È da quando la MotoGP si chiama in questo modo, quindi da poco più di vent’anni, che il motociclismo ha ruotato attorno a due personaggi: Valentino Rossi prima e Marc Marquez poi, due piloti che da soli hanno vinto più di tutti gli altri messi assieme, nello specifico Hayden, Stoner, Lorenzo, Mir, Quartararo e Bagnaia. Ora, per la prima volta, la MotoGP sta vivendo un momento in cui a governare la categoria non è un pilota ma un costruttore, Ducati, che negli ultimi anni ha totalmente monopolizzato le classifiche.
Qualche numero: da inizio 2023 ad oggi si sono corsi 39 GP la domenica, di cui uno vinto da Honda (con Alex Rins in Texas, nel 2023) e tre conquistati da Aprilia, mentre tutti gli altri sono roba di Ducati Corse, Borgo Panigale. Ed è tanto, anzi tantissimo considerando gli sforzi di tutti gli altri per cambiare le cose.
Le ragioni di questa egemonia sportiva stanno in cose grandi e piccole, dal numero di moto in pista al costante scambio di dati, dalle nuove aree di sviluppo come abbassatori e aerodinamica per arrivare, chiaramente, alla politica fatta sui piloti. Poi certo, c’è l’uomo giusto al comando: delle otto Ducati in pista l’unica che lotta per il titolo da quattro anni consecutivi è quella di Francesco Bagnaia.
L’approccio Ducati allo sviluppo
La parola con cui si può riassumere tutto questo è approccio. Parola che, sfortunatamente, è troppo teorica e fumosa affinché se ne possa cogliere l’essenza. Così siamo andati a cercare degli esempi concreti e lì, tra un GP e l’altro, abbiamo cominciato a interessarci del lavoro di Andrea Gorfer, 34 anni, MotoGP Electronics & Electronics Systems Designer per Ducati Corse. Andrea ha costruito un robot per mappare i circuiti perché l’approccio Ducati è stato quello di lasciare a un trentenne un portafoglio generoso e anni di tempo per costruire qualcosa che non esisteva. Dopo qualche mese di corteggiamento, siamo riusciti ad avere un incontro con lui. “Ho studiato meccatronica a Trento, poi un master in ingegneria della moto da corsa a Bologna”, dice Andrea dal terrazzino interno dell’hospitality rossa, a Misano. "A quel punto ho fatto uno stage in Ducati e sono stato preso. Da lì ho continuato a lavorare e a studiare". Andrea ha l’aria di uno che sta vivendo il sogno, di fatto ha la possibilità di impressionare qualunque bambino del pianeta raccontando che lui di mestiere costruisce robot. Ha l’aria divertita e un orecchino da chitarrista. Siamo seduti su di un divano in pelle: ha computer sulle ginocchia, il joystick della PlayStation appoggiato a fianco e giù dal divano, come un pastore tedesco grande come un tagliaerba da giardino, il suo robot, che è “come se fosse mio figlio”.
Ha la livrea della Desmosedici GP24, un’antenna a forma di spremiagrumi in cima e delle alette a richiamare la carena dei prototipi da MotoGP che Andrea giustifica con una risata “per il family feeling”. Si chiama NTB-01. Mettere in funzione questo piccolo demonio nel giro di pista del giovedì, quando piloti e tecnici percorrono a piedi il tracciato per carpirne le giuste informazioni, significa estrapolare dati altrimenti impossibili da ottenere.
Andrea Gorfer racconta così del suo robot. “L’idea mi è venuta nel 2018, quando si ruppe il carrellino che si utilizza adesso per prendere le misure, un sistema che hanno più o meno tutti in MotoGP. Un collega mi chiese aiuto per sistemarlo e io, ridendo e scherzando, gli dissi cheavremmo potuto costruire un robot, ma finì in caciara. Passa un po’ di tempo e passano gli esami, così mentre arrivo verso la tesi - che ho fatto proprio su questo - ho lanciato l’idea in Ducati con più serietà. Sono andato dai miei responsabili e tutti sono rimasti incuriositi, positivi. Quindi siamo partiti con il lidar e abbiamo fatto delle modellazioni matematiche piuttosto accurate perché si tratta di un oggetto piuttosto costoso. Poi abbiamo costruito un robottino piccolo, di prova, giusto per vedere se avevo fatto correttamente i calcoli - incredibilmente lo erano - e da quel momento abbiamo iniziato a sviluppare il veicolo. A quel punto abbiamo comprato il motore, i componenti e le ruote, fino alla workstation di Lenovo che è stata fondamentale per riuscire a creare il tutto.
