Yassine Ouhdadi non è un nome qualunque. È il campione paralimpico dei 5000 metri, oro a Tokyo nel 2021 e ancora oro a Parigi nel 2024. Ma oggi il suo palmarès subisce una ferita profonda: squalificato per tre anni, Ouhdadi perderà la medaglia conquistata in Francia. Il motivo? Una positività al Clostebol riscontrata in un test fuori gara del 28 luglio 2024, alla vigilia dei Giochi. La decisione del Comitato Paralimpico Internazionale è arrivata solo ora, ma la mazzata è definitiva. E inevitabile. Dopo la notifica della squalifica, ricevuta il 27 febbraio 2025, ha dovuto lasciare tutto: casa, struttura, sogni. È tornato alla sua abitazione abituale, con addosso lo stigma che colpisce tutti coloro che risultano positivi a una sostanza dopante, anche quando, come nel suo caso, si professa l’innocenza. “Pensavo fosse un errore, ma si è trasformato in un incubo”, ha scritto Ouhdadi in un post poi rimosso dai suoi social. “La causa era il Clostebol, uno steroide anabolizzante presente in creme oftalmologiche e ginecologiche per la guarigione delle ferite. La speranza era trovare la fonte, magari un massaggio, un contatto involontario con chi lo aveva usato. Ma ricostruire i contatti di otto mesi fa è stato impossibile. È rimasta solo l’impotenza”.

In Spagna il caso ha fatto rumore, e non solo per la figura dell’atleta. Tutti i media iberici lo hanno messo a confronto con la vicenda di Jannik Sinner, anch’egli trovato positivo al Clostebol a marzo 2024, durante il torneo di Indian Wells. Ma se sulla carta la sostanza è la stessa, le storie non potrebbero essere più diverse. Perché Sinner non solo ha dimostrato la contaminazione involontaria, ma lo ha fatto con una precisione documentale e cronologica tale da spingere la Wada a optare una squalifica minima di tre mesi. Il punto è tutto lì: nella capacità (e possibilità) di ricostruire i fatti. Sinner lo ha fatto subito, esercitando i suoi diritti entro i termini previsti dalla normativa. Ha dimostrato che la contaminazione è avvenuta per via di un massaggio ricevuto dal fisioterapista, che aveva appena usato lo spray Trofodermin, contenente Clostebol, per trattare una propria ferita alla mano. Il tutto senza guanti. Il Clostebol è finito sulla pelle di Sinner, assorbito durante il trattamento, come certificato da esami e ricostruzioni video. Una dinamica credibile, dimostrata, accettata. E soprattutto, mai finalizzata a migliorare le prestazioni.

Ouhdadi, invece, non è riuscito a fare lo stesso. Non ha potuto spiegare con chiarezza l’origine della contaminazione. E anche se continua a dichiararsi innocente, ha accettato la squalifica di tre anni. Una vicenda che ricorda più quella della pattinatrice Laura Barquero che non quella di Sinner. Anche lei spagnola, anche lei positiva al Clostebol. La prima volta fu assolto per contaminazione involontaria. Ma alla seconda positività non ci sono state più attenuanti: sei anni di squalifica e addio alla carriera. Come Ouhdadi, la Barquero non è riuscita a dimostrare nulla. E per l’antidoping, conta solo questo: o ricostruisci la dinamica, oppure paghi. La Wada, nel caso di Sinner, è stata chiarissima: “Lontano anni luce dal doping”. Una frase che chiude ogni discussione, almeno sul piano dei fatti. Ma sui social, come sempre, le verità ufficiali non bastano mai. Ed è qui che entra in scena Nick Kyrgios. L’australiano, più noto per le sparate su Twitter che per i risultati in campo, ha fatto del caso Sinner un’ossessione. Ogni volta che può, torna a insinuare, alludere, gettare benzina. Ma con il connazionale Max Purcell, squalificato per 18 mesi dopo una trasfusione eccessiva di vitamine effettuata in una clinica di Bali, Kyrgios cambia tono. E attacca, questa volta, l’intero sistema. “Onestamente, ma quanto è ridicola la sospensione di Purcell? Vitamine? Possiamo davvero giustificarla?”, ha scritto. “Morale della storia: prendete gli steroidi, ma non le vitamine”.

Peccato che Purcell non sia stato punito per la sostanza, ma per aver infranto le norme sulle quantità massime ammesse. Ma Kyrgios, ovviamente, tutto questo non lo dice. Preferisce dire, come aveva già fatto il 12 dicembre scorso, quando era esploso il caso Purcell, che “il nostro sport è nel fango”. E poi: “Dov’era questo tipo di annuncio quando sono stati sospesi i dopati come Iga e Sinner? I numeri uno del tennis sono entrambi positivi, siamo alla frutta”. Due pesi, due misure. Sempre. Perché Kyrgios non perde occasione per colpire Sinner o Swiatek, ma si ammutolisce davanti agli errori di casa propria. Il problema, però, è che mentre lui colleziona provocazioni, ci sono atleti come Ouhdadi che pagano con anni di carriera. E altri, come Sinner, che hanno saputo dimostrare nei tempi e nei modi previsti dalla legge antidoping la loro innocenza. È tutto qui, il confine tra giustizia e sospetto. Ma bisogna volerlo vedere.