aria di chi doveva solo scegliere quanto infliggere all’avversario. Oggi, dopo la caduta di Madrid, che porta la firma di un Matteo Arnaldi implacabile ma soprattutto lucidissimo, si fa strada il sospetto che quell’epoca sia davvero finita. Non sono solo i numeri a parlare, anche se sono spietati: quattro eliminazioni al primo turno nei tornei di questa stagione, con l’eccezione della finale di Miami, una serie di sconfitte contro avversari che fino a ieri guardavano Djokovic come si guarda una parete di roccia, insormontabile. Paolo Bertolucci sulla Gazzetta dello Sport non si nasconde dietro il politicamente corretto: “Senza nulla togliere all’impresa di Arnaldi, che ha dimostrato maturità tecnica e solidità mentale, è evidente che la sconfitta patita a Madrid da Novak Djokovic allunga sinistre ombre sul futuro anche prossimo del formidabile campione serbo”. La sconfitta, scrive Bertolucci, è un segnale che va ben oltre la singola giornata no: “Contro l’azzurro si è visto un giocatore sicuramente in ritardo di condizione fisica, in difficoltà in quegli spostamenti frontali e laterali che sono sempre stati il suo marchio d’autore, nonché poco resistente negli scambi da fondo e con una velocità di palla spesso non in grado di impensierire l’avversario”.

Djokovic non sembra più in grado di reagire alle prime complicazioni che la partita gli propone, come se qualcosa si fosse incrinato dentro, ben oltre la mera preparazione atletica. D’altronde, osserva Bertolucci, “a meno di un mese dal 38° compleanno, è umano che un mostro di atletismo come Novak possa accusare un deciso declino. Ma se il lavoro in allenamento può ancora in parte compensare questo calo, a preoccupare molto di più è la totale assenza di motivazioni emersa dalle ultime due sconfitte e in generale da tutto il suo percorso agonistico dall’Olimpiade in poi fatte salve un paio di lodevoli eccezioni”. Basta guardarlo in volto: “Nei suoi occhi non si intravede più lo spirito feroce della tigre che azzannava gli avversari, nel linguaggio del corpo non ci sono più i segni di quella tempra d’acciaio che gli consentiva di dominare le partite prima con la testa e poi con il gioco”. La diagnosi è brutale: “Fino a un paio d’anni fa, nelle occasioni che contavano e dunque nei tornei più prestigiosi, Djokovic non avrebbe mai perso contro gli avversari che lo hanno sconfitto in questa stagione e sarebbe sceso in campo in posizione di netto vantaggio fin dal primo scambio. Ora invece sembra un giocatore che esce dagli spogliatoi solo per contratto, per onorare il tabellone e soprattutto il suo passato da dominatore”.

E qui si arriva alla domanda che tutti, ormai, si fanno: quanto tempo ancora Nole sarà disposto ad accettare di perdere da quei rivali che per vent’anni non potevano nemmeno guardarlo negli occhi? “È vero, lui continua a sostenere che l’unico vero obiettivo restano gli Slam, ma io temo che la sua deriva verso l’ombra sia ormai irreversibile e neppure il Roland Garros e Wimbledon riusciranno a restituirci almeno una parvenza del Djokovic che fu. Anche perché ai due appuntamenti arriverà senza certezze, sicuramente sfiduciato e con poche partite sulle spalle, salvo una clamorosa e al momento impensabile resurrezione a Roma, e con gli avversari, non solo quelli che gli stanno davanti in classifica, ormai consapevoli di potersi giocare le proprie chance fino alla fine. Insomma, la vittoria dell’oro olimpico rischia davvero di rappresentare il canto del cigno di Nole, e come per Federer dopo la finale di Wimbledon del 2019 e Nadal dopo il trionfo a Parigi del 2022, si ha la sensazione che anche lui non abbia compreso che l’ultimo treno era ormai passato”.

Non è una voce isolata, quella di Bertolucci. A raccogliere lo sconforto di chi vede Djokovic sempre più distante dal suo zenit c’è anche Rennae Stubbs, sei volte campionessa Slam in doppio e ora commentatrice senza filtri. Dopo la disfatta contro Arnaldi, Stubbs su X non fa sconti: “L’indice di preoccupazione continua per Novak. Sta commettendo troppi errori non forzati (32 oggi) e non è al top nei momenti più importanti. I ragazzi non si sentono più intimiditi per questo motivo e questa è la chiave più importante per questi giocatori: lo vedono e lo sentono”. Perdere l’aura, nel tennis, è spesso il primo passo verso il declino. Stubbs lo dice chiaro: “Quando perdi la tua aura e, di conseguenza, non riesci a tenere il passo e a far soffrire questi ragazzi, come commettere doppio fallo due volte di fila e perdere il servizio nel primo set. Non vedresti mai una cosa del genere da Nole al suo meglio”. Il Djokovic che si prepara a Roma non è più il “cannibale” dei giorni migliori. Forse resterà competitivo negli Slam, dove la motivazione sale per forza di cose. Per Arnaldi, per Sinner, per tutta la Next Gen, l’incantesimo è finito? Djokovic non fa più paura?