Mattia Bellucci è la rivelazione sportiva di questa prima settimana di febbraio, anno del Signore 2025. Arrivato agli ottavi di finale dell'ATP 500 di Rotterdam dopo aver battuto un olandese (Rottgering) nei sedicesimi ed essersi sbarazzato di altri due giocatori di casa (Brouwer, Boogaard) nelle qualificazioni, il ventitreenne di Castellanza si è imposto per la prima volta in carriera su un top ten (Daniil Medvedev, sconfitto al terzo set), confermandosi due giorni tardi nel quarto di finale disputato contro Stefanos Tsitsipas (dodicesimo nel ranking), sconfitto con un netto 6-4 6-2. Riassunto? Oggi in semifinale affronterà Alex De Minaur e, nella peggiore delle ipotesi, Mattia lunedì sarà comunque tra i primi settanta del mondo, risultato conquistato dopo anni di gavetta vera, spesa in ogni angolo del globo, tra le più disparate tappe dei Futures e dei Challenger del circuito ITF, dove le condizioni di viaggio non sono quelle dell'ATP e il tennis diventa lotta per la sopravvivenza anche fuori dal campo.
Infatti è già un idolo: piombando sul Centrale glamour di Rotterdam vestito metà Adidas e metà Nike - con la bandana blu in testa, la mente agonisticamente sgombra e gli assalti pirateschi a rete dopo attacchi in back - ci ha fatto sentire parte della sua impresa. È uno di noi Mattia Bellucci, uno arrivato dal basso sui palconscenici più chic, dove continua ad essere sé stesso: meravigliosamente anticonvenzionale, mancino, sfrontato come uno che gioca a tennis al meglio delle possibilità, indipendentemente da tutto ciò che gli gravita attorno. Anche per questo C.P. Company, brand storicamente attento alle sottoculture, ha puntato gli occhi su di lui, che in Olanda ha fatto il suo ingresso in campo con giacca e borsa degli indumenti firmate dal marchio bolognese.

C.P. Company, icona dello sportswear sin dagli anni '80 - da quando gli spalti degli stadi inglesi hanno cominciato a rimpirsi di tifosi che indossavano le giacche disegnate da Massimo Osti - è sbarcata nel mondo del tennis puntando sul gioco retro e maledettamente efficace di questo ragazzo nato nel varesotto e crescuito tecnicamente sui campi del Quanta Club a nord di Milano, dove il coach Fabio Chiappini ha razionalizzato un rovescio piatto che concede pochissimi gratuiti e instillato una sicurezza a rete piuttosto rara per le nuove generazioni. Una partnership che, a ben guardare, era già scritta: nell'ultimo anno C.P. Company ha bucato gli schermi della Champions League, vestendo i calciatori di Bologna e Manchester City e rivoluzionando il concetto di tunnel fit, ovvero dell'abbigliamento che gli sportivi indossano nel pre partita, quando lasciano l'hotel, salgono sul pullman, arrivano allo stadio e imboccano quella galleria sempre più investita dalle telecamere che conduce agli spogliatoi prima e al campo poi. Ora, è possibile andare da Bologna a Machester senza passare per Castellanza? È possibile rendere attraenti i tunnel degli spogliatoi spesso scrostati e raffazzonati del mondo del calcio senza passare per quelli ben più lindi, illuminati e arredati del circuito ATP? Evidentemente no, perché C.P. Company ha deciso di sfondare le pareti di quei corridoi. Lo farà con Mattia Bellucci, fresco e sfacciato come il suo servizio dal basso sfoderato nei momenti più delicati. Chi, più di lui, può permettersi di indossare la Goggle Jacket - quella con le lenti incorporate al cappuccio - sui prati ascetici di Wimbledon?
