Treni che saltano, coincidenze ovviamente perse e un caos mai visto prima, tutti gli elementi per un viaggio difficile da dimenticare. Ma facciamo un passo indietro: sono le 5:20 del mattino, suona la sveglia. È domenica e a un’ora dalla nostra camera d’albergo, a Rimini, c’è il Gran Premio di Formula 1 a Imola. Ci prepariamo e poi facciamo colazione in un albergo colorato di sole magliette rosse, arancioni e blu, i colori rispettivamente di Ferrari, McLaren e Red Bull. Siamo pronti a partire con un Doblò nero che ogni 100 chilometri fatti ha bisogno di un litro di olio per andare avanti senza lasciarci in autostrada (sì, nel cofano avevamo 13 litri per andare e tornare in sicurezza). Le premesse per una giornata memorabile ci sono davvero tutte, considerato soprattutto com'è finita.

Arrivati in autodromo la marea rossa c’è già, nonostante sia mattina presto. C’è chi si dirige verso la sua tribuna, e chi come noi cerca uno spazio per vedere l’azione al meglio. 30 minuti di camminata dalla Rivazza fin sotto la Tosa: posto perfetto, con vista sull’uscita dalla Villeneuve fino al mitico tornante. In un attimo ci passano davanti F3, F2, Porsche che sportellano come non mai e F1 del passato: il tempo scorre veloce e, dopo aver visto la parata dei piloti e Lewis Hamilton salutare i suoi nuovi tifosi, arriva l’ora più dura, quella dell’attesa prima di vedere le monoposto in pista. Sono le 13:20 e il sole diventa sempre più caldo: c’è chi si sdraia per terra, chi anziché berla l’acqua se la versa in viso. In un modo o nell’altro però quell’ora passa e in un secondo, al rumore di una monoposto, tutti si alzano in piedi. È Max Verstappen, già in modalità gara: stacca forte, in un attimo infila 3 marce e scappa via. Ci guardiamo in faccia e capiamo che oggi l’olandese sarà lì a giocarsela, perché quando parte così solitamente non ce n’è per nessuno. Qualche minuto dopo passa la Ferrari di Lewis Hamilton tra le urla e gli applausi, mentre per Charles Leclerc bisogna aspettare un altro minuto. 5-6 giri ciascuno, prima di schierarsi per una gara che sarà tosta. Il sostegno non manca, e dopo il via capiamo che uno dei due ferraristi fosse partito bene dal boato di chi aveva uno schermo davanti a sé. E così per tutta la gara: un boato significava un sorpasso, un tentativo, o un ritiro, proprio come quando Kimi Antonelli è passato davanti a noi con il motore della sua Mercedes ormai ko, parcheggiandola qualche metro dopo. Un ritorno alle origini, quando in pista si aspettavano le macchine passare e ci fidava dei boati per cercare di capire qualcosa in più. Nessuna diretta, o al massimo streaming bloccati ogni due per tre: solo l'emozione che l'attesa tra un giro e l'altro sa regalare. E poi tanta attenzione ai dettagli, perché un rumore, una marcia anzichè un'altra poteva rivelare tanto di ciò che stava realmente accandendo.
C’è tensione, ma anche qualche sorriso, perché alla fine la Ferrari ci ha messo una pezza, nonostante la delusione di una qualifica che brucia più del sole che splende sui sali e scendi di Imola. Da qui però, ecco che inizia la parte davvero memorabile della nostra giornata: quella per tornare a casa, questa volta (e non come all'andata) a Milano. Usciamo dall’autodromo alle 17:30 circa, riprendiamo la valigia lasciata nel mitico Doblò che più che a benzina va ad olio e ci dirigiamo verso la stazione. Sono le 18, il nostro treno parte alle 20:17. C’è tempo, anche se davanti a noi le persone che aspettano sono tantissime, troppe per una stazione piccola come quella di Imola. Bastano pochi minuti per capire che, nonostante le due ore a disposizione, quel treno non lo prenderemo mai. Regna il caos, a causa di una gestione non delle migliori. I minuti scorrono, ma noi siamo sempre lì, fermi in quella folla sempre più arrabbiata. C’è chi il treno l’ha già perso, e chi come noi è consapevole che lo perderà nonostante tutte le rassicurazioni del caso.

