La prima stagione di Mig Babol, il podcast di Andrea Migno e Filippo Carloni, si chiude con una puntatona di due ore abbondanti in compagnia di Mauro Sanchini. È stata giustamente intitolata “Il Gran Finale”, perché Mauro racconta sé stesso e la sua immensa passione per le corse con un’energia che tiene incollati allo schermo: le risposte non sono mai secche o scontate, ma dense di parentesi, di ricordi che riaffiorano e che lui non può rintuzzare. È bene che non lo faccia, mai.
Si parte con il “suo” numero 46 e con la prima volta in cui ha conosciuto Valentino Rossi: “Ho a casa un poster, quello di Vale che vince il primo Mondiale 125cc, che mi firmò dopo una sera in discoteca, quando alle 5 di mattina salimmo a casa mia per vedere la partenza della Formula 1 in Australia. E lui su quello scrisse ‘chi sarà il vero 46?’. Io sapevo già che il vero 46 sarebbe stato lui, perché aveva già vinto un titolo mondiale. In realtà i miei numeri preferiti erano il 5 e il 2, ma quando sono passato al campionato italiano di scooter la Polini aveva formato una squadra di tre piloti, tra cui io, Berti e Luigi Orioli. Alla squadra avevano dato il 45, il 46 ed il 47, quindi il 46 a me è capitato così. In quel momento però Vale correva il campionato europeo con un altro numero, il 4 o forse il 14. Quindi ci siamo incrociati con questi numeri, e gli chiesi anche se potessi mettere il 46 simile al suo visto che avevamo la stessa persona che ci preparava le grafiche. Dopo il quarto o quinto mondiale vinto da Valentino ho detto ‘corro solo col 6 dai, tanto non lo raggiungerò mai’. Però io negli scooter dominavo in quegli anni, avevo un numero che mi piaceva e vedevo Valentino – un bambino che io conoscevo perché mio padre verniciava le carene alla Morbidelli di Graziano – che vinceva gare e campionati come si fa solo alla Playstation. Quando l’ho conosciuto? A Borgo Massano un giorno crearono una nuova zona industriale, un piazzale enorme di asfalto come parcheggio per i camion. A noi gli occhi luccicavano, in poco tempo io e altri due miei amici costruimmo una pista con delle bottiglie di plastica. Uno di quei giorni venne Graziano a far girare Valentino col kart, che secondo me aveva sette anni e manco se lo ricorda. Lì l’ho conosciuto”.
Si parla poi della carriera agonistica del “Sankio”, cominciata a ventidue anni nelle minimoto: “Io ho iniziato molto tardi a correre, perché i miei lavoravano 18 ore al giorno e non avevano i soldi. E poi mia madre non voleva, alla mia prima gara di minimoto mi ha detto ‘mi raccomando vai piano’. Ma sono sempre stato un grande appassionato di moto. Ti dico anche che andavo forte, guidavo bene tecnicamente, ero molto veloce. Dire quello che avrei fatto in un’altra vita non lo so, però io ero un appassionato che guardava le gare del Mondiale dietro le reti qui a Misano. Da lì, arrivare a fare delle gare del Mondiale per me è stato già un successo. Avrei potuto fare di più? Forse sì se avessi iniziato prima. Se noi prendiamo la vita di quelli che crescono con una certa carriera, tipo Cadalora, Gramigni, oppure lo stesso Vale, può essere normale per questi piloti vedere un calendario con le loro foto, ma per me quando su Motosprint è uscito il calendario con le mie foto da pilota ufficiale Malossi è stato incredibile. Mi ritengo sempre uno di quelli che da fuori ha visto le cose che facevano i grandi, perché per me loro sono ancora i grandi”.
La puntata si incendia quando Mauro comincia a raccontare bellissime storie del suo paese – Borgo Massano (Pesaro) – e di un adolescente che almeno una volta al mese aveva a che fare con i vigili urbani: “Nei paesi piccoli, da meno di mille abitanti, esisteva un posto, il meccanico, che faceva de deposito fermo mezzi per i mezzi sequestrati. Io sono stato quelli che ha fatto chiudere il deposito di Borgo Massano, perché avevo tre ciclomotori tutti fuorilegge, che mi sequestravano di continuo. Quando te ne sequestravano uno dovevi pagare una multa e aspettare un mese prima di andare a ritirarlo. Io, avendone tre - il Bravo, il Fifty e la Motorella, tutti truccati – li facevo girare e riuscivo quasi sempre a cavarmela. Ad un certo punto mi sono trovato con tutti e tre dentro al deposito, perché un motorino sono riuscito a farmelo sequestrare nello stesso momento in cui sono andato a ritirarlo. Andai su dal meccanico a piedi, di inverno, non c’era nessuno, nessuna traccia dei tre vigili urbani. Presi il Fifty, che era quello più veloce di tutti e di cui sentivo la mancava, e in terza piena prima dello scollino del paese spuntò la guardia. Io vidi la paletta e neanche frenai, perché pensai ‘ma è impossibile che ci sia, tre minuti fa non c’era nessuno’. Mi è durato cinque minuti, quella volta, il motorino”.
