È sempre un contesto rilassato e gradevole quello di Gianluca Gazzoli e del suo Basement, dove gli ospiti parlano a ruota libera senza particolari restrizioni di tempo, finendo sempre per approfondire o svelare un qualcosa che prima non era mai emerso. Così, dopo Guido Meda e Valentino Rossi, dal BSMT è passato anche Marco Bezzecchi, che con Gazzoli - oltre alla grande passione per il basket - condivide un'amicizia nata recentemente. La sintonia tra i due, infatti, è evidente nel corso di tutti i sessanta minuti abbondanti di chiacchierata, registrata prima del Gran Premio delle Americhe in uno studio inedito, creato appositamente all'interno del Cupra Garage di Milano per la Design Week. Il Bez si presenta davanti alle telecamere con un'elegante t-shirt bianca a fantasie e un sorriso largo, genuino. Marco è a suo agio, Gianluca è incuriosito dall'energia e dalla presenza sprigionate dal numero 72. Risultato? L'ora vola, perché la puntata è godibile, divertente, interessante. E qui troverete tutti i tratti salienti.
Da dove cominciare se non proprio dalla partenza, da quegli attimi che forse inquadrano in maniera impareggiabile l'essenza del pilota, avvolto nei suoi silenzi in girglia mentre intorno il rumore non fa che aumentare: "È un momento tosto - descrive Marco - forse è il momento in cui soffro di più, in cui sono più teso. Cerco di visualizzare la gara, di ripensare a tutto il lavoro che abbiamo fatto durante il weekend, di ripensare ai dettagli della strategia di partenza che ci studiamo puntualmente prima della gara. Poi cerco di rimanere calmo, di fare dei bei respiri, di non lasciare che l'agitazione prenda il sopravvento. Non è facile ovviamente, perché attorno hai sei miliardi di persone; telecamere, fotocamere...gente che magari ti si mette di fianco per fare la foto. Io provo a restare tranquillo e impassibile, come riferimento ho l'orologio sotto al semaforo. Se dovessi spiegare quello che accade dopo tecnicamente? Arrivo dal giro di ricognizione, in cui si scaldano gomme e freni. Poi ingaggio l'abbassatore davanti, che si attiva frenando con una determinata intensità. Poi mi fermo alla mia casella e abbasso il posteriore, prima di attivare la procedura di partenza. Abbiamo un controllo che limita il numero di giri, perché altrimenti il motore potrebbe rompersi. Faccio due, tre riti soliti, do un bacio alla moto e poi parto". Impossibile, a questo punto, non fare un piccolo viaggio attraverso le ritualità del Bez, che trasmette tutta l'importanza intima dei piccoli gesti: "Magari sussurro un po' alla mia moto, con lei ho un buon rapporto, sono convinto che mi senta. Provo a parlarle, cerco di renderla tranquilla ed incoraggiarla a fare un buon lavoro insieme a me. La chiamo per nome, perché io ho sempre fatto il collegamento che la moto debba essere un po' la mia morosa, ma in MotoGP hai due moto ai box e diobò...non puoi avere due morose! Quindi, da quando sono in MotoGP, ho scelto Marianna. Una è Maria e l'altra è Anna (ride). Cerco di accarezzarla sempre negli stessi punti, faccio sempre le stesse cose perché mi aiutano a restare tranquillo. Mi faccio dei bei film, ma so che se ripeto tutte queste cose come sempre, poi in caso di errore ho la certezza che la causa non sia da cercare nei rituali".
