Uno scivolone senza colpa, una sentenza a metà, una ferita per il tennis mondiale. Jannik Sinner, il volto pulito dello sport italiano, il numero uno capace di scalare il ranking con la sola forza del talento e della disciplina, è stato travolto da un caso doping che si chiude con un accordo ma lascia dietro di sé scie di polemiche. Tre mesi di squalifica, un tempo che sembra più un incidente di percorso che una vera condanna. Ma allora chi ha vinto davvero?
Il caso: due positività e una spiegazione plausibile
La vicenda inizia nel marzo 2024, quando due test antidoping — uno a Indian Wells e l’altro fuori competizione, prima del Miami Open — rilevano tracce infinitesimali di Clostebol nel sangue di Sinner. Parliamo di quantità microscopiche, inferiori a un miliardesimo di grammo. Il campione altoatesino, incredulo, si trova sotto il riflettore della cronaca più velenosa.
La spiegazione arriva: una contaminazione involontaria, un errore umano del fisioterapista Giacomo Naldi. Quest’ultimo, a seguito di un piccolo infortunio, aveva usato uno spray cicatrizzante, il Trofodermin, contenente Clostebol. Senza indossare i guanti, aveva poi massaggiato Sinner, trasmettendo la sostanza. Una svista, un dettaglio, ma sufficiente per far scattare il protocollo antidoping.
Il primo verdetto: Sinner innocente, nessuna colpa
Ad agosto 2024, l’Itia (International Tennis Integrity Agency) ascolta la tesi della difesa. Tre esperti scientifici la convalidano: la contaminazione è credibile, la quantità riscontrata non dà alcun vantaggio prestazionale. Il verdetto è netto: nessuna colpa, nessuna negligenza, nessuna squalifica. Sinner è innocente.
Ma il caso non finisce lì.
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L’appello della Wada: la battaglia sul principio di responsabilità
A settembre 2024, la Wada impugna la sentenza. Il punto non è la volontarietà, ma il principio sacro della “strict liability”: l’atleta è sempre responsabile di ciò che entra nel suo corpo. Poco importa se sia colpa sua, del fisioterapista o del fato. Per la Wada, la giustizia sportiva è una linea retta e senza eccezioni. Chiede al Tas (Tribunale Arbitrale dello Sport) una squalifica esemplare: da uno a due anni.
L’udienza era fissata per il 16 e 17 aprile 2025. Uno scontro frontale tra la volontà inflessibile della Wada e l’innocenza senza dolo di Sinner.
La svolta: l’accordo e la squalifica breve
Ed è qui che arriva il colpo di scena: a poche settimane dal processo, Wada e Sinner trovano un accordo. Niente giudizio, niente stangata: tre mesi di squalifica, dal 9 febbraio al 4 maggio 2025, con la possibilità di allenarsi (nel senso di con altri tesserati) già dal 13 aprile. Una punizione simbolica, ma che segna il nome di Jannik con l’asterisco infame: “doping case”.
Perché la Wada ha scelto il compromesso?
Dietro la mossa della Wada si cela più pragmatismo che clemenza. Ecco le vere ragioni:
- Evitare il rischio di una sconfitta pesante: Un’eventuale assoluzione piena di Sinner al Tas avrebbe creato un precedente pericoloso, minando l’autorità della Wada sul principio della “responsabilità oggettiva”.
- Salvare il principio: Con tre mesi, la Wada può dire di aver applicato la regola, seppur con una sanzione minima.
- Chiudere in fretta un caso scomodo: Il nome del numero uno del mondo associato al doping è una mina mediatica. Meglio chiudere la ferita rapidamente.
![Jannik Sinner, Wada e il caso del doping Clostebol](https://crm-img.stcrm.it/images/42484512/2000x/jannik-sinner-wada-e-il-caso-del-doping-clostebol.jpg)
Chi vince e chi perde davvero?
Jannik Sinner: vince o perde?
Vince, ma a caro prezzo. La squalifica è breve e gli consente di tornare in tempo per il Roland Garros e per continuare la corsa al Grande Slam. Inoltre, il pubblico e gli sponsor restano dalla sua parte: nessuno crede che abbia barato. Tuttavia, una macchia resta: il termine “doping” accompagnerà il suo nome nelle statistiche, e per un campione costruito sulla dedizione e sull’integrità, questa è la sconfitta più amara.
Wada: un trionfo amaro
Sul piano formale, la Wada ottiene ciò che voleva: una squalifica, il rispetto del principio di “strict liability”, e il monito al mondo dello sport. Eppure, nella sostanza, la sua immagine esce indebolita. L’accordo viene letto come una marcia indietro: da due anni a tre mesi suona come una resa. Inoltre, le polemiche sull’efficacia della Wada, già contestata dall’Usada e dal governo statunitense per la gestione di altri casi controversi, si fanno più aspre.
Il tennis: il grande sconfitto
La vera vittima è lo sport. Il tennis, che si fregia di essere disciplina di purezza, è stato colpito al cuore. Il numero uno del mondo, il volto nuovo e fresco di uno sport spesso appesantito da vecchie polemiche, è stato trascinato nel fango. Anche se senza dolo, il caso sporca l’immagine complessiva del circuito. E le polemiche sul trattamento riservato a Sinner rispetto ad altri atleti colpiti da squalifiche più dure non faranno che alimentare il sospetto di un sistema a due velocità.
E se il caso fosse finito al Tas?
Il rischio per Sinner era enorme: da uno a due anni di stop. Un colpo devastante per la carriera, l’immagine e i guadagni. Ma c’era anche il rischio per la Wada: una sentenza a favore dell’innocenza completa avrebbe incrinato il principio cardine della giustizia antidoping.
E ora? Il dopo-caso tra riscatto e ombre
Jannik Sinner tornerà in campo il 5 maggio. Lo farà con la consapevolezza di aver pagato per un errore non suo. E lo farà con una motivazione feroce: dimostrare che nessuna squalifica, nessun dubbio, nessuna ombra può oscurare il suo talento.
Ma la vicenda resterà come monito. Non solo per lui, ma per tutto lo sport. Il tennis, intanto, dovrà fare i conti con la propria immagine ferita. E la Wada? Dovrà chiedersi se l’inflessibilità cieca valga più della giustizia vera.
Alla fine, forse, non ha vinto nessuno. Ma, senza dubbio, ha perso il tennis.
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