“Il primo anno ci spostavamo in furgone e ho sempre dormito nella motrice del camion. La sera per lavarmi indossavo l’accappatoio e in ciabatte attraversavo tutto il paddock per andare ai bagni del circuito. Figuratevi quando scappava la pipì nel bel mezzo della notte. E’ stata dura. A fine stagione ero molto perplessa. Mia mamma però mi ha detto di non mollare: ed eccomi qui, 20 anni dopo". Per tutti nel paddock Elisa Pavan è “La Pina”, un soprannome che le è stato dato il primo anno nel team Italjet, unica “pina”, donna, in un branco di “pini”. Capelli corti a caschetto, occhi truccati, un filo di rossetto rosso, vivace e femminile nonostante la divisa del team, una cosa che trasformerebbe in un meccanico qualsiasi ragazza del paddock, ombrelline comprese.
Veneta doc del segno del Toro, La Pina ha scoperto le due ruote dopo la maturità linguistica. Addetto stampa, responsabile della logistica del team Honda LCR di Lucio Cechinello, La Pina ha imparato sul campo. “Quando sono arrivata per la prima volta in sala stampa, Marco Masetti, Paolo Beltramo, Filippo Falsaperla e Giovanni Zamagni hanno capito che arrivavo dal paesino di campagna e mi hanno preso sotto la loro ala. Come loro, ci sono state tante persone del paddock che mi hanno guidato in questo circo di pazzi”. E di matti la Pina ne ha visti tanti: da Casey Stoner a Cal Crutchlow, passando per Manuel Poggiali, Mirco Giansanti, Noboru Weda, Roberto Locatelli, Alex de Angelis, Mattia Pasini, David Checa, Carlos Checa, Toni Elias, Stefan Bradley, Jack Miller e Taka Nakagami.
Ma cosa hanno in comune tutti i piloti e soprattutto che cosa le hanno lasciato l’australiano e il britannico, due talenti fuori dall’ordinario, che a modo loro, hanno incantato il paddock della MotoGP?
Casey Stoner
Ci sono piloti e ci sono campioni. Casey appartiene a questa seconda categoria. “Senza togliere a niente ai piloti con cui ho lavorato, Casey resta il mio preferito”, racconta La Pina. “Era uno spettacolo vederlo in pista: talento allo stato puro. Una magia. Tolto il casco, beh, era una persona non facile. Non amava le interviste, i servizi fotografici. Non gli è mai piaciuto e anche quando è diventato un campione, è rimasto in questo molto coerente. Stoner era un tipo tosto, un puro. Forse l’ho sempre ammirato per questo suo carattere molto affine al mio”.
Casey è arrivato nel team LCR giovanissimo e dormiva nel motorhome della Speedy che Lucio Cecchinello aveva attrezzato come casa per lui e i suoi genitori. Erano gli anni di “Rolling Stoner”.“Sì, diciamo che non aveva ancora preso bene le misure, ma quel soprannome lo irritava a dismisura. Casey ha sempre corso per arrivare primo. Già un secondo posto per lui non era abbastanza. Ricordo ancora quella volta in cui era tornato al box dopo una caduta. Quando Oscar (Haro) si è avvicinato per soffiargli la tuta, Casey ha iniziato a urlare come un pazzo: leave me, leave me!”. A lui interessava solo tornare in pista il prima possibile”.
Cal Crutchlow
Se Stoner ha corso nel team LCR agli inizi della sua carriera, Crutchlow ha concluso la sua quest’anno con il team di Cecchinello. Velocità e istinto, con l’uscita di scena di Cal se ne va l’ultimo pilota vecchia scuola, sulla falsariga degli americani veraci come Kevin Schwantz e Colin Edwards.
“Ho lavorato per questo talento per sei anni e ad esser sincera, proprio come lo è Cal, non è stato certo il pilota più gestibile del paddock”, confessa La Pina. “Cal è arrivato nel team nel 2015 come compagno di squadra di Jack Miller. Due pazzi scatenati. Mi ricordo quella volta che Jack ha tirato giù Cal a Silverstone. Crutchlow stava facendo la gara della vita nel gp di casa, invece è arrivato Jack con la open e ha fatto strike. Nel box ci aspettavamo fulmini e saette e invece non c’è stata nessuna sfuriata. I due si sono chiariti a quattr’occhi e da quell’incidente tra loro è nata un’amicizia bellissima così rara tra due piloti che lottano nella massima categoria”.
