Per chi segue le corse farsi un’idea su Marc Marquez è un esercizio complicato, il motivo principale è che ad ogni stagione la storia cambia e aggiunge uno strato, una sfaccettatura diversa: Marc che è il talento puro, poi l’erede di Vale, più tardi il suo boia. E ancora: l’imperatore cannibale e instancabile, il pilota che fa i conti col ritiro, quel fuoriclasse che torna su di un campo di battaglia ormai cambiato. Ad ogni anno che passa la sua storia si evolve e i modifica. Ognuno ha la sua su Marc Marquez, da chi lo vede come un disgraziato che farebbe bene a chiudersi in casa e chi invece è convinto che un pilota più grande non lo vedremo mai più.
Etichettarlo e incasellarlo è difficile perché nello sport un altro personaggio così controverso e potente non c’è. Così per cercare qualcuno che gli assomigli siamo andati oltre, un po' perché ci piace esagerare e un po' perché uno così lo puoi trovare soltanto nelle storie, rimestando nell’epica con cui quasi tutti ci siamo trovati a fare i conti ad un certo punto della nostra carriera scolastica.
Ulisse, tra le medie e il liceo, è sempre piaciuto a tutti. Combatteva come gli altri ma era più furbo di loro, abbastanza da farci capire che con la testa si risolvono anche i problemi che la gente tende ad affrontare con la forza. Con la furbizia viene a capo della guerra di Troia e si guadagna un libro tutto suo, forse più bello ancora, sicuramente anche quello da studiare perché qualcuno finirà interrogato. Ma il nostro è un fuoriclasse, un fantasista alla Maradona.
Chi si è trovato a spaccarsi la testa sulla Divina Commedia sa che la storia di Ulisse non finisce a Itaca, con il ritorno dalla sua Penelope e dal cane Argo. Finisce all’inferno, più precisamente con le sembianze di una fiammella nell’ottavo cerchio, all’ottava bolgia riservata ai fraudolenti. È il canto XXVI della Divina Commedia uno dei momenti più alti dell'opera di Dante, roba che i più sfortunati hanno dovuto imparare a memoria. Eccolo lì Ulisse, che brucia all’inferno per non essersi accontentato. Nel suo curriculum peserà di certo l’inganno del cavallo, ma se Dante lo spedisce laggiù, ai piani bassi, non è per la guerra di Troia. È perché non ha saputo fermarsi e ha trascinato i suoi uomini oltre le Colonne d’Ercole, confine del mondo - che al tempo veniva identificato come lo Stretto di Gibilterra - da cui si intravede il monte del purgatorio. Ulisse voleva diventare esperto del mondo, della gente e dei vizi, convinto che il fine ultimo dell'esistenza fosse inseguire la conoscenza e spingere il limite delle cose un po' più in là. Chiaramente va a finire male, con la barca sepolta dalle onde nel giro di poco.
Dante mette l'eroe all’inferno ma non lo disprezza come fa con buona parte degli altri, perché quella voglia di sostituirsi a Dio e fare qualcosa di più grande non puoi davvero condannarla. Se volete spiegare le corse al vostro vecchio zio, ditegli che dall’ottavo cerchio all’ottavo titolo è un attimo, che la storia di Ulisse è un po' anche quella di Marc Marquez: per arrivare dov’è oggi ha mentito, spinto più degli altri e giocato ogni carta possibile. Marc è un eroe moderno e al contempo un povero bastardo, perché questa smania più forte di lui l’ha portato prima a dominare e poi a perdere tutto. Riassumendo, se esageri prima o poi te lo prendi nel culo. Ma l'’insegnamento di Dante, Ulisse e Marc Marquez è che probabilmente ne vale comunque la pena.