Era stato annunciato, Valentino Rossi a Valencia, e lui ha mantenuto la parola: a un anno dal ritiro lo abbiamo visto lì, a bordo pista, a guardare quello che potrebbe essere il primo titolo di un pilota italiano dopo il 2009. Pilota che, inutile dirlo, arriva dritto dalla sua Academy. Valentino arriva nel camion di Sky a programma iniziato in tuta grigia come Kanye West: lo fanno sedere, le prime domande escono un po’ timidamente perché non è chiaro a nessuno quanto resterà lì. Poi prende il ritmo, si diverte anche lui e quando finisce il programma vuole dire “un’ultima cosa”. Guarda i monitor, presta gli auricolari a Meda che gli è seduto a fianco. È Valentino Rossi che racconta questo suo anno, il primo dopo un quarto di secolo a fare il pilota di macchine e non di moto. Vale parla con i suoi piloti dallo studio, da Pecco Bagnaia (“ho capito che mentiva quando mi ha detto che dorme la notte”) ai piloti della VR46, con Bezzecchi a cui ha preso fuoco la moto (“e lì vedi proprio il contatore dei danni che sale”). Ne è uscita un’intervista lunga, bella, spontanea: qui alcuni dei passaggi più interessanti.
La prima domanda, anche stavolta, è per il Valentino pilota: “Quest’anno ho corso con l’Audi, ma l’anno prossimo sarò un pilota ufficiale BMW. Il mio team (il belga WRT, ndr) era da 15 anni con l’Audi, però non si sono messi d’accordo quindi corriamo con la BMW. L’ho provata, è bella. Una macchina molto moderna, biturbo… Più grande dell’Audi ma forse un po’ più facile da guidare. La Hypercar per la 24 Ore di Le Mans? Mi piacerebbe provarla, bisognerebbe organizzare un test. Poi per correre bisognerà vedere quanto sarò veloce”. La seconda invece, la fanno al Valentino padre: “La Giulietta è in formissima, vi saluta. Guardiamo sempre le gare e le prove insieme ed è simpaticissima”.
Poi si arriva a parlare di Valencia, di quello che questo circuito significa per lui: “È bello tornare qui perché Valencia è una pista molto importante per tutti i piloti di moto perché è l’ultima, per tanti motivi. L’anno scorso è stato bello. Era un weekend di cui ero terrorizzato, l’ultimo da pilota, sono sempre stato terrorizzato di quello che sarebbe potuto succedere e ho sempre pensato di non venire proprio. Tipo sparire il martedì o il mercoledì. Invece è stato bello e sono anche andato forte, ho fatto una bella gara”.
La sua visione di questo weekend, invece, è piuttosto chiara: “Sulla carta è una situazione molto favorevole per Pecco. L’unica possibilità di sbagliare è che faccia zero e che Quartararo vinca. Però è l’ultima gara, è tosta. Ti si stringe, anche se hai 23 punti di vantaggio. È sicuramente meglio che averne 8 (lui nel 2015 ne aveva 7 su Lorenzo, ndr) però comunque devi finire. Ho provato un po’ a parlare con Pecco, parliamo sempre abbastanza… Ho provato questa volta a capire anche come sta psicologicamente. Però lui con me è molto… mi dice sempre tutto a posto. Mi ha detto anche che dorme ma è impossibile, è impossibile dormire. Io la mattina facevo fatica a svegliarmi, ma le notti prima di giocarti un mondiale fai molta fatica, si dormono due o tre ore, non di più. Comunque lo vedo che non è il solito Pecco, non è il Pecco top. A noi quello non ci serve, un Pecco da ottavo per noi andrebbe benissimo. Lo vedo in una situazione un po’ difficile ma è normale, è una cosa umana, è impossibile che non sia così. Secondo me la cosa giusta da fare è ammetterlo e cercare di fare il meglio”.
Su Fabio Quartararo invece non ha grossi dubbi: “Lui è in una condizione più facile perché non ha niente da perdere. A me però piacerebbe molto di più essere nella condizione di Bagnaia che di Quartararo (ride). Lui può solo vincere. Se può farlo? Secondo me sì. Pecco deve essere pronto al fatto che Fabio può essere lì davanti e vincere. Devi essere pronto”.
