Nel paddock del Gran Premio di Ungheria da giorni si sentono ripetere le stesse frasi. Ritornelli che assomigliano a quelli sentiti in ogni weekend di gara dall'inizio di questa stagione senza battaglie: "Sarà ancora dominio di Max", "Non ci sono rivali", "Di che cosa parliamo? Non ci sono argomenti", "Il prossimo anno sarà lo stesso disastro" e così via. Perché sì, la Formula 1 è uno sport ciclico e alle onde lunghe di questi successi sono tutti abituati, ma quando si è nel pieno di un dominio come quello di Verstappen preoccuparsi per lo sport, per il pubblico, per il futuro prossimo di questo campionato è più che normale.
E allora cosa si fa? Si aggiunge disordine, sperando che nuovi elementi cambino le carte in tavola di un campionato largamente concluso prima della pausa estiva. Così in Ungheria è arrivato il debutto del nuovo format di qualifiche, criticato da piloti e addetti ai lavori, in un clima di grande incertezza sulle effettive forze in campo in questo weekend: prove libere senza punti fermi, clima instabile, tanta confusione tra dichiarazioni e risultati altalenanti.
Una sola convinzione: Max, si dice, farà comunque il Verstappen. Lui che si lamenta del bilanciamento, lui che si vede cancellato un giro in qualifica, lui che per una volta in questa stagione è chiamato a mettere tutto insieme sul finale, prendendosi in Q3 una pole provvisoria che per chiunque rappresenta la fine del sabato. E invece no. Dagli spalti dell'Hungaroring si alzano le grida di chi capisce subito, prima di vedere i tempi sugli schermi, e poi in un'onda di emozione tutti si alzano in piedi. Perché sì, Lewis Hamilton è in pole position.
Il sette volte campione del mondo di Formula 1 parcheggia la sua Mercedes al parc fermé e si mette le mani sopra al casco, spingendo i guanti sugli occhi in un momento di grande commozione. Piange, Lewis Hamilton. Piange per un successo che ha già ottenuto altre 103 volte in carriera. Gli occhi lucidi di un campione che torna a quella goduria dopo un anno e mezzo di assenza, dopo la delusione più grande della sua carriera arrivata nel 2021, dopo tante domande sul suo futuro, sul suo ritiro, su un passaggio di consegne che Lewis non è ancora pronto a fare.
Sono le lacrime di un uomo che ha vinto tutto, che in questo sport ha dato, ha avuto, che ha cambiato le regole del gioco ma che nonostante questo oggi, nella sua Ungheria, terra di successi e storie enormi, si emoziona come un rookie per la prima volta davanti a tutti. È anche questa la grandezza di Lewis Hamilton, che arriva in conferenza stampa post qualifiche correndo, scusandosi per il ritardo, e asciugandosi il sudore sul viso, visibilmente stremato.
"Sei sudato, amico" gli dice ridendo Max Verstappen, deluso da una seconda posizione ma forse - alla fine - felice di avere una lotta da portare a casa domani. "Non ho respirato" confessa Hamilton, che in quel giro finale ha messo tutto quello che è, che è stato, che sempre sarà. Perché uno così, uno che campione lo è stato sempre, non smette mai di esserlo. Non quando invecchia, non quando si ritrova dopo anni di successi incredibili a lottare nelle retrovie, e certo non quando è chiamato all'improvviso a giustificare le sue scelte sul futuro tra le convinzioni di chi lo vuole già ritirato.
Perché uno come Lewis Hamilton è capace di emozionarsi, ed emozionare, anche davanti a una cosa vista, fatta e festeggiata la bellezza di 104 volte in carriera. E facendolo ricorda a tutti che in questo sport c'è qualcosa che sopravvivrà sempre e comunque. Anche in mezzo ai cicli infiniti dei successi degli altri, anche quando non ci sarà niente - davvero niente - di cui parlare, dopo l'ennesimo dominio di un singolo sugli altri.
In questo sport non mancherà mai lo spazio per storie così, per attimi che valgono il tempo, il sacrificio, il silenzio di anni di pene. E le lacrime di un campione, in Ungheria, oggi ce l'hanno ricordato.