Niente da dichiarare?
Siamo giornalisti e stiamo andando a Sion a vedere Belgio-Italia.
Giusto, ci sono i Mondiali delle donne.
Europei. In realtà sarebbero gli Europei femminili.
Ah, Europei. Prego, prego, andate.
Inizia così questo reportage. Con me che al confine tra Italia e Svizzera correggo due finanzieri, perché se è vero che non ho nulla da dichiarare è anche vero che ho sempre qualcosa da precisare, come direbbe il mio amico Lorenzo. Booking.com mi ha invitato a un viaggio stampa per assistere all’esordio delle azzurre al campionato europeo di calcio che si svolge in Svizzera. Nello specifico sono stato invitato a Sion, allo Stade de Tourbillon. A quanto pare, da un sondaggio condotto dallo stesso Booking, quasi un italiano su due (il 47%) vorrebbe essere in Svizzera a tifare per l’Italia, tanto che – fanno sapere dal sito di prenotazioni alberghiere - sono schizzate alle stelle le ricerche di strutture nelle città dove si disputeranno le prime tre partite dell’Italia (Sion +3744%, Berna + 363%, Ginevra + 94%). Si tratta di numeri impressionanti che del resto non stonano con gli ultimi dati sul calcio femminile. In Svizzera quest’anno si è battuto il record dei biglietti venduti nella massima competizione continentale (quella da poco iniziata è la quattordicesima edizione degli europei) e inoltre, secondo Forbes, nel 2030 il calcio femminile sarà il quinto sport più seguito al mondo.

Ma Gazzetta e Corriere dove sono?
Nonostante ci sia uno spot svizzero (non so trovare un modo per definirlo se non davvero molto svizzero, ma guardatelo e poi giudicate voi) in cui Michelle Hunziker e Yann Sommer suggeriscono di arrivare agli europei in treno, il mio treno per Sion (da Milano) viene annullato qualche giorno prima del viaggio. Questo significa che per arrivare in tempo utile per il calcio di inizio devo partire all’alba da Firenze e poi a Milano troverò un NCC che in circa tre ore mi porterà nella Svizzera francese.
Inganno la prima parte del viaggio leggendo i tre quotidiani sportivi italiani. La notizia della partita è nel taglio alto di Gazzetta (che nel titolo parla di Signora del gol, ma il riferimento è alla la Juve e non ad Arianna Caruso), in quello basso del Corriere dello Sport e in quello centrale di Tuttosport, All’interno le informazioni sulla gara occupano circa una pagina su ogni giornale. La cosa stona un po’ perché due main sponsor delle azzurre (Acqua Lete ed Esselunga) e la nazionale stessa (con la campagna Le azzurre siamo noi, su cui torneremo tra qualche riga) hanno comprato diversi spazi (su Gazzetta addirittura tre pagine intere) per celebrare l’evento e augurarsi il meglio per quell’avventura all’inizio. Ora: senza dare lezioni di economia e giornalismo a nessuno, penso sia lecito supporre che se si copre un evento scrivendo meno pagine di quante la pubblicità di quell’evento genera forse qualcosa nel sistema debba essere rivista. Quantomeno – per dirla da nerd del giornalismo – nei criteri di notiziabilità legati al calcio femminile.
Serve l’effetto gladiatore?
Ma dicevamo de Le azzurre siamo noi. Di questa campagna esiste anche uno spot molto bello dove video, musica e testo si fondono dando vita a un prodotto finale emozionale. La voce fuori campo, che dice frasi come Non chiedono il permesso, non fanno un passo indietro, entrano in campo come si entra nella storia (sottinteso: la atlete e quindi le donne) è di Luca Ward. Un maschio. Adesso: senza andare a disturbare Laura Morante che avrebbe trasformato questa cosa che deve dare carica in uno psicodramma alla Muccino (è un complimento, lo giuro), ma davvero non c’era un’attrice che potesse recitare un testo così potente trasmettendo pathos ed eccitazione? Serviva sul serio la voce de Il gladiatore? Siamo così ancorati agli anni Zero e fermi a Al mio segnale scatenate l’inferno?
