La quarta puntata di Mig Babol – il nuovo podcast sulla MotoGP di Andrea Migno e Filippo Carloni – dura ottanta minuti. La guardi tutta e ti sembra sia passata nemmeno una mezz’oretta. Scorre via rapida, divertente; un climax di racconti e aneddoti inediti da assaporare tutto d’un fiato. L’ospite è Alessio Salucci – Uccio – un’istituzione solo per il fatto di aver creato un mestiere (“L’Uccio”, appunto) partendo da zero. Nel bagagliaio della sua esperienza si trovano i retroscena di 29 stagioni nel paddock del Motomondiale (and still counting), 26 vissute accanto a Valentino Rossi. Uccio – sulle comode poltrone dello studio di Mig Babol, nell’atmosfera rilassante adibita da Migno e Carloni – comincia a tirar fuori storie incredibili, mai emerse prima d’ora. La sensazione che possa andare avanti a narrare per altri due giorni, senza perdere carica attrattiva, è netta. Noi chiediamo a gran voce altre puntate così e, per adesso, vi raccontiamo ciò che è accaduto in questi ottanta minuti.
La prima parte dell’episodio è dedicata alla nascita della VR46 Riders Academy: “In palestra venivano Franco, prima ancora il Sic, poi Maro, tu (rivolgendosi a Migno), Nelli. Siamo nel 2011, 2012, 2013. Vale a volte diceva ‘Uccio ricordati di scrivere a Dainese per la tuta per questo ragazzo che ho incontrato in palestra’, probabilmente era Franco. Io in quel momento ero molto concentrato sul lavoro in pista con Vale, che invece è sempre stato molto lucido, lungimirante, intelligente. I piloti venivano da noi, chiedevano una mano per un casco, per una tuta, per fare una telefonata. Poi un giorno Vale ha chiamato me, Albi (Tebaldi, ndr) e Carlo (Casabianca, ndr) e ci ha detto ‘dobbiamo fare un pranzo in barca perché ho un’idea’. In questo pranzo meraviglioso lui ha detto «io voglio fare l’Academy, perché secondo me abbiamo l’esperienza per cercare di aiutare questi ragazzi a livello serio. Non dovete dirmi subito se avete voglia, perché è una bella responsabilità e c’è un punto importante: non ci sono soldi per nessuno di voi tre, dobbiamo investire partendo da zero». Pensavo potesse perdere concentrazione perché eravamo ancora in Ducati, ma ho capito subito che allenarsi con questi ragazzini poteva fargli solo bene”.
Il Team Moto3 Sky VR46 nasce nello stesso periodo, ma in maniera curiosamente indipendente dall’Academy: “A luglio 2013, al Sachsenring, mi arriva una telefonata da Carmelo Ezpeleta. Mi dice che Sky vuole entrare a livello televisivo nella MotoGP, che vuole un team in Moto3. Mi dice che Sky avrebbe messo il budget e che noi avremmo potuto gestirlo. Ho fatto passare il weekend e poi ne ho parlato il lunedì con Vale. A fine 2013 avevamo l’Academy e il Team, che in realtà sono venute fuori come due cose scollegate. A Indianapolis 2013, quando ho chiesto a Fenati di correre per noi, non c’era nulla di tangibile, non c’era nemmeno un pannello di quello che sarebbe stato il nostro box. Nonostante avesse offerte da tutti mi disse che voleva venire da noi. Poi ci piaceva Pecco, che l’anno prima aveva fatto una gran stagione con il Team Italia, e abbiamo messo Fenati e Bagnaia compagni di squadra in Moto3 per il 2014. Poi per il team in Moto2 invece ci siamo fatti un mazzo tanto, andare forte lì è stato veramente difficile, perché le moto sono tutte uguali e devi cercare di lavorare su aree diverse. Le emozioni più grandi con l’Academy? Uno degli abbracci più forti che mi abbia mai dato Vale è stato per la tua vittoria al Mugello Migno, davvero. Oppure il primo podio di Franco in Italtrans, dove io ero andato piangendo in turco per fargli avere il posto. Però l’emozione che ho provato per la vittoria in Argentina del Bez, l’anno scorso, non me la dimenticherò mai. Quando sono salito sul podio con lui ho pensato che avrei anche potuto smettere”.
