Un Sinner così non lo avevamo mai visto. Di solito le sue risposte sembrano uscite da un manuale, con frasi pulite, scolpite, che non lasciano mai una virgola al caso. A tirarlo fuori è stato Gian Marco Chiocci, direttore del Tg1, che nell’intervista andata in onda ieri sera ha fatto qualcosa di raro: raccontare l’uomo, non solo il campione. E non un uomo qualsiasi, ma un ragazzo di 23 anni che ha dovuto reggere un ciclone addosso, stringendo i denti mentre tutto intorno sembrava franare. Uno scaltrissimo e disinvolto Chiocci è riuscito a sciogliere il grumo Sinner, di solito così abbottonato da sembrare quasi un alieno. “Iceman” invece è apparso insolitamente loquace, quasi affabile, ma soprattutto sincero. Parlava, raccontava, si apriva. Eppure, si nota ancora lo scarso contatto visivo di Sinner, indicativo forse di una timidezza che tenta di tenere a freno. Come se avesse ancora paura di esporsi troppo. Come se mettersi davvero a nudo lo spaventasse. Ma proprio lì, in quella tensione trattenuta, si capiva che stavolta stava dicendo tutto.

Non è stato facile. Anche perché, come lui stesso ha ricordato, “ho pensato di mollare tutto”. Parole forti. Che pesano. “Mi ricordo prima dell’Australian Open quest’anno. Ero in un momento non felicissimo. C’era ancora il caso di doping. E a fine anno ho detto: ok, è passato quest’anno, vediamo il prossimo”. Ma l’arrivo a Melbourne è stato uno shock: “Non mi sentivo proprio a mio agio, nello spogliatoio, quando mangiavo. I giocatori mi guardavano in modo diverso. Non mi piaceva proprio. Io ero sempre uno che scherzava, che stava nel locker room con questo e quell’altro. Stavolta, mi sono sentito fuori”. E lì capisci che il dolore vero non è quello della squalifica, ma dello sguardo degli altri. Della solitudine. Della diffidenza. “Non ho capito quello che è successo, non sapevo niente. Ho fatto fatica ad accettare questi tre mesi, perché nella mia testa non ho fatto niente. Ho vissuto un anno intero di difficoltà”. Anche se, per fortuna, un punto fermo c’era: “Mi sono costruito una bolla, dove nessun altro entrava. E quella bolla mi ha salvato. Ho ritrovato la voglia di continuare, di prepararmi bene per gli Slam”.

Eppure, nonostante le prove, c’è chi ha insinuato che fosse stato trattato con i guanti. Come Federica Pellegrini, che aveva parlato di “disparità”. Sinner non reagisce, non si agita, ma spiega: “Ognuno è libero di dire quello che vuole. Per me è importante che so io quello che è successo e che ho passato. Non mi interessa rispondere a quelli che mi hanno attaccato. Non auguro a nessuno di passare da innocente una roba del genere”. Chiocci è riuscito a portarlo anche fuori dal campo. Dove, lo scopriamo, non è affatto un robot. “Ho scatti anche io. Giocare a tennis è come il poker. Se vedi che l'altro fa fatica, questo ti dà forza. Ho momenti in cui sono stanco, nervoso e non sento la partita; il mio team deve fare dei trucchi per farmi sentire la partita. Ma alla fine il tennis è un gioco e devi giocare. Spaccare la racchetta o tirare la pallina non serve”.
E poi, quel dettaglio che dice tutto: “Si guarda sempre ai risultati, però come mi sono sentito io in campo non era come un giocatore si dovrebbe sentire. Noi ci alleniamo tanto per poi divertirci quando giochiamo una bella partita. Io questo divertimento, giorno dopo giorno, l'ho visto andare un po' via”. E lì si capisce quanto davvero abbia rischiato di staccare la spina. Poi c’è il Sinner che sogna, che racconta di quando da piccolo pensava alle auto: “Il mio sogno era quello di diventare un pilota di Formula 1, perché ho una grande passione per le macchine. Ma senza soldi cosa potevo fare?”. Il colpo preferito? “Il rovescio”. E dai colleghi prenderebbe “il tocco di Carlos Alcaraz e la sensibilità di Lorenzo Musetti”.

La parte più tenera, però, arriva quando parla del futuro: “Mi piacciono i bambini, e spero di avere dei figli. Ma adesso sarebbe troppo presto, non sarei un buon padre”. Il motivo è semplice e toccante: “A 14 anni ho lasciato la famiglia per vivere con quella croata del mio allenatore. Ho dovuto crescere in fretta. Imparare a fare la spesa, a lavare, a stirare”. E quando era più piccolo, bastava un viaggio a Bolzano per farlo piangere: “Anche solo per andare a giocare a Bolzano, a due ore da casa. Ho fatto sacrifici e non voglio buttarli via. So che la vita vera è fuori dal campo. L’importante è tenere le cose nel giusto equilibrio”. Ora Roma lo aspetta. Tornerà al Foro Italico da prima testa di serie, mentre Djokovic ha già dato forfait. “Mi manca la competizione, sono molto contento che questa fase è terminata e sono pronto a ripartire, anche se un periodo di stop, magari non così lungo, mi serviva”. E sul ritorno a casa, dice: “Sarà come uno stadio di calcio, pazzesco”. Per una volta, il pubblico lo guarderà in un altro modo. Non più soltanto da fuoriclasse. Ma da ragazzo che si è rialzato, con tutte le sue ferite addosso. E che ha avuto il coraggio di raccontarle in diretta nazionale.