Due crolli, uno dopo l’altro. Diversi nel tono e nel contenuto, ma uniti dalla stessa, identica sensazione: che qualcosa si stia spezzando. Novak Djokovic esce di scena al primo turno a Montecarlo contro Tabilo in una delle partite peggiori della sua carriera. Alexander Zverev perde da Matteo Berrettini, e dopo l’incontro parla con una sincerità che sa tanto di resa. Due campioni, due sconfitte, due dichiarazioni che raccontano, forse meglio di qualsiasi dato, che anche i più forti, a un certo punto, inciampano. E non sempre si rialzano subito. Djokovic non ha nemmeno provato a mascherarlo. Non ha cercato scuse, non ha girato intorno. In conferenza stampa ci resta meno di due minuti. Bastano per capire tutto. “Quella di oggi è stata molto simile alla mia peggiore giornata”, dice. E ancora: “È una sensazione orribile giocare in questo modo, e mi spiace per tutte le persone che hanno dovuto assistere a tutto questo”. Il Nole che per anni ha fatto del controllo assoluto la sua arma più letale, sembra improvvisamente spiazzato, quasi perso. Gli chiedono del braccio, dell’occhio, dello stato fisico. Risponde secco: “Va tutto bene, solo cose da poco. Nessun problema”. Il problema, semmai, è tutto il resto.

“Spiegazioni? Non lo so, non ne ho. Cioè, ne ho e non ne ho, ma non m’interessa davvero”, aggiunge. È forse questa la frase più forte. Il vuoto di senso, la rassegnazione a un blackout che va oltre il campo. La realtà è che Djokovic è in transizione: sa che il fisico non è più lo stesso, sa che la motivazione a volte, vacilla. Eppure, non può permetterselo. Lui, il più vincente della storia, si ritrova oggi a cercare sé stesso. E a fissare il Roland Garros come ancora di salvezza: “Tutto quello che conta ora è Parigi”. Se Djokovic sembra smarrito, Alexander Zverev sembra sull’orlo di qualcosa di più profondo. Non è solo la sconfitta contro Berrettini a pesare: è la serie, il trend, l’inerzia negativa che lo sta avvolgendo. Dodici partite giocate dopo la finale persa contro Sinner agli Australian Open. Sei vinte. Sei perse. Un bilancio grigio per uno che fino a pochi mesi fa era considerato l’unico in grado di contendere la vetta ai big. A Montecarlo ha perso male, soprattutto psicologicamente. Il break subito nel terzo set ha segnato il suo tracollo. E nel post-partita lo dice: “Lo scambio lungo? Decisivo è il fatto che dopo quel break sono sceso di dieci livelli. Il mio livello è terribile. Ancora una volta sono io quello che perde la partita”. È un’autodenuncia, ma anche un boomerang. Perché così facendo toglie meriti a chi lo ha battuto. Matteo Berrettini, per esempio. Che contro di lui ha giocato forse il miglior match degli ultimi due anni.

“Non ho vinto molte partite in questo periodo”, continua Zverev. “La mia palla è lenta. Ho perso in tre set a Buenos Aires, a Rio de Janeiro, a Indian Wells, Miami e pure a Montecarlo. Non ne ho vinta nemmeno una. Sto cercando di capire, non so più cosa dire. Non ho la minima idea in questo momento”. È il vuoto, ancora una volta. È l’assenza di risposte. È il panico sottile di chi non riesce più a uscire dal tunnel. Djokovic e Zverev. Due giganti, per classe, per esperienza, per passato, che sembrano oggi franare sotto il peso di un presente instabile. Entrambi chiamati a ritrovarsi in fretta. Perché la stagione è lunga, certo. Ma il tempo, a certi livelli, non aspetta nessuno. E intanto là davanti corrono. Corrono Sinner, Alcaraz, anche quelli che fino a ieri erano comparse. Il tennis non aspetta. Non guarda indietro. E certe volte, sa essere più crudele della sconfitta.