Abbiamo iniziato a novembre 2022, sono due anni di lavoro adesso. Per il momento lo guidiamo col controller (della PlayStation, ndr.) anche se lui sarebbe già pronto a seguire le persone. Purtroppo quando c’è tanta gente rischia ancora di confondersi e preferiamo essere un pochino più prudenti”. Andrea parla con grande affetto del suo robot e fa lo stesso a proposito dell’azienda per cui lavora: “Penso che Ducati stia lavorando bene, guardando lontano: il terreno fertile che ho trovato quando ho proposto questa cosa… e non c’è stato nessun tipo di ostruzionismo, anzi. Questo ti fa capire la mentalità dell’azienda, perché anche una cosa che apparentemente non c’entra niente è stata subito apprezzata e sostenuto”. Questo, appunto, è l’approccio. Poi c’è il risultato.
A cosa serve il robot Ducati per scannerizzare la pista e che vantaggi porta
L’idea di costruire un robot per mappare i circuiti è chiara, il suo funzionamento e i vantaggi che questo sistema può comportare lo sono un po’ meno. Andrea prova a spiegarla così: “Il nostro robot può creare un ambiente 3D, quindi hai tutte le misure precise della pista. Invece di avere unicamente le misure tra cui lunghezza, traccia GPS e altri parametri, qui hai proprio la ricostruzione a tre dimensioni, oltre al fatto che le misure sono più accurate e precise perché invece di avere un odometro solo - che è lo strumento che misura la lunghezza - ce l’hai anche sulle due ruote e ti trovi con tre diversi riscontri. La traccia GPS è molto più precisa e anche come sensoristica c’è molta più roba: un magnetometro, una IMU, il Lidar…”, Troppa roba, almeno per noi. Così lo fermiamo per una sintesi pratica. Lui sorride e prova ad essere paziente: “A cosa serve tutto questo? Beh, quello che vogliamo fare noi è seguire la traiettoria del pilota con questo robot e capire meglio come analizzare il tempo sul giro”. A questo punto passiamo a qualche domanda diretta, da bar.
Andrea, quanto può costare il tuo robot?
“Tanto”.
Come una macchina?
“Diciamo più come una delle nostre moto”.
Non una Scrambler 400…
“Eh, no, diciamo che il Lidar non è proprio una Scrambler 400…”.
D’accordo. Ora i calcoli sono corretti, il tuo robot si muove e i dati che estrapola cominciano ad essere utili… cosa succede?
“Il prossimo step è finire di mettere a punto l’algoritmo di inseguimento della persona e di acquisizione di tutti i sensori e ricostruzione della pista. C’è già una struttura. Lo step ancora successivo sarà quello di una guida totalmente autonoma, lì però si parla di sviluppo”.
Credi che riuscirete a usarlo l’anno prossimo?
“Il piano c’è, deve essere confermato. Anche perché nel mentre succederanno tante altre cose”.
Che dati puoi estrapolare? Potreste anche scannerizzare un’altra moto?
“Puoi misurare le superfici. E si, potremmo farlo a risoluzione millimetrica, considera che il robot ha 100, 150 metri di range, ma ‘ovviamente’ a noi così tanto non serve. Nel primo mezzo metro è cieco, poi fotografa 128 punti in un cono di 45 gradi e una moto potrebbe fotografarla tranquillamente… ma non è esattamente un oggetto che puoi nascondere, non è per quello che lo abbiamo sviluppato”.
Credi che possa diventare fondamentale nella MotoGP di oggi?
“Penso che possa già fare la differenza oggi con i dati che offre, l’unica cosa è che ci vogliono un tempo di sviluppo e degli investimenti che chiaramente vanno considerati. A livello di simulazioni dà tanto, perché ti crea un ambiente di simulazione molto realistico. Sicuramente è una carta in più, poi in un mondo come questo in cui ogni piccola cosa fa tanta differenza avere uno strumento in più aiuta tanto”.
Lasciamo l’hospitality con l’idea di aver visto il lato più pratico di Ducati Corse, la rappresentazione viva e pulsante di tutti i discorsi che piloti e responsabili fanno dopo aver alzato la coppa: “Ringrazio tutti i ragazzi a casa che ci spingono, che lavorano per noi”. Ducati ha scelto di dare carta bianca a un ragazzo come Andrea Gorfer e ha un title sponsor (Lenovo) con con cui lavora anche tecnicamente. Questa, in breve, è l’attitudine di cui abbiamo parlato in apertura.