La Nazionale di calcio è uno squallore. Ormai è difficile anche trovare gli aggettivi per descriverne le prestazioni. Capisco che ci vado giù duro, ma cosa dovrebbe pensare un italiano che ieri sera si è trovato davanti a una partita inqualificabile sotto ogni punto di vista. Tre a zero e tutti a casa al debutto alle qualificazione per il Campionato del Mondo, contro la Norvegia. Sì, la Norvegia, non la Germania, la Spagna, il Brasile o l’Argentina.

Una nazione con quale ci siamo incrociati alcune volte anche in passato, quando alle competizioni internazionali partecipavamo. Era la classica squadra ostica, che poteva strappare il pareggio. Nulla più. Oggi sembrava di essere di fronte all’Olanda di Crujiff. Quarantacinque minuti di pallonate in faccia, tre gol nella rete e pratica chiusa. Con un dato (l’unico) in cui curiosamente siamo stati superiori: il possesso palla. Zero tiri in porta, zero dribbling riusciti, zero azioni pericolose. Ma di cosa parliamo? Siamo al punto più basso della storia azzurre. Perché di figure poco onorevoli ne abbiamo già fatte più di una e siamo sfiniti. Ok il Mondiale in Russia saltato con Ventura, doppia delusione quattro anni dopo quando non siamo riusciti a staccare il biglietto per il torneo iridato in Quatar, quindi il pessimo europeo in Germania l’anno scorso, susseguito al clamoroso titolo continentale riportato, chissà per quali congiunzioni astrali, dalla squadra di Roberto Mancini.
Non se ne può più. In questo paese in cui tutti parlano di calcio, vivono di calcio, dedicano tempo al calcio, è inaccettabile scendere con questa nazionale. E’ bene che i vertici dello sport più popolare e che genera giro d’affari maggiore di ogni altra industria, cadano insieme ai responsabili di un tracollo enorme e probabilmente difficile da fermare. Solo così, forse, riusciremo a invertire una lunga e imbarazzante storia di fallimenti.
Cosa è successo al movimento calcio Italia? Facile dare tutta la colpa a Spalletti, perché è così che funziona. Qualcosa ha sbagliato ovviamente ma non funziona che quando si perde si cambia allenatore. O, in questo, caso selezionatore. Spesso sono decisioni superficiali, di impeto. Che non servono a niente con la Nazionale. Il problema è più profondo ed è da rintracciare nella cultura del gioco del pallone in Italia.
La mancanza di talenti non può essere soltanto frutto del caso e dei cambi generazionali più o meno fortunati. Sono 20 anni che non mettiamo in campo con la maglia azzurra un ragazzo di estremo talento. Prima avevamo i migliori del mondo: Baggio, Vieri, Totti, Del Piero, Inzaghi, Toni. E gente, ad esempio, come Di Natale era una seconda scelta. Oggi vediamo Antonio Nusa con la maglia della Norvergia che, contro i nostri difensori, sembra Yamal. Qualcosa non quadra. Non possiamo pensare di risolvere questioni così strutturali cercando solo un capro espiatorio. Non è così.
C’è da ripulire e mettere le persone competenti al posto giusto. Fare calcio dovrebbe essere la prima regola, mentre come ci hanno mostrato anche i recenti servizi delle Iene, già nei settori giovanili di provincia, si fanno tante cose, ma poco calcio. Girano soldi e quelli contano. Che importa se un genitore paga per far giocare titolare il figlio a discapito di qualcuno più talentuoso. Tanto, come si dice sempre in Italia, “funziona così”. E poi non crescono i talenti.
Perché io non sono d’accordo quando si dice che i talenti in Italia non si fanno giocare. Il problema è un altro: non ci sono. Probabilmente, in questo metodo di gestire le squadre di calcio e soprattutto i vivai, quelli bravini che non hanno possibilità economiche, smettono. Si perdono.
E poi c’è il gioco. La Norvegia ci ha messo in ginocchio sotto ogni punto di vista. Tecnica e intensità. Stavano corti, compatti e ci venivano a prendere in ogni punto del campo. Noi trotterellavamo, cercando di avvicinarsi alla porta avversaria con inutili passaggi di due metri in orizzontale. Questa è mentalità. Giocare per vincere, dominare l’avversario. Farlo per la gente che è allo stadio, per la nazione. Questo anche manca, il rispetto della maglia dell’Italia. Ci rendiamo conto? Questi giocatori, star della vita e dei social, strapagati, indossano i colori azzurri di tutti noi e quasi diventa un fastidio, perché, finito il campionato, c’è da andare in vacanza o seguire le traiettorie del calcio mercato. Così non va. L’Italia del calcio non c’è più. Anche fuori dal campo. Basta guardare come si vestono gli allenatori, molto in vista durate la partita. Ricordiamo la giacca di Spalletti con la scritta Italia sulle spalle e ritroviamo un giaccone ridicolo contro la Norvegia, sfoggiato sotto la pioggia battente di Oslo. Marketing puro per i brand di moda, fuffa. Simbolo di un paese che ha detto addio al calcio e si è svenduto alla fuffa e alla perenne propaganda.
