Jannik Sinner, fresco vincitore del suo terzo Slam agli Australian Open, è al centro di una polemica che va oltre il tennis. A scatenare il dibattito è stata la sua risposta a una domanda sull’invito della Presidenza della Repubblica (rappresentata da Sergio Mattarella) al Quirinale per celebrare i successi del tennis azzurro del 2024. "Non lo so ancora, devo decidere", ha dichiarato Sinner, mentre posava con il trofeo all’Albert Park Lane di Melbourne.
Per Dagospia, un commento inaccettabile. Il sito di Roberto D’Agostino ha attaccato così: "Sinner, un altro campione che non sa stare al mondo. Dopo la vittoria dell'Australian Open, Jannik fa attendere il presidente della Repubblica Mattarella. Dite a Sinner che il Quirinale non è Sanremo: quando arriva l'invito da parte del capo dello Stato si batte il tacco e si va".
Un’accusa diretta, quasi sferzante, che taccia il numero uno altoatesino di scarsa sensibilità istituzionale. Ma è davvero così?
La filosofia di Sinner
Le parole del tennista, analizzate nel loro contesto, offrono una prospettiva diversa. Sinner ha più volte sottolineato quanto per lui sia cruciale trovare un equilibrio tra la vita privata e la carriera sportiva: "L'equilibrio fuori dal campo è fondamentale: è meglio prendersi un giorno più di pausa per essere al top e competitivo dopo, perché poi ci sono tanti tornei importanti".
Questa visione, che unisce pragmatismo e disciplina, non è nuova nel mondo dello sport di alto livello, dove ogni scelta deve essere ponderata in funzione della prestazione. Lo stesso Sinner ha ribadito: "Adesso ci sta avere un po' di tempo libero. Poi, quando ci rimetteremo al lavoro, il tennis avrà di nuovo il 100% della nostra attenzione"-
Chi ha ragione?
La questione sollevata da Dagospia, pur nei toni provocatori, tocca un tema interessante: fino a che punto un campione, che rappresenta il Paese nel mondo (al netto delle polemiche sulla residenza a Montecarlo), deve piegarsi alle regole del protocollo istituzionale? Da una parte c’è l’idea di rispetto per le istituzioni, che giustifica il tono duro di Dagospia; dall’altra, c’è l’approccio contemporaneo di un giovane atleta che guarda al proprio benessere psicofisico come priorità.
Non si tratta di snobismo o di una sottovalutazione del Quirinale. La domanda che resta sul tavolo è: ha senso colpevolizzare un campione per questa scelta, peraltro non ancora ufficializzata? Se Jannik rifiuta Sanremo è un eroe, ma se non ha tutta questa voglia di perdere una giornata o più, con annessi viaggi, per una ingessata cerimonia autocelebrativa (alla quale peraltro aveva già partecipato nel recente passato) è un disertore?