Poi si torna indietro nel tempo, alle origini di tutto: “Vale ha iniziato le gare serie nel 1993, con la Sport Production. Correva con la Cagiva Mito nel Team Lusuardi. Prima alle minimoto andavo insieme a lui per vederlo. Siamo cresciuti insieme, ci siamo conosciuti ancor prima delle scuole elementari, andavamo giù per le discese del parco giochi di Tavullia col triciclo, mentre gli altri giocavano a calcio. Poi da adolescenti non ci piaceva andare a ballare, ci piacevano le discoteche più lontane per fare tragitti più lunghi in motorino. Nel ’96 e nel ’97 lo accompagnavo da tifoso alle gare europee, poi a fine ’97 mi ha detto che aveva bisogno di qualcuno che gli desse una mano alle gare, e dal 1998 è partito l’Uccio. Avevo diciott’anni. Tavullia è sempre stato un paese anomalo ripensandoci ora, perché la passione per le moto c’è sempre stata. Io sponsorizzavo Vale nel paese, gli adulti per sfottermi mi dicevano che non andava niente. Allora mi ricordo di averli invitati tutti a Misano, un giorno in cui Vale con la 125cc fece un garone. ’Adesso ci aiutate a fondare il fan club’, dissi insieme a Caroni (storico amico della compagnia, ndr). Li abbiamo convinti, hanno firmato un pezzo di carta e nel 1995 è nato il fan club. Un anno fa ho rivisto quel foglio con la mia grafia, è stato emozionante. Quando Tavullia ha capito che questo andava forte è cominciato un clima di festa, era ciò che il paese voleva e si meritava per tutto quello che aveva dato per i motori prima di Vale”.
Successivamente Filippo Carloni domanda a Uccio delle litigate con Vale: “Io sono testa calda, lui è intelligente, abbiamo sempre cercato di evitare lo scontro. In qualche gara, quando secondo me sbagliava, mi dispiaceva e glielo dicevo in maniera animata, ma finiva lì il battibecco. L’unica litigata seria che abbiamo fatto è stata a 16 anni per una ragazza. Mi piaceva da matti, ma a lei piaceva lui. Per me è stato uno shock e mi sono girate le scatole. Sono cose che adesso fanno ridere”. Il discorso torna subito sulla pista: “Fino alla 250cc è stato tutto molto bello, veloce. Io ero tifoso di Capirossi e di colpo mi ritrovavo Vale che spesso lo fregava. Il paddock era pane e mortadella, poi con l’arrivo del quattro tempi è cambiato un po’ tutto. Nel 1999, anno strabiliante, cominciavamo a vedere un po’ di uomini Honda attorno a Vale. Ci fu un incontro molto importante Barcellona tra Graziano e Carlo Florenzano. Avevamo un piccolo camper e dopo le prove io e Caroni siamo caduti in un pisolino clamoroso, non sapevamo dell’incontro di Graziano, forse uno dei più importanti della carriera di Vale. Ci picchiano sulla porta, ci svegliamo e poi vengo a sapere che l’incontro è andato bene. Cominciavo a nasare il grande salto, però proponevo a Vale il passaggio in 500 e lui mi rispondeva sempre ‘io non firmo fino quando non vinco la 250cc, se non vinco il titolo nel 2000 resto in 250cc’. Alla fine ha dovuto firmare nel corso della stagione e poi gli è toccato vincere tutte le gare. Fece un pressing importante per portare Rossano Brazzi dalla 250cc alla 500cc. Rossano è stato il capotecnico che ci ha svezzati. Se mi vedevano dopo mezzanotte nel paddock glielo andavano a dire e io il giorno dopo non entravo nel box. Non volle passare con noi in 500cc per via dei troppi viaggi. Intanto accade che Doohan si fa male e Jeremy Burgess dice alla Honda che sarebbe andato avanti solo con Valentino Rossi. Jeremy aveva vinto tutto e non aveva voglia di andare in giro per il mondo senza un ragazzo che lo stimolasse”.