Decido allora, una volta arrivato a Milano, mentre aspetto la macchina per la seconda parte del viaggio di sentire, tramite un contatto in comune, le ragazze di Gazze FC, una squadra amatoriale di calcio a cinque appena fondata a Roma, molto vicina agli ambienti culturali della città. Mi interessa il loro punto di vista e il loro impegno sociale. Parlo con Gaia (una delle cofondatrici, ma ci tiene a dire che sta parlando a nome di tutta la squadra) che mi aggiorna su un’iniziativa che partirà quel giorno e che in un certo senso è anche una fotografia della situazione attuale: abbiamo lanciato un piccolo ciclo di watch parties in una birreria per seguire le partite dell’Italia agli Europei insieme ad amici, conoscenti e chiunque sia curioso. Lo abbiamo fatto per creare un momento di visione condivisa, ma anche per testare l’interesse. Sembra assurdo, ma nella nostra bolla quasi nessuno sapeva che quest’estate ci fossero gli Europei. All’estero – basta seguire un paio di account di calcio o squadre grassroots inglesi, francesi, spagnole – c’è entusiasmo, partecipazione, hype. Qui da noi, il silenzio se non per qualche rara eccezione. E questo dice molto sullo stato del calcio femminile in Italia.
Ringrazio Giada in rappresentanza di tutte le Gazze e mi riprometto di andare a trovarle al mio prossimo passaggio per Roma. Nel frattempo è arrivato il signor Luigi che scorterà me e un altro collega fino in Svizzera. Gli chiedo cosa pensa del calcio femminile e mi risponde che a suo avviso è troppo lento e poco tecnico. Come se poi il calcio maschile italiano negli ultimi anni avesse proposto idee rivoluzionarie. Un pensiero quello di Luigi che probabilmente è molto vicino al pensiero dell’italiano medio. È un dato di fatto, non un giudizio.
Verso Belgio – Italia
Arriviamo in albergo dopo tre ore esatte di viaggio. Se ve lo stesse chiedendo (io me lo domandavo) l’albergo scelto da Booking.com in un viaggio offerto da Booking.com è più che dignitoso, sicuramente è il più vicino allo stadio e oltre a noi ospita altri giornalisti, la delegazione della Rai (Sara Gama compresa) e la quaterna arbitrale. La struttura è quasi tutta piena e molto – mi dicono alla reception – dipende dal fatto che chi ha prenotato con Booking in occasione degli Europei ha diritto al 50% di cashback. Non che l’economia svizzera abbia bisogno di questi strumenti, ma forse i tifosi e il calcio femminile sì.
Nonostante si chiami Fabio, il ragazzo del check-in parla solo francese (lingua per me assai ostica) ma siamo riusciti nelle operazioni. Fabio ci tiene a dirmi, provando a parlare un po’ di spagnolo (grande classico!), che anche lui sarà allo stadio, dopo, allo stand della Heineken. Vorrei chiedergli se lo fa per passione, per necessità o è un servizio che offre l’albergo a supporto della logistica dello stadio, ma il gap linguistico e la stanchezza del viaggio vincono sulla mia curiosità. Meglio ricaricare un’oretta le batterie mentali e del cellulare e poi avviarsi verso il match.
Il percorso dall’hotel allo stadio è davvero breve, meno di dieci minuti a piedi. Lo Stade de Tourbillon durante l’anno ospita del partite del Sion (Super League Svizzera) e ha una capienza di circa 16 mila posti. Per il giorno di Belgio – Italia sono stadi venduti circa 8 mila biglietti, in totale alla fine saremo un migliaio in più, tra inviti vari, omaggi e parenti. Decisamente un bel colpo d’occhio. Posso dire senza timore di aver visto partite di Serie A con meno pubblico.
Lungo la strada incontro tanti tifosi e tanti volontari che sorridono e danno indicazioni in tutte le lingue. Ci sono più belgi che italiani e questa differenza diventa sempre più netta man mano che ci si avvicina al fan village fuori dallo stadio. Molti dei tifosi “italiani” sono in realtà svizzeri e parlano poco l’italiano. Forse seconde o terze generazioni o semplicemente appassionati. Ci sono famiglie, molte coppie mamme-figlie in viaggio premio per la promozione a scuola, tanti bambini e tifosi mischiati tra di loro sugli spalti. Insomma: un sogno. Quello che dovrebbe essere il calcio prima e dopo ogni partita. Una festa, un evento sociale. Dico questo perché invece durante il match non mancheranno momenti tesi, vivaddio! La storia è nota dalla notte dei tempi e vale tanto per il calcio femminile quanto per quello maschile: l’Italia non sfonda, ma è in controllo della partita; sfrutta allora i falli per restare a terra e respirare. Durante questi momenti non mancano i fischi e qualche parola grossa, ma tutto avviene in maniera sana. Alla fine è il calcio è uno sport di contatto e non una cena di gala. Ben vengano le italiane che gestiscono il vantaggio in quel modo e ben vengano le proteste belghe dagli spalti se poi finiscono lì (e finivano lì). Dal mio punto di vista significa soltanto che c’è dietro un movimento che ci tiene.
