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Signori, crederci come Acerbi e Frattesi è il senso della vita. E vogliamo spiegarlo anche a quegli interisti di mer*a che del calcio non hanno capito niente

  • di Andrea Spadoni Andrea Spadoni

7 maggio 2025

Signori, crederci come Acerbi e Frattesi è il senso della vita. E vogliamo spiegarlo anche a quegli interisti di mer*a che del calcio non hanno capito niente
La vittoria dell’Inter nella sfida epica contro il Barcellona è anche la storia di resilienza e le tante rinascite di Francesco Acerbi, eroe nerazzurro a 37 anni, e di Frattesi che nei momenti importanti è sempre l’uomo decisivo...

di Andrea Spadoni Andrea Spadoni

Pazza Inter amala. Come fai a non amare una squadra così, che fino all’ultimo secondo di una partita di un’intensità pazzesca, di fronte a un Barcellona indemoniato, sotto di un gol, in ginocchio e con la lingua per terra, non molla. Anzi, addirittura risorge ribalta il canovaccio. Lo riscrive ed entra nella storia. Nerazzurri dall’Inferno al Paradiso in pochi minuti, quando le lancette dell’orologio del calcio, stavano per determinare la fine: tre fischi e a casa. Invece no. C’era ancora fiato per buttarsi sull’ultima palla, con tutta la rabbia possibile, con il cuore, con quella forza della vita che solo chi ha rischiato di perderla, conosce a fondo. Non è un caso che ci fosse Francesco Acerbi lì, a spingere in porta il cross di disperazione di Dumfries, come un attaccante vero, un rapace di area di rigore. Lui che in area ci sta, ma a sbattagliare con il centravanti avversario. Però doveva accadere così in quel momento. Ci vogliono uomini forti per questo tipo di imprese. Gente che sa convivere con le cicatrici della sofferenza, della rinascita. E quando incide la propria firma, lascia un segno profondo e definitivo. Perché a volte ci sfugge la dimensione dell’uomo dietro a calciatore. E Acerbi è un gigante.

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Un uomo di 37 anni che non ha mollato e non ha smesso inseguire i propri sogni anche quando la vita stessa gli aveva dato pugni devastanti che avrebbero potuto metterlo ko. Si chiamava cancro il suo nemico, altro che Barcellona. Per due volte gli aveva messo i bastoni tra le ruote, lo aveva massacrato, togliendogli la freschezza della gioventù. Nel 2013 la scoperta di un tumore ai testicoli durante un visita di controllo. Stop al calcio, chemioterapia e un percorso che lo aveva fatto diventare uomo più velocemente. Poi il ritorno in campo e quindi una recidiva. Grande paura, ma una certezza: mollare mai. Dal Milan, dove era arrivato come il sostituto di Nesta, se n’era andato per ripartire dall’inizio, dal Sassuolo. Dove aveva ricominciato a giocare. Perché, nonostante tutto e le difficoltà della vita, l’importante era mantenere vivo il sogno del bambino che voleva fare il calciatore ai massimi livelli. Dopo c’era stata la Lazio dove aveva incontrato Simone Inzaghi che nel 2022 lo aveva voluto in nerazzurro tra lo scetticismo generale. Però chi non si arrende, alla fine, vince. Questo ci hanno insegnato Francesco Acerbi e l’inter che hanno steso il Barcellona con la forza dell’amore che butta giù tutto, anche il talento di Yamal e le tattiche più innovative. “Ace” oggi è l’idolo dei tifosi e il gol epico alla Schnellinger che ha cambiato la storia della semifinale di Champions League si è unito ad altre eccezionali prestazioni e al partitone nella finalissima del 2023 persa contro il Manchester City in cui aveva annullato Haaland. Forza, tantissima, e passione che hanno sempre contraddistinto l’Inter di Inzaghi nei momenti cruciali, che si è espressa anche nell’urlo senza senso fino a morire di Davide Frattesi quando, come al solito, entrato dalla panchina, ha chiuso la pratica e ha colpito a morte il Barcellona per il 4-3 definitivo. Premio per un calciatore che ha saputo mettersi a disposizione senza mai mollare un centimetro. Un grande davvero, che si è ripetuto dopo aver già mandato all’inferno il Bayern Monaco.

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Un viaggio sull’ottovoltante per i tifosi nerazzurri che sono impazziti di gioia insieme a lui. Così tanto da cadere per terra in stato confusionale. Hanno qualcosa di speciale questi ragazzi che indossano la maglia nerazzurra che oggi incarna uno stile vincente del calcio italiano, tutto inzaghiano. Niente difesa e contropiede o corto muso, ma coraggio, unione e tanto amore per la maglia. Valori in cui dovrebbero riconoscersi tutti i tifosi, nessuno escluso. Anzi escludiamo quei tifosi di mer*a che se ne sono andati dopo il gol del 2-3 di Rapinha, a due minuti dalla fine, pensando fosse tutto finito. Ma cosa volevate fare? Evitare la fila? Tornare a casa prima? Scansare la bolgia della passione nerazzurra? Hanno fatto bene a non farvi rientrare allo stadio. Perché quei ragazzi che erano in campo a lottare anche per voi non ve li meritate.

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