Gli albori del rapporto tra Rossi e Burgess, accoppiata storica che poi avrebbe vinto sette titoli mondiali in dieci anni, meritano un paragrafo a sé. La precisione con la quale Uccio trasmette certi dettagli è impressionante: “Primo test in 500 con la HRC a Jerez nel novembre 1999. Arriviamo la mattina in circuito e non c’è nessuno. Poi ad un certo punto vediamo questo furgoncino bianco, dal quale scendono Burgess e Bernard, il meccanico storico di Rainey che poi avrebbe fatto 20 anni con noi e che adesso è con Quartararo. Hanno aperto il furgoncino e scaricato quattro pannelli dei box, una cassettiera delle chiavi e la Honda 500. Che momento (Uccio ancora oggi resta a bocca aperta ripensando alla Honda NSR 500). Jeremy è arrivato lì e si è presentato per la prima volta, penso di aver capito solo il suo cognome. Mi ricordo il suo maglioncino a rombi neri e marroni, i jeans della Levi’s tirati su e le Timberland coi calzettini bianchi che spuntavano. Coca-Cola light in mano, docciato, ma al mattino non faceva a tempo ad asciugarsi i capelli, allora li vedevi tutti bagnati, tirati indietro con il pettine. Dopo il primo giorno, appena resto un attimo da solo con Vale, gli chiedo come sia andata davvero. Mi dice «Uccio, questa faccio fatica a guidarla, non riesco a tenerla per terra, esco dalla 5 e mi si impenna sempre». I gli rispondo «stiamo calmi, è il primo giorno, siamo a due secondi, dai». Il secondo giorno Vale fa gli stessi tempi di Doohan. Burgess, anti-entusiasta per definizione, era su di giri. Molto più gasato rispetto a Phillip Island 2001, quando a fine gara vinciamo il Mondiale, lui chiude la cartellina e dice solo ‘good job’, a bassa voce. Una scena che nel nostro box è passata alla storia”.
Della stagione 2003, in cui Rossi domina il campionato vincendo nove gare, Uccio ha un pessimo ricordo: “Un periodo brutto. Con la Honda vincevamo tutto, tornavamo nel box e tutti i giapponesi avevano i musi lunghi. Sembrava gli dessimo fastidio. Il super capo Kouji Nakajima, con la barbona bianca, una delle persone più stro*ze che abbia mai conosciuto, diceva che con quella moto avrebbe vinto chiunque, che Valentino era un dipendente della Honda come tutti gli altri. Io di giapponesi ne ho conosciuti tanti, sono fighi, ma questo era un po’ più antipatico. In parallelo c’era il forcing di Davide Brivio, e i giapponesi ad un certo punto hanno capito che Vale non avrebbe rinnovato. Di norma andavamo Motegi, da Tokyo, in maniera indipendente, con la nostra macchina. Per quel Motegi 2003 invece ci viene a prendere Carlo Fiorani in aeroporto, a Tokyo. Facciamo il viaggio con lui, ci dice che in Honda c’è malumore per il ritardo sulla firma del contratto. Carlo è un grande, lo saluto, ma quella volta ci attacca una pezza incredibile. Poi il giovedì torna da noi, nel paddock, ci porta questo contrattone e dice a Vale che se non lo avesse firmato entro la fine del weekend per lui non ci sarebbe stato più posto in Honda. Vale prende il contratto, lo appoggia sul frigo. Dopo qualche giorno Carlo torna a prendere il contratto, che è ancora sul frigo. Da lì la Honda ha capito che saremmo andati via, ma non è stato un bel momento”.
