Valentino Rossi è passato dal BSMT di Gianluca Gazzoli. Il Basement – che in inglese significa scantinato, seminterrato – è in realtà uno studio luminoso e ben arredato, sede di uno dei canali YouTube più famosi d’Italia. All’interno Gianluca registra interviste senza particolari limiti di tempo, a tu per tu con gli ospiti più disparati. Settimana scorsa c’era Max Pezzali, questa volta – di pari passo con la primavera – è arrivato Valentino Rossi. Cuffie ricoperte dai riccioli, felpa nera e un sorriso costante: “Non faccio più tante interviste perché non ho tanta voglia. O meglio, faccio solo quelle in cui penso di potermi divertire”.
Il Dottore diverte quando anche lui si diverte. È un’antica legge, valida sin dai tempi in cui il giallo ha cominciato a colorare la MotoGP, e rimasta immutata anche oggi che le ruote sono quattro. Il 46 ha appena concluso una due giorni di test a Monza, alla guida della BMW M4 GT3 con cui, tra un mese, comincerà la sua seconda stagione nel GT World Challenge Europe: “È un campionato in salute, un campionato di bastardi in senso buono. In macchina sono dei maledetti, sono peggio che in moto perché sulle quattro ruote sei chiuso in una gabbia e il contatto fa meno paura. Il pilota di macchine ti guarda come se tu fossi ancora un motociclista. Non so se si può chiamare pregiudizio, però uno dice ‘io faccio il pilota di macchine da tutta la vita, adesso questo che corre con le moto arriva e vuole battermi?’. Tutti sono molto agguerriti per tenermi dietro. È bello”.
Poi Valentino fa un passo indietro e parla degli ultimi anni in MotoGP. Per la prima volta Rossi colloca la decisione del ritiro in un giorno preciso, la collega ad un evento ben definito, fissato nella memoria degli appassionati. Accade tutto in una domenica di giugno, in cui il Dottore non scopre solamente di voler dire "basta" con le due ruote. La coincidenza è incredibile: “Negli ultimi anni in cui cominciavo a fare più fatica, con Carlo Casabianca (il preparatore atletico della VR46 Academy, ndr) ci dicevamo che avrei dovuto correre fin quando proprio non ce l’avrei più fatta, così da non avere rimpianti. Ci sono stati un sacco di piloti che hanno smesso troppo presto, ma poi non sono riusciti a stare lontani, sono tornati nel paddock e hanno fatto casino. Per quello poi quando ho smesso mi sono sentito bene. Io davvero ho deciso di smettere nella pausa estiva del 2021, dopo Assen. All’inizio del 2021 io volevo correre ancora, però ho detto ‘vediamo se sono ancora competitivo’. Assen era molto importante, indicativa, perché è sempre stata casa mia considerando che ci ho vinto dieci volte. Prima di partire per l’Olanda ero a pranzo con Francesca che dice ‘non mi va il caffè, strano perché lo prendo sempre. Magari faccio un test di gravidanza nei prossimi giorni’, mi ha avvisato prima di salutarmi. Poi sono partito per Assen e non è che pensassi al suo test, perché ero via. In Olanda andavo forte nelle prove, ero messo benino. Però poi in gara sono partito male e mi sono steso in una curva veloce mentre lottavo con Bastianini. Ho fatto un bel botto, ho distrutto la moto. Quando ero lì nella ghiaia un po' intontito ho capito che quello era un segnale chiaro. Comunque alla sera prendo l’aereo per tornare a casa e quando atterro dico alla Franci di venire giù a Cattolica per andare a cena, ma lei mi chiede di salire prima a casa a Tavullia. Lì ho pensato ‘c***o, mi sa che mi deve dire qualcosa’. È successo tutto insieme. Ho scoperto di diventare babbo il giorno in cui ho deciso di smettere di correre. In ogni caso adesso sono molto più a casa e mi godo Giulietta. Non invidio i nostri piloti che ripartono in questi giorni per andare alla prima gara. Mi chiedevo anche se una volta smesso di correre avrei comunque avuto voglia di andare a fare la classica giornata a Misano di allenamento con l’Academy. Ho scoperto che ho la stessa voglia, anzi forse adesso mi diverto pure di più”.