Gianluca e Marco si spostano brevemente sull'attualità, su ciò che il Bez sarà chiamato a fare dopo essere passato dal Basement: prendere un aereo per il Texas, andare a vedere gli Houston Rockets insieme al suo team e ritrovare fiducia sulla Ducati tra le pieghe di Austin: "Tramite un po' di conoscenze del motomondiale siamo riusciti a farci invitare all'ultima di regular season dei Rockets. Figo, anche perché ci sarà proprio tutto il team. Io sono in paranoia perché mi hanno chiesto di fare un tiro libero. Quindi in questi giorni in palestra ho cercato di allenarmi, perché abbiamo un canestro, e spezzare il polso nel modo giusto. Non sarà facile passare dalla palestra, dove non c'è nessuno, al palazzetto (ride)". Col senno di poi, davanti al pubblico dell'NBA, Marco se l'è cavata piuttosto bene, quasi come fece un anno fa a Termas De Rio Hondo: "La prima vittoria in top class in Argentina? È stata una giornata fantastica ovviamente. Devo dire la verità; alla mattina quando mi sono svegliato ero abbastanza disperato, perché al sabato c'era stato il sole ed ero andato benissimo, ero convinto che poi avrei potuto vincere la gara. Poi invece la domenica ho aperto gli occhi e pioveva, tutti i piani che mi ero fatto in testa sono stati scombinati. Invece siamo entrati nel warm up e andavo fortissimo, allora ho ricominciato a crederci. Dopo in gara è stato incredibile, perché sono riuscito a stare da subito in testa, il che è molto importante sul bagnato perché se stai dietro, con l'acqua che alzano le altre moto, non vedi molto. È stata una libidine perché ho dato quattro, cinque secondi a tutti, mi sentivo da Dio con la moto. È stato un bellissimo momento, anche inaspettato. Non avrei potuto chiedere di meglio anche perché a Termas vinsi anche la primissima gara nel Motomondiale, con la Moto3. Ho cominciato a crederci davvero ad inizio gara, quando ho provato a dare uno scriccotto ad Alex Marquez che mi era tornato sotto a tre decimi...al giro dopo gli ho dato un secondo. Poi però ci sono mille cose da gestire, quindi da lì in poi è durata un anno, perché sei da solo come un cane. Se mi sono mai girato per guardare indietro? Mai, solo al pensiero di dire 'cavolo sono davanti e posso vincere la prima gara', avevo paurissima di fare una cappella".
"Cosa mi scirsse Valentino Rossi quella domenica? Dopo la conferenza stampa apro il telefono e leggo il suo messaggio. Mi scrive che avevo fatto spavento. Vale è sempre di poche parole ma concrete, e leggere un messaggio del genere da Valentino Rossi fa sempre un po' impressione". Da qui l'immancabile occasione per approfondire il tema del rapporto tra Bez, Valentino Rossi e la VR46, partendo dalle origini: "La mia famiglia non è mai stata da corsa, anche se è sempre stata appassionata. Mio babbo guardava le gare sia di macchine che di moto. Io quindi sono cresciuto con questa passione, e a cinque anni - 2004 - alla domenica c'era Vale. Sono creciuto col suo mito, così ho chiesto a mio babbo se potesse portarmi con le minimoto. A sei anni mi ha regalato la minimoto, da lì abbiamo iniziato per gioco nei parcheggi, nelle piste da minimoto con gli altri bambini. Dopo a dodici, tredici anni si è pensato di farne qualcosa di serio. Nei primi anni in realtà ero nella norma con le minimoto, non brillavo. Ho cominciato ad essere un po' più bravo da grande, quando sono passato alle minimoto di categoria maggiore. Da lì la scelta era 'continuiamo con le minimoto e resterà un gioco per sempre, oppure proviamo il passaggio alle ruote grandi e cerchiamo di farlo diventare qualcosa di serio?'. Io sinceramente di andare a lavorare per davvero non avevo voglia, e poi mi piaceva troppo andare in moto. Quindi ho deciso di impegnarmi intensamente per farlo diventare il mio lavoro. Ho saltato la MiniGP, un intermezzo tra minimoto e ruote alte, e ho avuto la fortuna di incontrare persone giuste che ci hanno aiutato. Ho fatto il campionato italiano con Mahindra, un marchio che investiva sui giovani. Per fortuna quell'anno sono andato forte e ho vinto il campionato, così nel mentre Mahindra mi ha fatto fare un paio di gare nel Mondiale, tra cui una al Mugello. In Toscana giravo per il paddock con il Ciao; facevo la mia gara di Moto3, sì, ma io sono andato lì anche come tifoso di Vale (ride). Avevo la fortuna di avere il pass dove potere girare ovunque, quindi con il Ciao a bordopista ho incrontrato Carlo Casabianca e Albi Tebaldi, che mi hanno invitato al Ranch. Avevo 16 anni, da lì in poi ci siamo tenuti in contatto anche con Uccio e a fine 2015 ho firmato il mandato con la VR46. Ho capito che sarei potuto diventare un pilota solo in quel momento, quando sono arrivato al Motomondiale".
