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Sport e transgender, Antonio Urso (FIPE):
"L'ormone maschile porta vantaggi,
anche se non presente da tempo"

  • di Gianmarco Aimi Gianmarco Aimi

11 maggio 2021

Sport e transgender, Antonio Urso (FIPE): "L'ormone maschile porta vantaggi, anche se non presente da tempo"
La sollevatrice di pesi Laurel Hubbard, transgender qualificata nella categoria donne alle Olimpiadi di Tokyo, ha aperto una questione che non mancherà di far discutere. Infatti, il presidente del FIPE (Federazione Italiana Pesistica) che abbiamo interpellato ammette: “Inevitabilmente l’ormone maschile, il testosterone che ha formato questa persona per un lungo periodo, ha costituito una figura biologica diversa da quella femminile”. E pur non avendo preclusioni alla partecipazione di questi atleti ha puntualizzato: “Gli studi sono relativi agli anabolizzanti. Il muscolo stimolato produce nella cellula una memoria e anche se questi ormoni non vengono più assunti, la memoria di quella cellula le consente di fare altro rispetto alla memoria di una cellula che non è mai stata stimolata”

di Gianmarco Aimi Gianmarco Aimi

Sta per avvenire una vera e propria rivoluzione alle Olimpiadi di Tokyo, vista l’apertura alla partecipazione di atleti transgender ma anche per le inevitabili divisioni che causerà nel mondo dello sport. Ad avviarla Laurel Hubbard, la sollevatrice di pesi neozelandese pronta a diventare la prima atleta transgender a competere ufficialmente alle Olimpiadi. La 43enne, nata di sesso maschile ma passata a quello femminile verso i 30 anni dopo diverse vittorie tra gli uomini, provocò le proteste delle rivali alla sua prima medaglia mondiale tra le sollevatrici donne, nel 2017, ed ha staccato qualche giorno fa ufficialmente il pass per i Giochi, in base alle nuove regole del Coronavirus. Dieci 'nanomoli' di testosterone per ogni litro di sangue, questa la soglia dei diritti sportivi per tutti i transgender del mondo e lei li sta rispettando. Questo in base alle direttive stabilite dal Cio, intervenuto a suo tempo per evitare nuovi dubbi e polemiche, dopo quelle per le prestazioni e le vittorie della mezzofondista sudafricana Caster Semenya, accusata dalle rivali di essere un uomo e in realtà affetta da iperandroginia.

Una questione complessa, sulla quale abbiamo interpellato Antonio Urso, presidente del FIPE (Federazione Italiana Pesistica), il quale ci ha spiegato che potrebbero esistere i presupposti per una competizione falsata dagli ormoni maschili dell’atleta transgender, anche se sviluppati in passato rispetto alle competizioni odierne.

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Antonio Urso, presidente del FIPE

Presidente, dopo la qualificazione Laurel Hubbard nell’ambiente dello sport ci si domanda se sia corretto che un atleta transgender gareggi nella categoria delle donne. La posizione del FIPE qual è in merito?

Bisogna partire da considerazioni di ordine biologico. La scienza dice che inevitabilmente l’ormone maschie, il testosterone che ha formato questa persona per un lungo periodo di tempo, ha costituito una figura biologica diversa da quella femminile. Per cui a parità di categoria, inevitabilmente ci possono essere dei vantaggi.

Quindi, mi sta dicendo che non sarebbe regolare la sua partecipazione nella categoria donne?

Questo aspetto va discusso e non è facile arrivare a una soluzione. Noi non abbiamo nessuna preclusione per la partecipazione di questi atleti, se non per il fatto che magari questo vantaggio potrebbe essere sfruttato inficiando il risultato di altre atlete. Ma richiede uno studio per capire quanti e quali sono i vantaggi.

Non sarebbe stato meglio prima approfondire gli studi e poi decidere, invece di farlo dopo la qualificazione?

Gli studi ci sono. Sono quelli relativi agli atleti che usano sostanze anabolizzanti. Il muscolo viene stimolato e produce nella cellula muscolare una memoria. E anche se questi ormoni non vengono più assunti, la memoria di questa cellula è capace di fare altro rispetto alla memoria di una cellula che non è mai stata stimolata in quel modo. Questo va dimostrato, per capire se produce vantaggi o svantaggi. Comunque, nessuna preclusione di principio agli atleti transgender.

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