Semplicità in tutto, dal sorriso, alle reazioni, all'outfit con quella felpa azzurro chiaro. Ma l'emozione per la prima conferenza stampa dopo tre mesi Jannik Sinner non è riuscito a nasconderla. Ed è stato altrettanto sincero quando gli è stato chiesto se si sia sentito telefonicamente con giocatori come Carlos Alcaraz e Alexander Zverev: “Il tennis è uno sport individuale, non c'è una squadra e ognuno ha le proprie persone intorno. Alla fine, non mi sono sentito quasi con nessuno. Un po’ con Jack Draper, che è venuto ad allenarsi con me e con cui siamo ottimi amici, poi è venuto Sonny (Lorenzo Sonego ndr), ci siamo sentiti molto. All'inizio della sospensione ho avuto messaggi sorprendenti di alcuni giocatori, mentre altri da cui mi aspettavo qualcosa non è arrivato nulla, ma alla fine è normale, perché ognuno vuole vincere. Quindi no, non c'è stata nessuna videochiamata con altri giocatori”, dice il numero 1 al mondo forse togliendosi anche un sassolino dalla scarpa.

Ma, più che il volto del vendicativo, Jannik aveva quello del rammarico. Un rammarico per aver dato tutto in questi anni al movimento del tennis italiano e mondiale e che forse ha provato su sé stesso il significato della parola ingratitudine e irriconoscenza. Ma va rispettato profondamente per il modo in cui ne ha parlato: senza puntare il dito come avrebbero fatto altri, senza fare i nomi degli assenti, conscio che certi silenzi sono molto più eloquenti delle parole. Tre mesi fuori da tutto. Non solo dal campo, ma dal mondo che gli girava attorno. Dal tennis, dagli altri sport, dalla vita vissuta: “Non so quanti lo sappiano, ma non potevo assistere a nessun evento sportivo dal vivo. Non potevo andare allo stadio a vedere una partita, né a una corsa ciclistica, né a una gara di motori. Quella per me è stata la parte più difficile”. Non gli mancava solo il gioco. Gli mancava l’aria. I rituali. Le abitudini. La sospensione ufficiale è cominciata il 9 febbraio, ma la frattura è iniziata prima. Quando, nel marzo 2024, era risultato positivo due volte al Clostebol. Una sostanza proibita, ma assunta senza saperlo. Una contaminazione dimostrata punto per punto, fino alla ricostruzione del massaggio ricevuto dal fisioterapista. Nessun dolo. Nessuna volontà. Ma serviva scegliere: o combattere ancora, o chiudere. “All’inizio non volevo accettare”, ha detto. Lo ha detto senza cercare comprensione o giustificazioni. “È stato difficile, perché so cosa è successo. Ma a volte bisogna scegliere il male minore. Ora è tutto finito”.

Ma non tutto è stato buio: “Sono felice di aver potuto passare del tempo con la mia famiglia”, ha detto. Un dettaglio che non è solo affetto, ma una nuova centralità di chi è sempre stato in secondo piano nella sua vita iperprogrammata e che adesso è diventato punto di riferimento. Un tempo nuovo, per guardare chi c’è davvero. E per ripartire. “Ho capito cosa è davvero importante. E per me sono le persone che ho fuori dal campo. Quelle che ci sono sempre. Loro mi danno la forza di andare avanti e continuare a sorridere nonostante tutto”. Un concetto ripetuto con la lucidità di chi ha visto cosa resta quando il rumore scompare. E poi la domanda inevitabile: cosa sarà più difficile, adesso, appena sceso di nuovo in campo? E cosa invece gli verrà più naturale? “Sicuramente la cosa più bella sarà entrare nuovamente in un campo e vedere la gente, il tifo”, ha detto. Una routine che per mesi è sembrata lontana, scontata prima del caos, e adesso da riconquistare. “Dall’altra parte però c’è la pressione, anche qualche dubbio, come è giusto che sia, per vedere a che livello sto giocando”. Ma poi si è lasciato andare a un sorriso che sembrava liberatorio: “Non ho paura di andare in campo. Sono felice di essere qua. Abbiamo fatto il massimo in questi mesi anche per essere abbastanza freschi e pronti per giocare”.

Non ha grandi promesse da fare. Solo una direzione: andare avanti. “Non ho grandi obiettivi per Roma. Non so come reagirà il mio gioco. Il vero obiettivo è Parigi. Voglio solo passare il primo turno, poi vedremo. Siamo tranquilli, stiamo bene fisicamente e mentalmente, siamo riposati. Questo potrà tornare utile a fine stagione”. Debutterà al secondo turno, contro il vincente tra Mariano Navone e Federico Cinà. E se dovesse essere proprio il giovane azzurro, sarebbe un derby generazionale di quelli da ricordare. Da una parte il numero uno del mondo che torna dopo il ciclone. Dall’altra un diciottenne al primo vero palcoscenico. Un passaggio di testimone solo apparente, ma che rende bene il momento. E ora Roma vuole vedere solo Jannik Sinner.