Sfrontato, alla ricerca della battuta facile, la domanda è: Ma Cal c’è o ci fa? “Cal è proprio come si vede in tv”, racconta La Pina, “del pilota, i risultati parlano da soli, dell’uomo posso dire che faceva i capricci come tutti i piloti con cui ho lavorato. Con la principale differenza che Cal ha questa faccia dai tratti marcati e con questi occhi spiritati che quando ti guarda non capisci mai se ti sta mandando a quel paese.
Se ripercorro con la mente i sei anni passati nel team, non è stata facile. Mi sono beccata diversi “fuck off”, ma ho anche contraccambiato rigorosamente sottovoce. I piloti sono creature strane quindi meglio non farseli nemici. Di default era un secco no ad ogni richiesta. L’ho rincorso per giorni quando non rispondeva alle mie mail o messaggi, e l’ho letteralmente pregato di fare le cose che non gli piacevano. Per fortuna c’era anche la santa della Lucy, la moglie.
Come scordarsi di Cal! Esigeva che fossi reperibile H24, 7 giorni su 7, Natale compreso, ma nonostante tutte le imprecazioni che mi ha tolto di bocca in questi sei anni, devo riconoscergli due cose.
Aveva una predilezione speciale per i bambini e i disabili. In questi casi non si tirava mai indietro, anzi, aveva una sensibilità straordinaria. Non solo, gli sarò sempre grata per tutte le fortissime emozioni che ci ha regalato. La vittoria a Brno 2016 a 35 anni di distanza dall’ultimo pilota inglese sul più alto gradino del podio è stata memorabile. Immensa”.
In una MotoGP sempre più politically correct, un personaggio come Cal senza peli sulla lingua era rimasto una mosca bianca. “Da addetta stampa non mi sono mai azzardata a correggerlo o indirizzarlo nelle interviste anche perché mi avrebbe guardato con quegli occhi sbarrati”. Per questa miscela esplosiva di pilota verace e umanità autentica, Cal lascia un grade vuoto nel paddock adesso che ha chiuso il capitolo della sua carriera da professionista.
Il paddock
A fine 2019 La Pina ha deciso di continuare a lavorare con LCR, ma da casa. “Il paddock è un paese più che una famiglia. Decidere di smettere di viaggiare è stata dura, ma a 44 anni ho deciso di dedicare più tempo alla mia famiglia e al mio fidanzato. Il bilancio è sicuramente positivo. L’elenco delle cose belle è lungo: sono cresciuta con alcuni meccanici del team che considero fratelli, la LCR è una famiglia, ho visto luoghi che non avrei mai potuto visitare altrimenti, da buona forchetta non mi sono mai tirata indietro sperimentando i piatti più bizzarri”.
In venti anni La Pina è diventata una grande appassionata di corse nel senso letterale del termine: questo mondo e i piloti le stanno a cuore. “Da quando sono a casa è ancora peggio. Non mi addormento finché non so che tutti i ragazzi del team dall’altra parte del mondo sono arrivati in hotel. Non ho mai perso un turno di prove e ancora mi viene la tachicardia prima dello spegnimento del semaforo. Allora mi faccio il segno della croce per tutti i piloti e dico una preghiera per i miei, perché purtroppo ho assistito a troppi incidenti. C’ero quando è mancato Daijro Kato a Suzuka. Ero a Misano quando se n’è andato Tommizawa, che era un pilota di Nobi Ueda, un fratello per Lucio Cecchinello. E poi il Sic a Sepang”.
Parlare con La Pina è un lancio senza paracadute in 20 anni di MotoGP tra drammi e vittorie, scorribande nella città di tutto il mondo e una carrellata di volti noti di piloti, colleghi e amici di questo pezzo di vita. Infine l’ultima domanda: rimpianti? “Non aver smesso prima, perché la vita fuori dal paddock va avanti e ho dovuto sacrificare molto della mia vita personale. Da donna posso dire che negli anni il numero delle fanciulle è aumentato e questo è un bene per il paddock perché non sarebbe lo stesso senza donne. Secondo me una donna ha quel qualcosa in più che mette armonia nella squadra”.
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