La cosa ancora più divertente è che oggi non si può certo dire che Mauro Sanchini rimpianga i bei tempi: “Quest’estate ho fatto rimettere a posto come nuovo il mio Bravo di quando avevo 15 anni, celestino coi cerchi bianchi, con un motore tutto ricavato dal pieno. Adesso ha quindici cavalli, per quaranta chili forse, e ad ottanta orari impenna. L’altra sera ho fatto una cosa bruttissima, che non so se si può dire. Al tardo pomeriggio mi viene voglia di far fare un giretto al Bravo, che appena esce dal garage fa un suono (Mauro riproduce un bram bram bram, ndr). Passo piano nella parte bassa del paese per scaldare il motore, e vedo che escono un po’ di ragazzini. Poi passo di nuovo e vedo che i ragazzini aumentano. Non ho resistito; sono ripassato una terza volta in impennata. Io volevo farla piccolina, ma il bravo stava su bene e ho continuato. Poi mi sono detto ‘ma sarà possibile che uno della mia età faccia ste robe qui davanti ai ragazzini nel paese?’. Mi stavo mortificando da solo, ma mi sono accorto che avevo il sorriso e allora sono ripassato lì una quarta volta in impennata. Ho goduto un bel po’ (ride lui e ride tutto lo studio di Mig Babol, ndr)”.
In uno dei capitoli più interessanti dell’intervista viene riavvolto il nastro dell’esperienza in SBK di Mauro, che dopo aver vinto tre campionati italiani di scooter ha disputato sette stagioni nelle derivate di serie, con la Ducati 996 di Pedercini nei primi anni 2000 e con la Kawasaki ZX-7RR tra il 2002 ed il 2006: “L’apice professionale per me è stato correre in SBK, perché correre nel Mondiale per un appassionato di moto, che per caso si è ritrovato nelle minimoto, è stato incredibile. Ho avuto la fortuna di correre in una SBK in cui facevo fatica a trovare un posto ai miei genitori nel prato di Misano. Una gara a Sugo, in Giappone, mi ha dato l’idea delle differenze tra moto e gomme ufficiali in quel campionato. Io di questo non mi lamento, perché essendo arrivato grande al Mondiale sapevo non sarebbe stata facile, e infatti non è stata facile. In quegli anni lo yen era altissimo, pagavamo un bicchiere di Coca-Cola quasi dieci euro, e quindi le Case per risparmiare mettevano meno gomme nei container diretti in Giappone. Quindi io, essendo in un team privato, arrivo la domenica mattina del warm up che non avevo più la gomma nuova da Michelin per poter girare. Questo tecnico Michelin si gira e mi dà un treno di gomme di Haga, pilota ufficiale che aveva scartato quel treno dopo averci fatto solo tre giri. Io, con quelle gomme che per Haga erano le peggiori, ho girato nel warm-up sette decimi più forte rispetto a quanto fatto nell’interno weekend. Ho chiesto di tenere quelle stesse gomme usate per la gara, ma non me l’hanno consentito”.
“Poi ci sono stato in mezzo ai piloti buoni, diverse volte” – ha analizzato Mauro. "A Misano ero in testa, ha cominciato a piovigginare, e mi sono steso alla prima curva dove c’era la tribuna con tutta la gente del mio paese. Secondo me guidavo bene e andavo molto forte, e iniziando prima probabilmente avrei fatto di più. Perché quando arrivi a trent’anni in SBK, e non conosci le piste, nessuna squadra ufficiale ti prende, anche se hai vinto tutto negli scooter. E va bene così, perché io sono passato da correre a Varano a correre ad Hockenheim. Ho fatto le piste storiche nella maniera più pericolosa possibile, e sono sempre tornato a casa. Perché la questione è quella, mi è successo di vedere diverse volte alcuni che non sono tornati. Io l’ho sempre vissuta serenamente, non ho paura della morte, devo dire la verità. La rispetto, perché vorrei incontrarla il più tardi possibile”.
La parte finale della puntata affronta le tappe della seconda parte della carriera di Mauro Sanchini, quella da commentatore tecnico: “Mi è sempre piaciuto guidare, ma anche ascoltare chi raccontava ciò che vedeva. Tornando a casa col motorino dalle scuole superiori di Urbino, allungavo per fare il tratto di strada che passa per Cagallo e va in discesa. Io dentro al casco commentavo me stesso, a volte tiravo su la moto a metà curva per fingere una chiusura d’avantreno e rendere il mio autocommento più realistico, roba che quelli in macchina dietro di me avranno sicuramente pensato fossi pazzo. Il secondo approccio al commento è stato a Misano, nel 2004, quando mi lussai la spalla dopo una caduta in prova e dovetti rinunciare alla gara. Luigi Vignando, telecronista di LA7 che aveva sostituito di Giovanni Di Pillo, venne da me e mi chiese di fare l’inviato in griglia prima della gara e il commento tecnico in cabina con lui. Mi piacque e piacque molto anche alla gente, tanto che nel momento in cui scelsi di smettere di correre LA7 mi richiamò per fare il commento tecnico in pianta stabile. Ho fatto la SBK fino al 2012, quando LA7 ha perse i diritti, guadagnati da Italia 1, che a sua volta perse la MotoGP. Allora ho cominciato a fare il Motomondiale per Sky, commentando la Moto2 e la Moto3. Nel 2016 ho cominciato a fare la MotoGP con Guido Meda. Cavolo, non è una roba da poco. Il primo weekend di gara del Qatar va liscio alla gara, quando nei giri successivi alla partenza lui comincia a schiacciare pulsanti e incazzarsi. Io penso ‘nooo, cos’ho combinato?’. Lui continua e a me manca l’ossigeno, tanto che a mente cerco di ripassare tutto quello che ho detto fino a quel momento, anche se non mi sembra di aver sbagliato nulla. A fine gara avevo la pelle d’oca, ero sudatissimo, invece ho scoperto che lui era arrabbiato con la regia per un ritorno in cuffia (ride, ndr). Nei rapporti di lavoro è sempre facile iniziare ma non è mai facile continuare, invece la cosa bella del lavoro di adesso con Guido è che noi siamo in telecronaca così come siamo nella vita, ci comportiamo alla stessa maniera di quando siamo andati in vacanza assieme a sciare”.