Cè un vecchio, ormai vecchissimo, articolo di Mario Sechi che conservo e leggo in continuazione. C’è un passaggio – in mezzo a una disquisizione semi ironica ma tremendamente cinica e vera sull’essere berlusconiano – che oggi, all’indomani della notizia della morte di Silvio Berlusconi, suona continuamente in testa: “Sono stato Berlusconiano, anzi lo sono ancora e Berlusconi forse non lo è più. E ho anche qualcosa da dichiarare”. Anche io ho qualcosa da dichiarare: sono stato berlusconiano. Ok, di quelli che venivano dal Partito Radicale, di quelli che in quel partito liberale di massa che doveva essere Forza Italia sono stati sempre minoranza: troppo laici e pure troppo pannelliani, oltre che troppo poco socialisti. Ma che in quel sogno, l’unico che Silvio Berlusconi non sia riuscito a realizzare, ci hanno creduto veramente. Perché era il sogno del famoso popolo delle partite iva, perché era il sogno di quelli che al mattino alzano la serranda delle loro attività e combattono contro un socio occulto che si chiama Stato. Perché era il sogno di quelli che alle tanto abusate t-shirt di CheGuevara o di Benito Mussolini, quando si è ragazzini, avrebbero preferito, se fossero esistite, quelle di Cavour, o di un Benedetto Croce o magari – ma sarebbe stato troppo davvero – di un Murray Newton Rothbard.
Ok, la sto facendo lunga. Lunga e pure sbagliata, perché gli articoli in prima persona sono il peccato dei peccati in chi fa questo mestiere. E, a proposito di mestiere, come ce lo lego io un ricordo di Silvio Berlusconi al mestiere che faccio? L’ho incontrato una volta, a una cena in cui accompagnavo un politico locale, ma avrei poco o niente da dire, se non che scherzava con tutti e non sembrava la star della cena. Meno che mai l’uomo che aveva realizzato tutti i suoi sogni, nonostante li avesse realizzati davvero. E poi io, adesso che sono diversamente giovane, ho pure fatto la strada al contrario e se un tempo scrivevo di cronaca, oggi è di motori e motorsport che mi occupo. Però due parole su Silvio che non c’è più, proprio io che berlusconiano lo sono stato veramente (con tutto quello che può significare per uno che fa un mestiere in cui stare dall’altra parte - in quegli anni lì e nelle rosse Marche - sarebbe stato meglio) vorrei scriverle. Magari provando a giocarci sopra, perchè oggi le scenette lacrimose è meglio lasciarle a quelli che gli hanno augurato di crepare fino a ieri. Magari mettendo insieme la figura di un uomo in cui ho creduto con l’ambiente professionale che, invece, ho voluto. Amori, insomma, che non c’entrano niente l’uno con l’altro, ma tanto fancu*o alle regole, ogni tanto. Quale pilota della MotoGP sarebbe stato Silvio Berlusconi? Me l’hanno chiesto così, questa mattina, a bruciapelo e, senza volerlo, m’hanno fornito lo spunto per questo Be Folk.
Perché Silvio Berlusconi è stato Valentino Rossi, ma è stato pure Casey Stoner e, se andiamo a stringere, ha avuto tanto anche di Marc Marquez. Di quest’ultimo, soprattutto, la capacità di essere divisivo e, contestualmente, di vedersi riconosciute capacità non umane anche da chi lo ha odiato. Forse è stato Marc Marquez anche nel voler resistere un po’ troppo oltre i limiti (propri ma non solo) nel ruolo di re assoluto, finendo per rendersi a volte poco rispettoso della sua stessa storia e ritrovandosi scaraventato a terra da quelli che invece proprio lui aveva reso grandi (come Marc Marquez dalla sua Honda). Però Silvio Berlusconi, come già detto, è stato pure uno che ha realizzato tutti i suoi sogni, tranne uno: quello del partito liberale di massa che rappresentava l’idea iniziale di Forza Italia. E in MotoGP ce ne è un altro che ha realizzato tutti i suoi sogni, tranne uno: quello del decimo. Quel pilota si chiama Valentino Rossi e, come Silvio Berlusconi ha fatto nella scena culturale, ha rivoluzionato i linguaggi nel motorsport, riuscendo a farsi amare, prima ancora che dagli appassionati, da quelli che appassionati lo sono diventati grazie a lui. Ecco, è stato Valentino Rossi per il segno che lascia, ma è stato Valentino Rossi anche e soprattutto per l’approccio differente: guascone, spavaldo, apparentemente semplice e scherzoso, ma perfettamente studiato. Tanto da resistere per quasi tre decenni restando sempre e comunque il punto di riferimento, quando ormai anche i risultati non arrivavano più, leader di quella Forza Italia che fu il primo partito e che adesso è un atomo (a proposito, nelle mani di Tajani prepariamoci alla scissione dell’atomo).
Però ce ne è pure un altro ancora nella MotoGP che mi fa pensare a Silvio Berlusconi: Casey Stoner. Sempre un po’ scomposto, sempre di traverso, apparentemente in eterno affanno, ma capace di mandare tra le curve e senza farsi mai troppo male anche ciò che tra le curve non ci voleva andare. Ottenendo quell’effetto lì di chi ti fa chiedere “ma come ca**o fa?”. Uno, Casey Stoner, che come Silvio Berlusconi non ha mai voluto adeguarsi all’ambiente e che, piuttosto, provava a cambiarlo. Sbattendo la porta quando non ci riusciva. Silvio Berlusconi, ad esempio, lo ha fatto nel calcio, da presidente di un Milan che era organizzato in maniera totalmente diversa rispetto a qualsiasi altra squadra, sia in campo, sia fuori dal campo. Tirandosi dietro i cattivi giudizi di quelli che tutto deve restare sempre come è, salvo poi farli ricredere diventando (nel caso del Milan di Berlusconi anche più di una volta) i padroni indiscussi del mondo. E fino a costringere tutti gli altri a cambiare e adeguarsi, piuttosto, a lui, proprio come quando, dopo Casey Stoner, il traverso in MotoGP è diventato il Vangelo di tutti.
Quindi no, per fare un Silvio Berlusconi della MotoGP ci vorrebbe un mix di tre grandissimi: Marc Marquez, Casey Stoner e Valentino Rossi. A meno che non allarghiamo lo sguardo, senza distoglierlo dalle corse in moto, ma andando oltre i piloti. Ecco, in quel caso un Silvio Berlusconi della MotoGP ci sarebbe: Carlo Pernat. Ok, la prima associazione è scontata: l’amore per la bella vita e le belle donne. Ma c’è anche qualcosa di molto più profondo: la capacità di attraversare il tempo senza arrendersi nemmeno al tempo stesso, che nel frattempo passa. Credendoci sempre, coniugando esperienza e gusto per il futuro e ritrovandosi a essere ancora il punto di riferimento per quelli che vogliono riuscire. Riuscire e vincere. Senza prendersi troppo sul serio, ma anche senza scherzare neanche un po’. Con quella leggerezza che, magari, è veramente il modo per volare in alto di brutto e ritrovarsi con avversari mai realmente all’altezza.