Si tende troppo spesso a esaltare l’Italia di Roberto Mancini dal punto di vista dei suoi interpreti. Ieri gli Azzurri hanno vinto la prima partita dell'Europeo con un netto 0-3. L’Italia dei giovani che vince, diverte e si diverte. L’Italia di Barella, Bastoni, Locatelli, Chiesa. D’accordo, potenzialmente il futuro della Nazionale è davvero di un cielo Azzurro-limpido. Ma la rivoluzione calcistica di Mancini parte anche da una scelta ben ponderata di alcuni ruoli che, seppur meno visibili, hanno giocato un ruolo fondamentale per la crescita dei calciatori. Lo staff tecnico.
Non è un caso che qualsiasi calciatore rilasci dichiarazione dica sempre: “La nostra forza è il gruppo”. Ma non chiamiamole banali frasi di circostanza. L’Italia non ha fenomeni come Mbappè o CR7 capaci di vincer le partite da soli. Il nostro calciatore più forte potrebbe essere Lorenzo Insigne, ma la punta di diamante è la squadra. Unita, coesa. Non importa chi segna, l’importante è fare gol. Non importa chi esce o entra, l’importante è vincere. E questa mentalità la può trasmettere chi ha vinto davvero. Ecco perché Roberto Mancini ha scelto come compagni di viaggio, o di Europeo, i fedelissimi dello Scudetto 1991 della Sampdoria.
A partire da Gianluca Vialli, “gemello d’attacco” del Mancio, scelto come capodelegazione nella Nazionale. Nonostante la tremenda malattia, sostituì proprio il ct azzurro in panchina, positivo al Covid, nella fondamentale gara contro la Polonia, valevole per il primo posto nel girone della Nations League. Gara delicatissima, il gol che non arrivava e poi quel gesto così semplice quanto potente. La palla esce a bordocampo e arriva proprio a Vialli. La guarda, la prende in mano e la bacia. Tac, 2-0. Ecco cosa significa amare la Nazionale.
Ci sono altri vecchi compagni blucerchiati come gli assistenti allenatore Attilio Lombardo, peraltro già nello staff di Roberto Mancini al City e al Galatasaray, e Fausto Salsano. Il decano della Nazionale Alberico Evani è il vice mentre il team manager è ovviamente Lele Oriali, senza neanche bisogno di presentazioni. È interessante capire appunto la volontà di Roberto Mancini di servirsi di persone fidati che già hanno collaborato con lui. Come il collaboratore tecnico Angelo Gregucci, insieme alla Fiorentina 2001-02, e l’assistente Giulio Nuciari, presente in tutti e quattro gli anni nerazzurri del Mancio, l’allenatore dei portieri Massimo Battara (Manchester City 2009-2013) e il preparatore atletico Claudio Donatelli (Lazio 2004). Tutti selezionati minuziosamente, tutti uomini fidati, tutti devoti a “Roberto Mancini”. Ne manca qualcuno? Assolutamente sì e seppur arrivato per ultimo, è forse tra i più importanti anelli di congiunzione di “una catena azzurra” che vuole essere inossidabile.
Perché è vero che circondarsi di persone fidate con esperienze all’estero e nei top club italiani è una scelta più che giusta, ma bisogna sapersi approcciare ai giovani calciatori. Capire i loro stati d’animo, le incertezze e le paure, renderli consci di rappresentare una Nazione, far capire loro che la gente ha pianto quando l’Italia ha vinto. Per completare il quadro ci voleva una persona cresciuta a pane e schiaffi azzurri, che è cresciuta accanto a Francesco Totti, che durante il Mondiale del 2006, a 23 anni mise in difficoltà la Nazionale dando una gomitata a McBride. Nessuno di noi avrebbe voluto essere nei panni di Daniele De Rossi confrontarsi dopo la partita con Cannavaro e Gattuso. Nessuno. Ma queste cose ti fanno crescere e l’ex “Capitan Futuro” della Roma, adesso, è pronto per la nuova avventura, partita quindici anni fa come il Raspadori o Barella di turno. L’ultimo arrivato sarà una figura fondamentale, conosce i più esperti ed è conosciuto dai più giovani. La sua avventura è ricominciata, sempre in Azzurro, ma dall’altra parte, quella fuori la scena principale. E quando guardiamo l’Italia, dopo tanto tempo senza troppe pressioni ma con grande entusiasmo, pensiamo anche a chi c’è dietro le quinte.