Lewis Hamilton che ha scoperto di essere dislessico a diciassette anni, ignorato dal sistema scolastico, messo in difficoltà dai suoi stessi professori e presidi. Lewis Hamilton che si è sentito in difetto, sbagliato, stupido. Che ha saltato ore e ore di lezioni per inseguire un sogno, in giro per il Regno Unito e per l'Europa, dove comunque restava l'outsider. Il diverso.
Che si prende la sua rivincita e vince tanto, tantissimo, più di tutti gli altri tra gli ingranaggi di uno sport fatto di talento, fortuna, scelte giuste. Lewis Hamilton che da qualche parte però resta quel bambino fuori posto, fuori tempo e fuori luogo. Affamato di rassicurazioni e pacche sulle spalle che hanno la forma di premi, coppe e medaglie. Numeri che scrivono la sua gloria, che lo formano e lo forgiano.
Un’iradiddio. Un animale che sa di avere la forza dentro la propria coda, pungiglione per proteggersi e attaccare. Cresce, vince, e gli resta addosso quella roba lì. Quell'essere sempre nella posizione di dover dimostrare qualcosa, a sé e agli altri. Perché "vince grazie alla macchina" negli anni di dominio Mercedes, perché perde contro Nico Rosberg, suo compagno di squadra, e deve ricominciare ancora da zero. E perché a fine 2021 prende un colpo che non avrebbe mai pensato di dover incassare.
Un mondiale, l'ottavo, quello dei suoi sogni impossibili, gli viene tolto all'ultima curva dell'ultimo giro del campionato. Una decisione presa fuori dalla pista, uno schiaffo a quel bambino che proprio in pista ha sempre cercato la sua giustizia. Rialzarsi non è semplice, ma Lewis lo fa. Torna quando tutti pensavano si sarebbe ritirato, si riemette in gioco con la squadra, con il nuovo regolamento, con un giovane compagno di team pieno di talento e voglia di dimostrare. La Mercedes è un disastro agli albori del 2022 ma Hamilton si rimbocca le maniche.
Corre per sé, per dimostrare ancora qualcosa a quel bambino da sempre in cerca di un modo per colmare la sua fame. E ce la fa. Ce la fa per tutto l'anno, dimostrando una grinta e una voglia di combattere, anche quando in gioco non c'è il titolo mondiale, che nessuno pensava sarebbe riuscito a ritrovare. Ce la fa soprattutto ad Austin dove, in lotta per la vittoria, il suo ingegnere Bono si apre via radio per incitarlo: "Vai per la gloria, Lewis".
Ma la gloria già è lì, dentro quella lotta che per Hamilton si concluderà con un secondo posto. È nell'avere nella coda ancora il veleno necessario per potersi difendere, pungiglione di un'anima che ha goduto tanto, vincendo tutto ciò che c'era da vincere, ma per farlo ha dovuto fare i conti con la dedizione, le critiche, la richiesta continua di azzerare tutto, dimenticando premi e successi, e ricominciare da zero. Non è la gloria di un secondo posto, quella di Austin. Ma è la gloria dell'avere ancora fame, sete, voglia di pungere gli altri. Di essere ancora, sempre, Lewis Hamilton.