Il primo incontro col mito, però, arriva ancora prima: "Qatar 2015, quando lui tra l'altro vinse. Per Mahindra dovevo sostituire Stefano Manzi in Moto3 che non aveva ancora sedici anni, io invece sedici anni li avevo già. Io invece da tifoso ho incontrato Vale nel paddock e gli ho chiesto la foto e poi gli gli ho detto 'ti posso dare un abbraccio?'. Lui si è messo a ridere e ha risposto 'sì sì certo'. E poi ci siamo abbracciati". Che tipo di consigli mi dà oggi? Tanti, dipende anche da ciò che gli chiedo io. È bello perché magari nelle situazioni difficili ti sta molto vicino, ha cercato di tenermi tranquillo, raccontandomi come faceva lui quando aveva dei momentacci. Poi ti mette al corrente di tutti i dettagli, anche a quelli più piccoli che magari trascuri. Poi quando ti parla uno come Vale fai fatica a non starlo a sentire. È stato bello un paio di sabati fa al Ranch, dove da un po' non andavo fortissimo. Invece quel weekend sono andato molto forte, abbiamo fatto una gran bagarre insieme. Lui ha vinto, io sono arrivato secondo. Poi quando siamo tornati nello spogliatoio mi ha detto 'diobò era da un po' che non andavi così, sono contento'. Ero contento anch'io". È un legame strettissimo quello tra Bezzecchi e Tavullia, consolidatosi ancor di più lo scorso anno, quando Marco ha rifiutato le sirene della Pramac e di una Ducati Factory per restare coi suoi uomini: "Quando ho deciso di rimanere nel Team VR46 anche nel 2024 l'ho fatto perché nella MotoGP di adesso è molto importante essere subito veloci, perché purtroppo non hai più un paio d'anni per dimostrare il tuo valore. Io sapevo che nel team VR46 stavo bene, avevo una squadra costruita attorno a me, perché comunque Uccio e Vale hanno creato un team che potesse sposarsi bene con le mie esigenze. Così poi ho scelto di conseguenza".
Arriva così il momento di parlare del circolo magico di Tavullia, di quella fetta di protagonisti della MotoGP odierna che, tra Ranch e palestra, si vedono praticamente tutti i giorni: "Come viviamo la competizione interna nell'Academy? Meglio di sempre adesso. Perché siamo cresciuti insieme e per fortuna ultimamente siamo diventati più maturi. Quindi ci rompiamo sempre le scatole a vincenda, ci prendiamo sempre in giro, ma allo stesso tempo andiamo veramente d'accordo. La vivo benissimo, sono contento. Con Peccone (Bagnaia, ndr) sono molto amico e in questo momento è molto più forte di me, quindi cerco di usarlo come esempio. In cosa è più forte di me? Mentalmente è fortissimo, perché se lui si autoconvince di una cosa poi è difficilissimo batterlo o impedirgli di raggiungere l'obiettivo. Poi banalmente nella guida è fortissimo, fa tutto bene. L'anno scorso nonostante qualche battaglia, nonostante qualche volta per fortuna sia riuscito a batterlo, non abbiamo mai litigato. Non è scontato. Se mi aspettavo questi suoi risultati? All'inizio no, ma perché ci siamo conosciuti in Academy che eravamo ancora molto piccoli. Negli anni ho capito che lui sarebbe diventato fortissimo, perché ho visto il suo lavoro e la sua crescita. Dalla Moto2 in poi si capiva che sarebbe stato uno di quelli forti". Poi la questione viene dirottata sui compagni di squadra, con Marco che in pochi mesi ha salutato Luca Marini e accolto Fabio Di Giannantonio nel box giallo fluo: "Il passaggio in Honda di Luca? Non ne abbiamo parlato prima, perché giustamente in quei momenti devi prendere una decisione per la tua carriera, e devi cercare di ragionare da solo. Anch'io avrei fatto ugualmente. Ovviamente ne abbiamo parlato dopo quando aveva già deciso. Mi è dispisciuto che sia andato via, perché con Luca mi sono trovato bene, il nostro rapporto è sempre stato un rapporto professionale di lavoro, con molto rispetto. Luca ha un carattere molto diverso dal mio, ma mi è sempre piaciuto lui come compagno di squadra, ci trasmettevamo motivazione a vincenda. Come va con Diggia? Ci diciamo un sacco di cavolate, ho un bellissimo rapporto con lui adesso. Siamo stati rivali fin da piccoli, quando invece ci stavamo quasi sulle palle (ride). Siamo cresciuti molto, Fabio si è ambientato subito bene nella squadra, anche perché nel Team sono tutti molto bravi a farti sentire a tuo agio".