Gianluca a questo punto ne approfitta per chiedere al Dottore se la paura, e una prima idea di ritiro, non si fossero già presentate nelle settimane del terribile incidente di Marco Simoncelli a Sepang, nel 2011: “La morte di Marco è stata devastante, bruttissima. Una roba da rimanere per qualche mese senza sapere cosa fare. In quel momento non ho mai avuto la sensazione di voler smettere, in quei giorni mi mancava Marco, l’amico. Sportivamente non è cambiato tanto. Lì non ho avuto il sentore di paura, che invece ho avuto in Austria nel 2020, quando le moto di Zarco e Morbidelli sono passate a grande velocità vicinissime alla mia testa e a quella di Vinales. Lì pensi che anche se stai attento e cerchi di non fare il matto rischi comunque di trovarti nel posto sbagliato al momento sbagliato e sono c***i. Quel giorno i pensieri negativi, quelli brutti, li ho avuti. Ero anche dieci anni più grande. Per andare forte con la MotoGP bisogna essere un po' incoscienti. L’incoscienza è una cosa che hai di natura fino a 30 anni, forse un po' meno, e poi cominci a diventare sempre più cosciente. Non penso che questo sia stato un problema per i risultati della mia carriera, però in generale più diventi grande e più ci pensi”.
Entrando nel vivo dei 26 anni di carriera del Motomondiale, invece, il Dottore parla di tre episodi che lo hanno particolarmente colpito. Dalle tribune gialle in ogni dove, fino ad arrivare a Brad Pitt e Michael Jordan. Tre prospettive sintomatiche, che lasciano intendere come l’epopea del 46 abbia trasformato la concezione del motociclismo nel mondo: “È un grande onore il fatto che la gente alle piste indossi ancora le mie magliette. Non penso di essere stato solo un pilota che ha vinto tanto, ma di essere stato speciale per questo motivo. Per diversi anni ci sono state delle gare, e non solo in Italia, in cui quando entravo in pista la domenica mattina nel warm up, al primo giro, vedevo il 90% delle persone con le magliette gialle. Lì dici ‘cavolo, gli altri piloti cosa penseranno?’. Non si era mai vista prima una cosa del genere in MotoGP, e questo mi rende molto orgoglioso. Un’altra cosa bella è stata quando ho incontrato Brad Pitt e Michael Jordan. Io ero un po' emozionato prima di vederli, poi quando li ho visti davanti a me ho capito che anche loro erano un po' emozionati…pensa te! Soprattutto Brad, che nel 2015 a Silverstone mi ha anche portato fortuna. Jordan invece una volta è venuto a Valencia; l’ho portato a fare quattro traversi con l’M5. Il mio motorhome era troppo piccolo per lui, era sempre chinato. A Laguna Seca invece, nel 2005, abbiamo fatto una festa e c’erano entrambi. MJ fumava il sigaro e regalava le Nike a tutti quelli che non le avevano. Che bega. Colin Edwards portava le Adidas, Michael Jordan gliele ha levate e gli ha regalato un paio di Nike. Ma Colin non era convintissimo”.
Valentino Rossi ha portato il motociclismo nelle case della gente a partire dal lontano 1997, anno delle prime scenette. Goliardie, un modo sfacciato di non prendersi troppo sul serio, che l’Italia ha da subito apprezzato. Il Dottore conserva ancora alcuni retroscena inediti sui suoi festeggiamenti più memorabili: “La prima scenetta è stata la bambola gonfiabile al Mugello nel 1997, ma io volevo solo fare il giro con la bambola, non volevo che venisse scritto ‘Skiffer’. In quel momento stavano uscendo alcune foto di Biaggi in compagnia di Naomi Campbell, ma io non ero ancora rivale di Max, perché lui correva in 250cc. Quando la cosa della Schiffer è stata strumentalizzata contro Biaggi io mi sono anche incazzato coi miei amici, perché ‘Schiffer’ era stato scritto a mia insaputa e non ce n’era bisogno. Il pollo Osvaldo invece, con il mio amico Gabbia che nel giro d’onore di Jerez ’98 è salito in moto con me vestito da pollo, era tutta una gag fondata su uno sponsor finto. Nella nostra partita di calcetto scapoli-ammogliati, che noi a Tavullia facciamo da 20 anni, quando perdevi gli ammogliati (allora ero negli scapoli, ride, ndr) per sfotterti ti davano questa maglietta col pollo. A Imola io avevo vinto con la 250cc, Flavio Fratesi del fan club mi ha dato questa maglietta a caso, io l’ho messa nella tuta e sono andato sul podio. Poi nelle interviste l’ho tirata fuori e ho detto ‘devo ringraziare questo sponsor che ha sempre creduto in me’. Da lì è partita la bega dei giornalisti che volevano intervistare Osvaldo. Il primo è stato Angeletti della Rai, che per due mesi mi ha tampinato chiedendo di intervistare Osvaldo nonostante glielo sconsigliassi. Abbiamo fatto una polleria finta, con un Osvaldo finto che lui ha intervistato”.