Intorno alle 19:45 chiediamo spiegazioni, ma le risposte che ci vengono date fanno ridere: “Dovevate aspettarvelo, quindi non c’è bisogno di lamentarsi” ci dice un poliziotto, mentre un altro, con grande savoir-faire, non esita a rimarcare che in fin dei conti erano problemi nostri. La migliore però arriva da un addetto della stazione: “Adesso diamo precedenza solo a quelli che prendono un treno che fa fermata a Imola”. Sì, avete letto bene e non stiamo scherzando: per un attimo abbiamo pensato di essere alla stazione sbagliata, ma niente. Una presa in giro, visto che per essere lì c'è stata una spesa, dei sacrifici e anche tanto sforzo da parte di tutti. E ancor più assurdo è che, dopo aver comprato un biglietto da 21 euro (solo per il ritorno), non ci sia nessuna garanzia, ma solo risposte inutili e irrispettose, caos e tanta disorganizzazione, nonostante i proclami e l'invito a raggiungere l'autodromo con i mezzi pubblici. Per l’occasione, infatti, era stato previsto un aumento delle corse, ma quasi esclusivamente in direzione di Rimini o Bologna, trascurando invece chi doveva proseguire verso destinazioni più lontane, trovandosi a fare i conti con dei treni che non li avrebbero aspettati in quelle stesse stazioni. Una situazione tragicomica, ma non senza gioie: qualche minuto dopo ci è sembrato di essere sì in un altro luogo, più precisamente in Vaticano, grazie ad un signore che, dopo essersi affacciato dalla finestra di casa sua al quarto o quinto piano di un palazzo sulla nostra sinistra, ci ha lanciato una benedizione in stile Papa Leone XIV. Una roba clamorosa. Avevamo perso ufficialmente il treno, ma non si poteva non ridere.
Mezz’ora dopo ecco il lasciapassare: le transenne si aprono, è il nostro turno. Saliamo sul primo treno in direzione Bologna, perché il dictat degli addetti è stato: “Arrivate lì, poi trovate una soluzione”. Eseguiamo, perché tanto la scelta era tra “Ci proviamo” o “Dormiamo su una panchina”. Trenta o quaranta minuti di treno tutti attaccati, ma non era ancora finita. Arrivati in stazione andiamo dritti al binario 1 insieme ad altri ragazzi conosciuti nel tragitto, speranzosi di tornare a casa in un modo o nell’altro. Guardiamo il tabellone delle partenze, ma non arrivano buone notizie: Intercity per Milano Centrale in ritardo di 20 minuti. Poi 25, 30, fino ad arrivare a 45. Aspettiamo commentando una giornata nonostante tutto bellissima, perché quando la Formula 1 arriva a casa nostra è sempre un’emozione unica. Sono passate le 22 quando vediamo arrivare una sagoma bianca e celeste: è lui, il nostro treno.
Neanche il tempo di fermarsi che ci fiondiamo su, ci sediamo e continuiamo a confrontarci. Il viaggio è lungo, tanto che la stanchezza ha la meglio su ognuno di noi. E menomale che Milano era il capolinea, altrimenti chissà in quale cittadina ci saremmo trovati. Non sappiamo minimamente cosa sia successo in quelle ore, perché l’ultima fermata che ricordiamo è quella di Parma. Sono le 00:30 e la nostra “Odissea”, così come l’ha definita un nostro amico, è terminata. È stato un casino, ma sappiamo già che alla prossima occasione saremo pronti a rifare tutto daccapo. Serve però maggiore rispetto, perché alla fine, come spesso accade, chi di dovere se n'è lavato le mani, com'è evidente dalle risposte ricevute. Occorre migliorare, perché non basta avere uno dei tracciati più belli del mondo se ogni anno la storia è sempre la stessa: nulla è realmente cambiato, perché sono stati fatti solo proclami mettendo in difficoltà tantissime persone. E a nulla serviranno le lamentele degli organizzatori se il Gran Premio salterà, perché Imola, così come Monza, è stata avvisata tante volte.