Gazzoli successivamente interroga Marco sulle paure dei piloti: "Abbiamo paura, la paura per i piloti è importantissima. Paura quando giri da solo non ne hai, magari ne hai di più quando sei in mezzo agli altri e accade qualcosa che non ti aspetti, come un errore tuo che rischia di danneggiare gli altri o viceversa. Altrimenti io non ho paura nel momento in cui cado, ma quando rotolo e mi rendo conto che mi sto facendo male. Tipo quando mi sono rotto la spalla al Ranch l'anno scorso, mentre rotolavo sentivo un male boia e avevo paura. Lì mi sono fatto male al sabato sera alle 18:30 piuù o meno, poi la domenica mattina alle 8 mi sono operato, mercoledì ho preso l'aereo per l'Indonesia e venerdì sono risalito in moto. Com'è stato possibile? Innanzitutto il merito è stato del Dottor Porcellini e dei ragazzi del suo staff che sono stati fantastici. Poi tanta forza di volontà, perché mi stavo giocando il terzo posto nel Mondiale e non volevo perdere né gare né tempo. Poi c'è stato tantissimo lavoro della mia squadra, che è andata là prima per preparare tutto e motivarmi a distanza". In merito al luogo ormai abbastanza comune secondo cui Bezzecchi - per il nome di battesimo, per i riccioli, per il cerotto sul naso, per la spontaneità e per quella maniera tutta romagnola di intendere le corse - assomigli a Marco Simoncelli, il numero 72 commenta con estrema maturità: "Io sono davvero fatto così. Se alla gente ricordo il Sic, anche se purtroppo non l'ho conosciuto, mi fa un grande piacere, perché alla fine è sempre stato uno di noi".
Forse il Bez ricorda il Sic soprattutto per quella sua propensione magnetica che lo porta a fare gruppo, a circondarsi di persone che gli vogliono bene, in qualsiasi circostanza. Non è un caso che, quando Gazzoli chiede a Marco dei weekend di gara in Estremo Oriente, la risposta sia la seguente: "Le trasferte extraeuropee sono tutte bellissime, è proprio un mood diverso. Vivi con la tua squadra ininterrottamente per due mesi, è tutto un altro vicere le gare. Poi in Asia sono tutte piste fantastiche, fa quasi sempre caldo, poi alla sera magari vai a mangiare fuori, fai gruppo. In Europa invece vivi dentro al circuito, dentro al motorhome. Il mio Uccio? È sempre stato il mio babbo in realtà, perché mi ha sempre accompagnato e lo fa tuttora come mio assistente". Bez che, durante la riders parade della domenica mattina (che lui con naturalezza chiama "carretto") si guarda bene dal fare gruppo con gli avversari: "Se dicessi che parlo tanto con tutti sarebbe una cavolata. Io magari mi metto in un angolino e parlo con gli italiani, che conosco bene. Non parlo tanto con gli altri, me se devo dire qualcosa la dico". Sì, la sensazione è che qualcosa di bello, di vero, di interessante da dire, Marco Bezzecchi l'avrà sempre.