Non poteva mancare un passaggio sui momenti più difficili della carriera del 46. Valentino torna a parlare del biennio Ducati, di Marc Marquez e dell’amaro finale del 2015 con una consapevolezza in parte nuova, in parte inalterata: “Se io adesso penso a quelle ultime tre gare del 2015 ho esattamente la stessa sensazione di quando ho tagliato il traguardo a Valencia, e sono passati 8 anni. È una ferita profonda. Sarebbe stata una grande battaglia con Lorenzo alla fine, avrei potuto vincere io come lui. Perderlo normalmente in pista sarebbe stato molto meglio, perché comunque era stata un’annata stellare. Poi è stata una cosa annunciata, si sapeva che Marquez avrebbe aiutato Lorenzo, ma l’organizzazione non è riuscita a controllarlo. Dopo la gara in Malesia pensavo che a Valencia facessero partire lui per ultimo, invece hanno fatto partire me ultimo. Nella riunione nel post Sepang con la Direzione Gara e con anche Marquez presente, io ho detto chiaramente ‘Marc arriverà a Valencia, farà da guardaspalle a Lorenzo per tutta la gara, alla fine non lo fregherà e farà perdere il mondiale a me’. Loro mi guardavano come se fossi matto, invece poi è andata esattamente come avevo previsto. Andava gestita meglio. Durante quella riunione ho anche detto a Marc ‘Ti rendi conto che stai facendo una figura di merda e che ti ricorderanno sempre per questa cosa? Vale la pena fare questo per farmi perdere il Mondiale?’. Marc mi guardava assente, con lo sguardo perso, non rispondeva. Comunque se quell’anno avessi vinto il decimo titolo avrei continuato. Il rischio che smettessi dopo i due anni in Ducati era decisamente maggiore. Nel 2011 e nel 2012 andavo alle interviste come se dovessi affrontare il mio patibolo. Io mi immaginavo di entrare in sala conferenza con la croce (ride, ndr), la appendevo dietro la mia sieda, vedevo una trentina di giornalisti davanti a me pronti a stuzzicarmi e prima di cominciare mi dicevo ‘vai, sono pronto!’.
Infine Valentino non disdegna un paragone tra la comunicazione odierna, con i piloti per forza di cose influenzati dai social network, e la libertà di parola dei cari vecchi tempi: “Prima che arrivassero i social si poteva essere più diretti. Difficilmente, oggi, qualcuno critica apertamente un avversario. È autoprotezione; se oggi nelle interviste dici davvero quello che pensi sugli altri, sai già che ti tartasseranno per settimane, e alla fine ne uscirai tu sfinito. A volte vedi addirittura un pilota che, appena il compagno di squadra va via, gli fa un gran post si Instagram, in cui scrive che è stato bellissimo condividere box ed esperienze. Invece sai che se potessero si darebbero una coltellata. I social hanno aumentato questo processo di ipocrisia. Prima non era così, non c’era questa attenzione sul più minimo accento che pronunciavi. Nel 2008 ad esempio c’è stato il testa a testa tra me e Stoner, entrambi ad armi pari con le Bridgestone. Casey aveva iniziato bene, lo avevo un po' rimontato ma poi ad un certo punto lui ha vinto 3 gare di fila. Dopodiché in un’intervista ha detto ‘Quest’anno batto di nuovo Valentino, vinco io’. Quella pagina di Motosprint, con quel titolo lì, l’ho appesa alla parete del motorhome fino alla fine della stagione, per caricarmi. Il 2008 è stato figo, perché alla fine del 2007, per la prima volta in carriera, non ero sicuro di riuscire a vincere nuovamente un mondiale. L’impresa più bella comunque resta il 2004, che storia”.