Silvio Baldini è un calcio nel sedere al mondo del pallone. Non al gioco, non al calcio in sé, ma all’ambiente, ai suoi paradigmi, alla sua banalità, ai suoi cliché. Un calcio nel sedere come quello che rifilò a Domenico Di Carlo nella prima giornata del campionato 2007-2008, in Serie A, al Tardini di Parma (e, anni dopo: “Avrei dovuto darglielo in testa”), come le parole affilate che riservò anni fa a Zamparini (“L’altra settimana, quando il presidente parlò, disse non c'è gioco, non c'è qui, non ce là, bene: un presidente fa meglio a dire a un allenatore non ti voglio, lo mette da parte e ne trova un altro. Dire tutte queste cazzate, perché sono cazzate, non serve a niente, non serve a creare fiducia, a creare uno spirito positivo. Serve solo a creare malumore, a farti incazzare. Io non lancio la sfida al presidente: io lancio la sfida al buon senso”), un modus vivendi eccentrico per questo mondo (“Io non insegno calcio, insegno vita”) ma che ha stregato alcuni dei suoi calciatori che, ancora oggi, lo adorano. Daniele Adani, su tutti.
Silvio Baldini domenica sera ha riconquistato la Serie B sulla panchina del Palermo perché “era scritto” che sarebbe andata così. Ineluttabile l’esito della doppia finale con il Padova, così come quello delle sfide contro Triestina, Entella, FeralpiSalò, e quella contro i giuliani, l’inizio della serie, era una “partita assegnata dal destino e il destino ha deciso che non avremmo perso”. Cita Santa Rosalia, Baldini, adora la Sicilia, la ama e si sente amato, perché vive di libertà e sensazioni. La B l’aveva abbandonato undici anni fa e per un quinquennio l’aveva abbandonato il calcio tout court. La B lo ritroverà tra qualche settimana, ma chissà sino a quando, soprattutto in un calcio come quello contemporaneo che, umanamente, non è il calcio di Baldini, uno che va letto con le sue stesse parole.
Conferenze stampa, flash interview, interviste, epifanie televisive, frasi a margine dei foglietti delle esercitazioni tattiche: un piccolo zibaldone, anzi uno ziBaldini, è l’unico collage di parole – anche imperfette dal punto di vista grammaticale, figlie della foga: la perfezione non è del suo mondo, ed è un bene che sia così – che può rendergli onore. Parole che non sono solamente significante. Sono significato. Quelle di cui sopra e le prossime.
“Mi sento un uomo felice quando mi sento un uomo libero, a volte capita facendo l’allenatore, a volte facendo altre cose”.
“Il coraggio deve essere accompagnato dalla passione”.
“Devi giocare per cercare delle sensazioni che ti fanno esprimere come tu fossi un poeta, come tu fossi un pittore, come tu fossi una persona che fa qualcosa di artistico: non devi mai rinunciare a questo, se rinunci a questo rinunci ai tuoi sogni”.
“Io sono innamorato del percorso che la vita mi ha regalato. La cosa più importante, anche se sembra banale, sono le emozioni che provo a pensare la mia famiglia”.
“A me sinceramente della vittoria e della sconfitta non me ne frega un cazzo, a me mi interessa il percorso, non me ne frega di questo mondo, non sono uno speculatore, voglio essere libero”.
“Non è ciò che la gente dice o commenta a tuo riguardo che determina il tuo futuro, bensì quello che dici a te stesso quando gli altri smettono di parlare”.
“Sono nato povero. I miei sono i valori trasmessi da chi ha vissuto le guerre. Se non avessi mia moglie e i figli, sarei già tornato nei monti in Sicilia”.
La disse, quest’ultima frase, nel momento in cui non era alla guida di nessun club, quando nessuno lo cercava. E in Sicilia è poi tornato, al Barbera. Ha vinto, da uomo libero. Ecco: chissà sino a quando il Palermo – sull’aquila rosanero vola City Football Group, nei rumors odierni – resterà libero. Baldini, invece, sì. A fare l’allenatore. O a fare altro.