Guardare Yamal è come vedere un documentario su Dio che gioca a calcio. L’Onnidribblante ha visione, sincronia, leggerezza. A 17 anni fa cose che sfuggono alla logica, con la freddezza e l’agonismo di chi ha visto tutto. Eppure una folla di signor nessuno si affretta a manifestare scetticismo. Profeta Yamal, giudicato da account con 32 follower. Fossi un erotomane del pallone, mi farei le seg*e sui suoi reel. Specie l’ultima ruleta, nell’andata di Barcellona–Inter: in mezzo a sei avversari con la Sindrome di Stendhal, strabiliati e immobili. Lo ha confermato il nobile Bastoni nel dopopartita. Un’azione che Caravaggio avrebbe intitolato Annunciazione del Gol. Lo stesso attimo iconico del Pibe de Oro circondato da mezzo Belgio, tanti Mondiali fa. Eppure, nel pieno di questa mia estasi divinatoria, ecco l’interferenza: “Messi a 17 anni era meglio”. Allora rispondo: Lamine Nasraoui Ebana, detto Yamal, a 17 e un giorno è diventato campione d’Europa con la Spagna e raccoglie quel consenso planetario che si concede al talento puro quando diventa arte. Un fenomeno che — parole di Simone Inzaghi — “nasce ogni 50 anni.” Dopo una partita in cui ha preso per mano il Barcellona sotto di due reti e lo ha riportato al pareggio con un gol che sfida la fisica.

Se non vi basta la mia moderata risposta, vi elenco alcuni nomi che, senza esitazioni, si sono inginocchiati al suo cospetto pedatorio: CR7, Lionel Messi, Rio Ferdinand, Gary Lineker, Declan Rice, Antonio Cassano, Francesco Totti e Robert Lewandoski. Proprio Lewa, compagno di squadra e freddo veterano, gli si avvicina mentre quel magro 13enne palleggia a bordo campo per fargli i complimenti. Una scena intima da vangelo sportivo. E ora si apre la seduta collettiva di psicoanalisi sul timore che i nostri idoli da cameretta vengano intaccati. È sempre così: all’arrivo di un nuovo Messia, parte del popolo dagli spalti urla: “Barabba!”. C’è quello che sogna un nuovo Goicoechea che gli spezzi le gambe. L’altro che tira fuori i più grandi castigamatti di ogni tempo: Montero, Gentile, Couto, Stam. Come se la ruleta, fatta ai tempi loro, fosse un sacrilegio da punire con il gesso per 5 mesi. Insomma, una riunione di linciatori anonimi. Integralisti del calcio che puzza, che evocano paleo-Benetti, nostalgici di quando “i difensori potevano picchiare”. È l’idea che i corpi maschili debbano passare per la violenza per essere legittimati. Il cartellino rosso di oggi è visto come un atto di castrazione, ennesima deriva del woke. Come se proteggere i piedi di un 17enne, sceso in terra per emozionarci , fosse un affronto al dogma del dolore necessario. La verità è che oggi il talento di un giovane non ha bisogno di essere picchiato per esistere. È qui ora e si afferma e seduce perché è più reale dei nostri ricordi e quindi spaventa. Yamal non forza nulla, l’epica è al presente e gli esce dai piedi. E allora sì: capisco Boban - di solito lucido commentatore - che incappa in una paradossale critica andropausica alla pettinatura e presunta vanità. Yamal mette in crisi il comune mortale e le sue divinità di riferimento. Quindi capisco i difensori del proprio Pantheon personale: Pelé, Best, Cruijff, Maradona, Baggio, il Fenomeno, Ronaldinho, Zidane, Messi, metteteci anche Jimi Hendrix. Sono persone che si sentono minacciate nei ricordi e che proteggono la gloria impolverata dei loro VHS. Io vi ringrazio, siete spettacolari e vi leggo come foste i miei campioni: manca solo il commento di quello che incolpa Yamal di usare l’autotune. Il tifoso quando una nuova forma di Dio minaccia i suoi riferimenti si trasforma in una vedova isterica, in un ultras del tempo passato. Rilassatevi, sono un boomer anche io e detesto i trapper. Ma l’unica cosa che ho imparato è che il nuovo non sarebbe nuovo, se non spiazzasse anime e certezze. E poi Yamal è un ragazzino che in campo sorride, che ha imparato in strada, scartando adulti incazzati e cani randagi. Così funziona la selezione naturale nel calcio. E allora che martedì, per il ritorno di Inter-Barcellona, vinca il migliore. Che, di solito, è anche il più criticato nei bar.
