“Erasmo Iacovone… Ovvero il destino di Taranto: o le cose vanno male o, se vanno bene, stanno per trasformarsi in tragedia”. Queste sono le parole che Cosimo Argentina, il miglior scrittore contemporaneo di Taranto e verosimilmente uno dei più tosti narratori italiani in circolazione, fa dire al protagonista del suo romanzo Vicolo dell’Acciaio, tale Mino Palata, e che sintetizzano quello che è stato e quello che è Erasmo Iacovone per Taranto, città e squadra sportiva. Erasmo Iacovone, attaccante vecchia maniera, nato nel 1952 a Capracotta, è morto 45 anni fa percorrendo una complanare tra Taranto e San Giorgio Jonico, in una fredda notte di febbraio, molto simile a questi giorni di gelo artico, mentre tornava in macchina da una cena, colpito in pieno da un’Alfa GT 2000 guidata da un pregiudicato locale che aveva rubato il mezzo e stava scappando dopo aver forzato un posto di blocco. Iacovone viene sbalzato fuori per l’impatto.
Di cosa sono fatti i miti, oggi che tutto è verificabile, tracciabile, inquadrabile con una fotocamera che scannerizza il QRcode? Affidarsi alle statistiche renderebbe Erasmo un giocatore praticamente comune: 47 presenze, 16 reti. Il tutto accaduto ben quarantacinque anni fa. Quasi due generazioni di differenza con quel giocatore, con quel calcio. Qualcosa, forse, da dimenticare. Ma le leggende nascono da strati di vissuto, da lacrime ed emozioni, dalle percezioni soggettive che diventano un rito condiviso difficile da smentire. Il mito di Iacovone è fatto da scritte a spray sui muri della città. Striscioni e sciarpate. Cori lanciati dalle gradinate sporche e vissute. Lo stadio comunale che porta il suo nome. Filmati sbiaditi, racconti delle generazioni precedenti come quel pallonetto micidiale che Iacovone infilò alla squadra rivale del Taranto per eccellenza, il Bari. “Iacovone sembrava che c’aveva le molle sotto i tacchetti degli scarpini invece delle bullonate, per quanto zumpava in alto”, ti dice tuo nonno, tuo padre rievoca la trasferta a Pistoia in cui Iacovone segnò l’ultima rete con il Taranto, l’ultima della sua carriera, il 29 gennaio 1978.
Nel 1977-1978 l’Italia era come una immensa friggitrice fuori controllo che riversava olio bollente ustionando tutto e tutti. Conflitti sociali, scandali politici, proiettili, rapimenti, bombe. A Taranto, città simbolo del meridionalismo industriale, dove gli operai siderurgici guadagnavano più degli insegnanti di ruolo, arrivavano solamente echi lontani del terrorismo, delle Brigate Rosse che sparavano, degli scontri di piazza. A Taranto c’era altro da seguire, erano altre le ansie. C’erano ventidue uomini con baffi e capigliature improbabili che ogni fine settimana, in serie B, portavano a casa risultati prendendo a calci un pallone. In ordine sparso, tra i quotati titolari: Zelico Petrovic il portiere slavo pazzo, Sergio Giovannone, Graziano Gori, Giorgio Fanti, Rodolfo Cimenti, Giorgio Nardello, Franco Selvaggi (futuro campione del mondo con l’Italia nell’82), Alessandro Turini, Stefano Dradi, Franco Panizza. Erasmo Iacovone. Non avevano paura di nessuno. Cesena, Como, Modena, Pistoiese, Bari, Sambenedettese: tutte cadute sotto i colpi del Taranto Calcio in quella stagione.
Una città abituata all’amaro in bocca, agli sbuffi esalati per malcelata sopportazione della sventura, alla salvezza da ischemia cerebrale strappata all’ultimo minuto, stava godendo dell’ipotetica prima promozione in serie A. “Iacovone segnava, Taranto sognava” recita un bel murales su un casolare sperduto nelle campagne alla periferia orientale. Iacovone faceva gol, i tifosi impazzivano. Lo voleva la Fiorentina, a Erasmo, ma l’allora presidente Giovanni Fico tenne duro e rifiutò la proposta gigliata. Poi, lo schianto. La botta. Come sempre è il destino di Taranto, per citare nuovamente Argentina. Muore Iacovone e la squadra Taranto Calcio scivola lentamente verso il centro classifica. Da quella stagione 77/78 ci sono state ben poche gioie sportive per i tarantini. Sociali, politiche ed economiche manco a parlarne, ma limitandosi al livello calcistico il Taranto ha conosciuto altri campionati di serie B, anni e anni di militanza in terza serie e parecchio dilettantismo.
Il blasone si è progressivamente eroso, come i muri esterni di una casa al mare che viene mangiata viva dalla salsedine e dal vento di ponente. Una marea di finali playoff perse, presidenti scorbutici, presidenti narcisisti, cordate societarie da circo scalcagnato, proprietà dispotiche, probabili e mai provati imbrogli. Poco e niente. Istanti di godimento perverso, la promozione in serie C strappa a giugno 2021 contro il Lavello. Ieri, Boccadamo ha segnato all’87esimo contro il Latina, riportando il Taranto alla vittoria dopo sei partite senza reti e senza vittorie. Ha esultato a vetrata in direzione della Curva Nord, il tempio del tifo rossoblù, ma le gradinate erano vuote: gli ultras contestano la gestione del presidente Giove, che non offrirebbe progettualità e visione da grande squadra, limitandosi a strappare provincialmente una salvezza di anno in anno e di utilizzare il Taranto per i propri interessi. Eppure viene da sorridere al pensiero che, proprio quarantacinque anni prima, Iacovone non riusciva a trovare il gol nel match casalingo contro la Cremonese, dovendosi accontentare di uno 0-0. Viene da sorridere, sì, chissà. Forse è stato un gesto, un segnale dall’alto, quel cross di Mastromonaco che termina sui piedi di Boccadamo che scaraventa la palla in rete. Chissà. Alla fine, di questo son fatti i miti. Il mito è idealizzazione e romanticismo, ma anche piccole reliquie tangibili. Come la fotografia di Erasmo con la cascacca rossoblù a strisce verticali, da passerella, il logo della Umbro, il pallone Adidas bianco e nero stretto tra le mani, lo sguardo un po’ divertito, un po’ riflessivo di chi sa che deve caricarsi sulle spalle le aspettative di duecentomila abitanti che ingoiano diossina e sputano benzoapirene, eppure non aspettano altro che la domenica per gioire ed esorcizzare la sorte di esser nati e vissuti nella città più affascinante e maledetta del Sud Italia. A distanza di 45 anni, a Taranto continuiamo a invocare e onorare Erasmo Iacovone. E così faremo, sempre e per sempre.