Superati i tornelli dello stadio entriamo nel rigore del regime UEFA e da quel momento in poi tutta la birra è rigorosamente analcolica; una scelta comprensibile, ma non mi avranno mai. Preferisco – lo dico e lo faccio – pagare 7 franchi svizzeri per dell’acqua (per la precisione 7.50 euro, stando alla ricevuta elettronica che mi è arrivata sull’app della banca). Ci viene anche spiegato che una volta dentro gli spalti non possiamo uscire, sebbene stiamo in zona protetta e abbiamo superato i controlli di sicurezza. Quindi se vogliamo bere, comprare cibo e bevande o andare al bagno dobbiamo farlo prima di passare l’ultimo controllo e accedere agli spalti. Ci può anche stare (basta saperlo e infatti ci avvisano), ma un bagno o un bar sulle tribune dello stadio del Sion forse servirebbe.

Sul campo
Inizia il riscaldamento delle squadre e attraverso la tribuna per fare due chiacchiere off the records con alcuni parenti delle giocatrici che sono arrivati a Sion. Sono tesi e agitati. Ci sono mamme, papà, parenti amici e amori. Sono appostati dietro la panchina azzurra. La formazione viene annunciata durante il riscaldamento e poi - old but gold - parte Azzurro di Adriano Celentano. È proprio in quel momento che arriva una chiamata di mia suocera perché mio figlio Pietro vuole farmi conoscere la sua nuova amichetta con cui sta giocando in spiaggia. Si chiama Celeste. Penso che conoscere Celeste, mentre lo stadio canta Azzurro sia una coincidenza cromatica che mai più mi ricapiterà e in fondo penso che sia pure un segnale di come finirà quel giorno. Guardo da vicino ancora un po’ di riscaldamento, cerco con lo sguardo Manuela Giugliano, la mia calciatrice preferita, capitana della Roma e prima italiana a essere candidata al pallone d’oro femminile. Per me il simbolo del calcio femminile. Sarà lei all’ultimo minuto del primo tempo a fare un cambio di gioco a centrocampo che poi porterà al gran gol della Caruso.

Influencer e figurine
A fine primo tempo noto una ragazza italiana che sta cercando di farsi fare una foto a bordo campo, dà indicazioni precise e la foto deve essere esattamente come dice lei. Non credo sia una tifosa qualsiasi, mi avvicino e ci scambio due chiacchiere. Si chiama Agnese Nespoli, ha 21 anni e fa la content creator sportiva. Ha seguito lo scorso anno la Champions e la Kings League e ora è in Svizzera al seguito dell’Italia per Topps, un noto (soprattutto all’estero) marchio di figurine. Le dico che conosco l’agenzia di digital pr che segue quel brand, le chiedo se conosce il titolare, ma mi risponde che non ne ha la più pallida idea e che sicuramente lo sa il suo manager. Ma lo dice in maniera candida e sincera, senza nessuna malizia o pretesa. Semplicemente lei è una content creator con un agente e tra TikTok e Instagram ha più di 600 mila follower. Potrebbe tirarsela di più per come la vedo io e non avrebbe nemmeno torto. Le chiedo cosa si aspetta da quell’Europeo e mi risponde che le ragazze hanno le carte in regola per farcela; sarebbe un bel messaggio per tutto il sistema calcistico e per lo sport femminile in Italia.
Ma quindi come sta il calcio femminile? La partita finisce 0-1 e mentre mi avvio verso l’hotel mi domando dove sia la verità. Sta nel signor Luigi che mentre mi porta in Svizzera parla di gioco lento o nel record di biglietti venduti? Sta negli alberghi pieni secondo Booking.com o nella bolla delle Gazze FC che non ha idea che ci sia l’europeo? Sta nelle tre pagine di pubblicità comprate dagli sponsor o nella singola pagina di cronaca dei principali quotidiani sportivi? La sensazione è che il movimento calcistico femminile stia crescendo e lo stia facendo nel miglior modo possibile. O almeno i numeri di questo campionato europeo indicano questa strada. Se però mi fermo a pensare solo all'Italia allora qualcosa deve essere assolutamente rivisto. Gli USA dimostrano che il calcio non è uno sport per maschi, anzi. Quello che ci manca allora è la cultura. Il saper riconoscere una dignità e una serietà a un movimento. Se fossimo dentro Boris Stanis La Rochelle direbbe che è tutto molto italiano. Come sempre avrebbe ragione.