A questo punto Meda gli chiede di quando, nei suoi anni migliori, al posto di gestire il vantaggio finiva per correre con in testa soltanto la gara. Come a Phillip Island, due volte: “Mi è successo con la 500, che potevo fare ottavo con Biaggi e invece ho vinto, e invece con Gibernau bastava arrivargli dietro e invece l’ho battuto all’ultimo giro. Lì dipende come ti trovi. Se ce l’hai. Lì lo fai. Ma era una condizione diversa perché se avessi sbagliato ci sarebbero state altre due o tre gare, non era la fine. Anche perché controllare è un gran problema, devi cercare di andare al massimo tuo senza esagerare. Non puoi pensare di andare più piano, perché poi non funziona più niente ed è più facile fare degli errori. E poi sei in pista con gli altri, devi anche valutare quello”.
Chiaramente non manca una domanda sul VR46 Racing Team, di cui Rossi si è detto estremamente soddisfatto: “Siamo molto contenti di come è andato il team, è il primo anno ed entrambi i piloti hanno fatto gare bellissime. E poi il lavoro con l’Academy… abbiamo 4 piloti in MotoGP e c’è la possibilità di vincerlo per la prima volta, perché abbiamo vinto solo la Moto2 con Franco e Pecco. Domani è una giornata importante anche per noi”.
Segue una breve analisi tecnica sui valori in campo in cui Valentino lascia intendere che le corse stanno cambiando, soprattutto per i costruttori giapponesi che fino a qualche anno fa erano il riferimento assoluto in MotoGP: “La Yamaha punta sempre sul bilanciamento della moto, una moto abbastanza facile e la percorrenza di curva. Però adesso la distanza rispetto alla Ducati è importante. Devo dire che la Ducati negli ultimi anni ha messo in difficoltà chiunque, tutte le case giapponesi sono molto in difficoltà. In Ducati hanno un modo di lavorare aggressivo, tante moto in pista e i dati di tutti… Quindi hanno fatto un passo in avanti e le case giapponesi dovranno decidere, perché è cambiato il gioco: ci vogliono più soldi, più gente… avranno voglia? Devono capire che per vincere dovranno fare di più. La Ducati sta raccogliendo i frutti del lavoro di Dall’Igna e adesso secondo me è la miglior moto”.
Arriva puntuale anche la domanda che, da un anno, si stanno facendo più o meno tutti: ma a Valentino quanto mancherà la MotoGP? Lui risponde piuttosto onestamente, un po’ come aveva fatto nel 2021 in previsione di quello che sarebbe stato: “Da una parte no, va bene così. La mia carriera è stata lunghissima e ci ho provato fino alla fine, ho smesso un pelo tardi ma non me ne frega niente. Ci sono dei momenti in cui naturalmente mi manca, si. È normale. Correre in macchina mi aiuta un sacco - non è che lo faccio per disintossicarmi - però ritrovi esattamente le stesse sensazioni e avevo anche voglia e bisogno di un po’ più di tempo libero, di fare 10 o 12 gare all’anno invece di 23. Ormai fare la MotoGP è totale, tutto l’anno. Quello è cambiato un sacco, sono atleti veri. Io mi ricordo che passavano dei mesi, adesso no”.
Alla fine è lui ad aggiungere due parole: “Posso chiudere dicendo una cosa: c’è anche la lotta tra Bezzecchi e Marini per la 13° posizione in campionato, hanno 5 punti di distacco (111 Marini, 106 Bezzecchi) e mi spiace per Marini perché gli è mancata la zampata, un podio se lo meriterebbe. Però c’è anche questa cosa di chi arriva davanti tra i due, è anche una bella rivalità”.
Meda, in chiusura, gli chiede un ricordo della Clinica Mobile, che dal prossimo anno non sarà più in MotoGP per questioni economiche: “Ci sarebbe tanto da dire”, risponde Rossi. “Ho vissuto proprio gli anni d’oro della clinica del Dottorcosta, dove ti rimetteva in moto anche se eri tutto rotto. Però il più grande favore che mi ha fatto è che io ho ancora un babbo grazie alla Clinica Mobile: quel giorno che Graziano è caduto a Imola nel 1982, stavano provando questa novità, un giubbotto che davano ai dottori intorno alla pista, serviva per intubare sul posto un eventuale pilota caduto. Graziano è caduto alla curva a destra prima della Tosa, alla Villeneuve, e un dottore della Clinica Mobile lo ha salvato incubandolo sul posto. Più di questo non so cosa dire”.