Il principio, in fondo, è sempre quello di Ecce Bombo, e non incoraggia ricordare che si tratta di un film di 45 anni fa. “Mi si nota di più se vengo e me ne sto in disparte o se non vengo per niente”, ed è la stessa cosa per la beneficenza: è peggio se la faccio e lo urlo Urbi et orbi o se non la faccio per niente? Tant’è, il bigottismo impera, e l’ultima polemica inutile è sul cachet sanremese di Chiara Ferragni che, ora, tutto il mondo sa essere destinato all’associazione D.I.RE, donne in rete contro la violenza, annuncio fatto con indosso un maglione d’ordinanza già messo in vendita, a quanto pare. Una cifra che si aggirerebbe sui 100 mila euro, “spicci per lei”, per dirla con Selvaggia Lucarelli secondo la quale “puntuale come ogni mossa mirata a lucidare la sua reputazione, il suo cachet di Sanremo andrà in beneficenza. Naturalmente scelta non fatta nel silenzio ma annunciata in una apposita conferenza stampa. E anche questa volta ‘ma che bravaaaaa’”. Che poi, a dirla tutta, è anche vero, e punto per punto la polemica di Lucarelli è centrata, perché i protagonisti dello show business una certa tendenza al charity washing ce l’hanno: la beneficenza in effetti migliora la reputazione e chi vive di comunicazione sa bene che se qualcosa non viene comunicato, di fatto, non esiste. Poi però sarebbe opportuno anche rendersi conto che uno la beneficenza, se la fa, la fa come vuole, basta che la faccia (e dire che nessuno è costretto), e vale tanto per chi guadagna cifre folli dallo show biz quanto per chi lo fa con lo sport.
Conferenze stampa di Lewis Hamilton a magnificare le sue iniziative di beneficenza, per dire, non ne risultano, sebbene abbia creato una fondazione che ne coordina l’attività. Eppure pochi mesi fa il Sunday Times aveva stilato una classifica, con i dati della ong Charities Aid Foundation, sui maggiori filantropi britannici e si è scoperto che il sette volte campione del mondo di Formula 1 nel 2022 aveva devoluto oltre 23 milioni di euro a favore, tra gli altri, di progetti a sostegno di integrazione, istruzione e lotta alla disoccupazione giovanile. Di Hamilton si sa che ha creato una fondazione che coordina tutte le varie attività benefiche. Sempre dai media, e non dal personaggio in sé, si è venuti a conoscenza negli anni di diverse donazioni benefiche operate da Valentino Rossi, da Mohammed Salah, da Sadio Mané, da numerosi sportivi e figure dello spettacolo.
Però, appunto, dirlo a favore di telecamera aumenta l’hype e fa più effetto rispetto a coloro che non si mostrano troppo. Dopo l’eliminazione del Portogallo dai Mondiali, Aldo Cazzullo vergò sul Corriere della Sera un pezzo nel quale, parlando di Cristiano Ronaldo, scrisse che “chi lo conosce dice che è una persona molto dolce e generosa. Certo è un narciso, innamorato di sé. Anche quando fa beneficenza, il suo ego è la misura di tutte le cose. Vede un bambino con la maglia numero 7 in un villaggio in Indonesia distrutto da un maremoto, chiama il suo agente e dice al suo agente «presto, dobbiamo costruire un villaggio nuovo». Vede la mamma guarita dal cancro e dice «presto, dobbiamo costruire un centro oncologico». Prende il Covid: «Presto, dobbiamo regalare posti in terapia intensiva»”. La beneficenza in forma di romanzo, ed ecco allora i plutocrati generosi,i campioni di solidarietà, i miti con il cuore buono e via di retorica. Quando invece, alla fine, si tratta di redistribuzione, utile e necessaria, ancorché spesso minima.