Michael Jordan, Air Jordan. Il più grande per distacco. Per quello che ha vinto, per come ha ispirato gli altri, per cosa ha costruito dopo. Jordan ha cambiato lo sport ad ogni livello, fino al film che continua a portare ragazzi al campetto per assaggiare uno spicchio della palla arancione. Jordan ha esportato il basket nel mondo, l’ha reso di tutti. Ha cambiato le regole mettendo scarpe solo sue che adesso sono culto di strada. Ha reso l’NBA lo show, il business e il racconto stratificato che è oggi. Ecco, da qui il passaggio è facile, quasi scontato: Jordan come Rossi, Valentino Rossi come Michael Jordan.
Vale il suo sport l’ha cambiato. L’ha portato nel mondo, ha connesso le persone, spinto i ragazzi in pista. C’è un prima e un dopo Rossi e ci sarà sempre, non conta quanti fenomeni passeranno dalla griglia della domenica. Valentino non si è ritirato come Michael, che ha lasciato la pallacanestro a 31 anni per vincere nel baseball dopo la morte del padre: Jordan aveva già vinto tutto e cercava dell’altro, una storia nuova, un tributo alle passioni di quando era bambino. Con una punta di inevitabile supponenza per uno della sua caratura.
Vale da bambino correva in kart, poi Graziano capì che con le moto si risparmiava qualcosa e ci si divertiva lo stesso. Dopo aver consumato gli asfalti del mondo per un quarto di secolo anche il Doc è tornato a casa, a quello che avrebbe potuto fare sia da bambino che un po’ più avanti, quando Ferrari gli diede una monoposto a Fiorano come trampolino per quel grande salto che non fece mai. Ancora macchine, tornando all’inizio, dopo una vita in moto. Valentino, prima di andarsene, si è sincerato di aver messo tutto se stesso nella MotoGP, di non poter più vincere.
Michael si ritira dalla pallacanestro nel 1993, gioca a baseball nel ’94, nel ’95 spedisce un comunicato stampa con su scritto "I'm back”: sono tornato. Gioca con la quarantacinque e soffre, perché pur essendo ancora un buon giocatore non è più il fenomeno che la gente vuole vedere. Torna al 23, al numero di sempre, torna a dominare a vincere tutto più volte, fino al secondo ritiro nel 1999. Poi acquista i Wizards, gioca nei Wizards di cui è proprietario e si ritira per la terza volta nel 2003. Addicted, dipendente. Appassionato, quasi condannato a fare quella roba lì. Oggi Jordan è l’unico ex giocatore ad essere proprietario di una squadra NBA, gli Charlotte Hornets.
Ecco, in questo torna ad essere vicino ad un Rossi che a casa sua guarda anche le gare dei quindicenni nel campionato spagnolo e continua a correre in moto una volta a settimana. Valentino che ha voluto aprire le sue personalissime sliding door, vedere cosa sarebbe successo con un volante e senza il manubrio. Ad oggi, il sorriso più grande nell’endurance gliel’ha regalato un quinto posto a Misano. Il suo team, il WRT, ha appena rinunciato ad una partnership di oltre una decade con Audi per passare a BMW, rimettendo in discussione il suo contratto. Qualcuno dirà che è un dispiacere, che da Rossi ci si aspettava una stagione piena di vittorie, un’ingenuità che potrebbe pensare soltanto chi non conosce il Gran Turismo. La verità è che quello che hanno fatto loro, Rossi e Jordan, cambiando le regole seguite per una vita, li ha soltanto resi più grandi. Nati per fare quello ci si sono trovati dentro, a farlo meglio di chiunque altro: ne hanno dato prova concreta.
Mike prova il baseball, Mike torna al basket. Ha una sua squadra e gioca con quella, rendendola grande. Vale prova le auto, gli piacciono. Vale sa meglio del resto del mondo che non è la stessa cosa. E allora, dopo aver passeggiato sull’altro lato della luna e placato la curiosità, rivederlo in moto sarebbe grandioso. Il team di Valentino, dritto in Superbike o chissà in quale altro campionato, con altre cose da dire facendo l’effetto di sempre: uno spettacolo. Detto da lui verrebbe da ridere, da diventare pazzi: “Belle le macchine, ma torno in moto”. I’m back, come Michael Jordan.