Impossibile non allacciarsi all’epocale trasferimento in Yamaha: “Se avevamo paura di lasciare quella Honda? Il fatto è che vedevo Vale che non si divertiva più, non si concentrava più come prima, tanto è vero che a volte prendevamo la paga da Ukawa. Avevo più paura del fatto che lui perdesse il suo tocco, che non sarebbero più arrivati risultati, nemmeno con la Honda. Quando Brivio ci ha incontrati per la prima volta io mi sono convinto, avrei firmato seduta stante dopo la primissima chiacchierata, Vale invece era più riflessivo. Davide mi piaceva, mi piaceva l’energia che aveva nei nostri confronti, mi piaceva che ci volesse bene, che fosse caloroso. Ci organizza un incontro super segreto a Donington 2003 per vedere la moto. Andiamo incappucciati come due ladri davanti al box Yamaha, entriamo e vediamo la moto 2003 di Checa. La Honda era un gioiellino, nel box Yamaha c’erano i fili a penzoloni. È stata una scena quasi tragica, però poi ci siamo convinti lo stesso. Intanto Biaggi fa il passaggio inverso, nell’inverno 2003 prova la Honda e gira con tempi record. Noi intanto eravamo a casa, perché fino al 31 dicembre 2003 la Honda ci aveva impedito di provare la Yamaha. Dovevate vedere Vale, un pitbull in gabbia. Poi ad inizio 2004, in Malesia, Vale fa il primo run con la Yamaha, torna al box e dice ‘ragazzi, questa moto non va mica male’. Penso che due o tre uomini Yamaha siano svenuti. Quando alla sera ha guardato me e mi ha fatto ‘Uccio, ti dirò…’ io vi giuro che ho pensato che si potesse fare. Che se non avessimo vinto all’esordio avremmo vinto la seconda gara. Poi nel corso dell’anno è arrivato Furusawa, hanno investito, hanno cambiato la struttura del motore. Praticamente la Yamaha fece tutto quello che ci promise Brivio”.
Si passa al tema rivalità. Carloni incalza: “La peggiore nemmeno te la chiedo“. Uccio è lapidario: “Quella non è nemmeno un rivalità”. Il riferimento, inutile specificarlo, va a Marc Marquez. “La rivalità più bella, più sana e genuina – riprende rapidamente Uccio - è stata con Biaggi. Era il dio in Italia, era sempre in televisione, aveva vinto tre titoli, scegliendo di mollare l’Aprilia 250cc nel ’97 per andare con la meno quotata Honda e vincere lo stesso. Nel ’98 debutta in 500 e vince all’esordio a Suzuka, davanti a Doohan, tanto di cappello. Fin lì era una rivalità a distanza, tra categorie diverse, ma sapevo che prima o poi sarebbe arrivato lo scontro. Il 2001 è stato bellissimo, verace, con tanti sfottò, ma con una stima reciproca di fondo”.
Il cerchio dell’intervista si chiude, ma le storie da raccontare sarebbero (e saranno) ancora tantissime: “Come ho vissuto l’anno del ritiro? Male. Sapevo che prima o poi sarebbe arrivato il momento. Ma quello è stato un anno abbastanza faticoso. Le cose non venivano, sapevamo di smettere e dovevamo solamente arrivare alla fine. Ogni gara che passava ero contento, perché comunque era giusto arrivare alla fine. Dall’altra parte ero scontento, perché sapevo che stava finendo un’era e che ci sarebbe stato un cambio di vita alle porte. Oh, io da 17 anni fino quando ne avevo 42, nel 2021, ho fatto quello. È stato un cambiamento importante per me che sono emotivo, Vale lo è molto meno. Nel 2022 ho patito, perché continuavo a cercare Vale nei monitor. Non vivere le gare con lui, nel motorhome, cosa che santa madre abbiamo fatto per venticinque anni, è stato un bel cambiamento, che ho accusato. Anche perché mi è toccato cominciare a lavorare davvero (ride). Io di mio la pressione non la sento. La sento quando cammino per strada, quando la gente mi ferma e mi dice ‘oh che lavoro che state facendo, siete l’eredità di Vale, siete l’Italia delle moto’. Da lì vado a casa e mi rendo conto, perché mi fermano dal bambino di 4 anni alla signora di 70. È una pressione positiva, perché quando Vale ha smesso cosa potevi fare se non un team con dei ragazzi che avessero un po’ di Vale dentro? La nostra missione doveva essere quella, abbiamo cominciato nel 2013 da un foglio bianco. Secondo me tra l’Academy e il Team è stato fatto proprio un bel lavoro, un lavoro che percepisci dalla signora o dal bambino, perché sono loro quelli veri, quelli che ti dicono la verità”.