Valentino riesce a rendere originale anche l'annuncio di ciò che non avrebbe mai voluto pronunciare. Sono sufficienti una sedia, l'obiettivo di una telecamera e lui, che parla di fronte agli amici più stretti e ad un numero contingentato di giornalisti. Il momento lo immaginavamo diversamente, invece arriva inevitabile e figlio dei tempi, di un’epoca in cui tutto si incastra nel filtro di una mascherina. L'effetto, tuttavia, non cambia: dietro l'occhio di quella telecamera ci sono le emozioni di milioni di persone, nella maggior parte dei casi inumidite da lacrime.
Chi non piange è, appunto, lui. Sfanga la situazione con la consueta parlantina veloce, con il solito inglese che si parla tra i camper del paddock e con il sorriso di sempre, che della sua immagine senza casco è un connotato fisso. La voce non si rompe mai, anche quando l'occhio vispo tradisce, momentaneamente, una certa lucidità. Il vulcano di emozioni che si porta dentro lo tiene per sé; è la riservatezza simboleggiata da quella luna che, per 26 anni, è rimasta impressa su metà del suo casco.
Era il 5 agosto 2021. Un anno fa Valentino Rossi comunicava il ritiro nella sala conferenze di Zeltweg, Austria.
Tra le valli della Stiria il 46 sganciava un macigno, si liberava di un malloppo che, nel corso degli anni, aveva assunto le dimensioni di una montagna. Perché Valentino, per oltre un decennio, aveva resistito coriaceo alla fatidica domanda: “Ma quando smetti?”. Era sempre riuscito a tirare la staccata al tempo, che scorre inesorabile fissando limiti anagrafici. Limiti che il Dottore aveva ridefinito bucando le ere, plasmando le nuove generazioni di avversari e mezzi meccanici con un sapiente tocco di giallo fluo. Facendo credere al mondo che Valentino Rossi, con quel modo di fare lì – di sgonfiare le pesantezze aprendosi in una risata - potesse essere infinito. E l’unico peso, identificato in un timore, che Valentino confessava di avere, era appunto quello di scendere dalla sella e incamminarsi verso il futuro. Ma in un pomeriggio d’agosto al Red Bull Ring, a qualche settimana di distanza da una dolorosa rotolata nella ghiaia di Assen, Rossi era diventato consapevole. Di poter annunciare il ritiro distendendo le labbra con naturalezza. Di poter essere Valentino Rossi, futuro papà, anche nel momento che aveva sempre allontanato.
Dall’altra parte c’eravamo noi. A fissare lo schermo, immobili. Noi che, fino all’ultimo, avevamo sperato in una conferenza stampa per comunicare l’ennesima e ultima avventura, quella di Rossi che sarebbe tornato in Ducati, nel suo team, per affiancare il fratello Luca. Noi che abbiamo dovuto ricrederci alla prima frase: “I have decided to stop at the end of the season”. Noi che vedevamo Rossi sereno, ma non potevamo metabolizzare. Perché alla domanda - “Ma come sarà la domenica senza il 46?” – non c’era ancora una risposta. Noi, dopo un anno, abbiamo capito. Che la MotoGP è molto cambiata, e ce lo ha ribadito anche il Dovi. Che è il momento della risata innocente di Bezzecchi, di Matteo Flamigni capotecnico e non più telemetrista. Che questi ragazzi, alla domenica, ci tengono comunque incollati al televisore. Abbiamo constatato che sì – se avessimo l’opportunità di riavere Valentino in pista non ci penseremmo due volte – ma sarebbe solo frutto della punta più egoista e nostalgica del nostro carattere. Ci accorgiamo che è cambiato lui, siamo cambiati noi, ed è bello così. Oggi, mentre i piloti sono in pista a Silverstone, l'on board camera di Valentino Rossi è una camera da letto: il giroscopio è fisso, l'emozione è Giulietta.