Marc Marquez arriva in sala stampa leggero, come uno che sta pensando a dove prenotare il ristorante martedì prossimo. Si siede, parla del fatto di essere diventato Mister Saturday: “Ma preferirei essere Mister Sunday e sbagliare qualcosa il sabato”. Quando gli chiediamo se c’è un motivo dietro questa tendenza lui però non dice che se è caduto in un paio di domeniche è perché ha perso concentrazione. Ha detto di aver “Lavorato moltissimo sui sabati questo inverno, sia per la qualifica che per la Sprint, che erano i miei punti deboli l’anno scorso”. Qualcuno, più tardi, chiederà ad altri piloti come ci si allena per essere più veloci di sabato e loro alzeranno le spalle, come a dire che un modo vero e proprio non c’è. O almeno non per loro.

A questo punto Marc comincia a parlare di Bagnaia: “Da prima della qualifica è il weekend in cui l’ho visto più forte. Da lì in poi le cose gli sono andate male, ma aveva un ritmo simile al mio e sta andando molto forte, anche stamattina con la gomma usata. Poi è caduto, fortunatamente è una sprint. Se parliamo tra noi? Sì, certo. Ieri abbiamo parlato delle sensazioni col nuovo telaio che sto usando, che in termini di sensazioni non cambia quasi nulla per me ma Ducati preferisce che andiamo in questa direzione per avere più margine nello sviluppo futuro”.
La cosa si trasforma in un’intervista sugli altri. Su Fabio Quartararo, che con la pole “È una buona notizia per il campionato, ha vinto un mondiale ma è anche un grande nome”, e poi su Fermin Aldeguer: “È pieno di talento, la sua progressione è stata incredibile: vediamo quando si fermerà. Ad Austin è andato fortissimo, poi è caduto. Ma è un rookie. Se cade uno dei piloti con più esperienza in griglia (si indica, ndr) anche i rookie possono”.
La risposta più intensa però ce la restituisce sul “suo” Maximo Quiles, pole position alla seconda gara nel motomondiale di rientro di un infortunio. Quiles è il primo pilota gestito dalla società dei fratelli Marquez: “È uno di quei piloti a cui andare forte viene naturale. È stato un mese senza toccare la moto per un infortunio, viene qui e il ragazzino fa la sua prima pole nel mondiale. Il mio compito, anzi il nostro compito, perché è la squadra di Vertical (la società di Marc Marquez, ndr) che ci lavora. Io in realtà non ho tempo per seguirlo e Alex nemmeno, però il nostro lavoro è soprattutto proteggerlo. Ha molto da migliorare, come sa e come diciamo sempre, ma l’importante è che tenga i piedi per terra senza caricarsi di pressione. Non parlerò molto di lui adesso perché il mio compito è proteggerlo, anche dall’esposizione mediatica che ad oggi, per un ragazzo che comincia, è la cosa più difficile da gestire. Anche perché ci sono i social. Quando ho cominciato io nel 2008 non c’erano i social ne roba del genere, non sentivo la pressione mediatica. Invece adesso è veramente la cosa più difficile”.
Alla fine arriva una risposta su di sé, che spiega anche tutto il resto della conversazione: Marc stava andando piano per i suoi standard. Tre decimi in tasca, magari anche quattro nel caso di una battaglia feroce. E così è quasi annoiato, fa complimenti a tutti perché è come se fossero figli suoi, mai uguali: “Sì, mi stavo tenendo del margine: spingendo al massimo nelle libere potevo fare trenta e sette, trenta e otto. In gara ho fatto trentuno e uno, trentuno e zero. Quindi… sì, cercavo di tenermi del margine. Ma la cosa importante è tenere alta la concentrazione: quando corro al limite sento la moto, quando non vado a quel livello la sento meno. Vediamo domani qual è il modo migliore per tenere alta quella concentrazione”.
A questo punto, anche stare concentrato potrebbe rivelarsi superfluo per lui.
