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Trent’anni fa l'inizio del weekend nero di Imola: la morte silenziosa di Roland Ratzenberger

  • di Ginevra Stanghellini

30 aprile 2024

Trent’anni fa l'inizio del weekend nero di Imola: la morte silenziosa di Roland Ratzenberger
30 aprile 1994, 30 anni fa. Il sabato del fine settimana di gara di Imola, dopo un venerdì di paura per l'incidente di Rubens Barrichello, viene scosso dalla notizia della morte in pista di un giovane pilota austriaco: Roland Ratzenberger. È l'inizio del weekend nero della Formula 1 a Imola

di Ginevra Stanghellini

Una morte silenziosa quella che colpì Roland Ratzenberger, coperta dal frastuono sconcertante da ciò che accadde il giorno dopo, domenica primo maggio, quando forse un gioco di un destino crudele, mise fine alla vita di Ayrton Senna, la leggenda della Formula 1. Due storie che si intrecciano, il rookie appena approdato in F1 e il tre volte campione del mondo con quello sguardo colmo di saudagi che in pista faceva emozionare, due storie che hanno sconvolto il mondo del motorsport, creando da lì un prima e un dopo. Ma quella di Ratzenberger è tutt’oggi una morte spesso dimenticata, nonostante le due vite si intreccino ancora una volta dal principio, perchè per correre in F1 serve il talento e i due piloti sapevano cos’era.

Austriaco, lineamenti marcati contornati da un sorriso gioioso, questo era Roland Ratzenberger, un pilota che girò il mondo grazie alla sua passione prima di approdare in F1, dagli esordi al Brands Hatch Formula Ford Festival dove si mise in luce tanto da ottenere un sedile nella F3 britannica, per poi passare all’iconica 24h di Le Mans che corse per ben quattro volte. Dalla Francia al Giappone dove tra 1990 e 1991 vinse alcune gare, prima di approdare nella stagione ’94 nella classe regina, la F1. “Rolando topo di montagna” soprannominato così quando venne in Italia a fare da collaudatore, pur di arrivare in F1 fece l’istruttore, lasciò la scuola per fare il meccanico e grazie ai suoi sacrifici riuscì a realizzare il suo sogno.

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Infatti con la scuderia Smitek, che fino all’anno precedente costruiva macchine da cucire, esordì in F1 e casualità vuole, proprio nella terra di Ayrton, nel Gran Premio di Interlagos, ma non riuscì a qualificarsi per la gara. Successivamente corse il GP del Giappone classificandosi undicesimo, la sua terza gara nella classe regina del motorsport fu quella del Gp di San Marino, dove alla curva intitolata a Villeneuve, perse il controllo della vettura schiantandosi, un’incidente che si dimostrò da subito gravissimo.

Un problema al freno che aveva già precedentemente avvertito e che il padre ricordò in una telefonata fatta, con la madre, il giorno primo dell’incidente: “Ricordai la sua ultima telefonata alla mamma: è una pista pericolosa, se si sbaglia, si rischia troppo, ho una macchina povera, freni non adatti”.

I genitori erano in vacanza in Messico ma in ospedale, quando ormai non c’era più nulla da fare, arrivò Ayrton Senna che dopo esser stato multato dalla FIA, per aver detto dopo il replay dell’incidente “Non si può”, lo raggiunse per poi andarsene piangendo come confessò il dottore. Quella di Roland è una storia come tante altre, che si intreccia con quella di grandi campioni scomparsi anche loro troppo presto, proprio come disse il signor Ratzenberger: "Ayrton e Roland si conoscevano, li aveva presentati il fisioterapista di Senna, austriaco anche lui. Ma mio figlio era rispettoso, capiva che c'era un divario, anzi un abisso, tra lui che era in F1 da 53 giorni e Ayrton da 10 anni”.

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Un intreccio perchè forse Ayrton vedeva in Roland un giovane lui, uno che con grandi sacrifici è arrivato dove voleva essere, per poi andarsene troppo presto. I latini infatti parlavano di “immatura mors” una morte prima del tempo, quel tempo che scandisce i ritmi della vita e della F1, che porta un pilota ad essere ricordato per le sue gesta come con Ayrton oppure porta a porsi tanti interrogativi fatti di se e di ma a cui non si può dare una risposta. Ma la sua morte così immatura, ha cambiato il mondo delle corse, ed è una morte che non va dimenticata perchè a Roland bisogna solo dire grazie. Per averci mostrato che con la perseveranza si arriva dove si vuole e per averci fatto vedere quanto questo sport possa essere estremamente crudele e che i piloti, ragazzi normali con paure e ispirazioni, sono pronti a tutto per la loro passione. 

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