"Nel 1998 ho vinto le ultime quattro gare di fila e alla fine, con Harada caduto e Capirossi squalificato, ho perso il Mondiale per un solo punto. Dal 1997 al 2006 ho fatto sempre o primo o secondo in classifica. Nel 2007 mi è dispiaciuto moltissimo chiudere terzo, ero a conoscenza della statistica. A Valencia sono caduto, rompendomi la mano. Avevo 24 punti di vantaggio su Pedrosa per il secondo posto – perché ormai Stoner aveva già vinto il Mondiale – e quel bastardo di Dani è andato a vincere l’ultima gara e mi ha ciu*ato per un punto. Pedrosa mi ha dato sempre un sacco di dispiaceri, anche perché lui con me ha sempre fatto quel pelo in più che non ha fatto contro gli altri. Comunque fino al 2009 è stato tutto molto bello, ma anche dopo in effetti” – Valentino Rossi, sul divano di Andrea Migno e Filippo Carloni, non lascia nulla di intentato. È particolarmente ispirato il 46, che parla a ruota libera, esaltandosi nel racconto, disinteressandosi del politicamente corretto, ripescando nella memoria statistiche e aneddoti rari. Scava in profondità, sì, ma col sorriso sulle labbra, partendo sempre – anche nel caso di queste parole su Pedrosa che, se decontestualizzate, potrebbero sembrare pesanti – dalla prospettiva del gioco, della leggerezza.
La cornice di Mig Babol è perfetta per mettere in scena questo copione. Anzi, il fattore più esaltante della prima parte dell’ospitata di Rossi nello studio di Andrea Migno (tranquilli, tra due settimane verrà pubblicata anche la seconda parte) coincide con l’abbattimento di una qualsiasi scaletta: Valentino si fa guidare dalle sensazioni, mischia i ricordi, apre parantesi gustosissime all’interno di discorsi che non avrebbero bisogno di postille per risultare attraenti. Quarantotto minuti di puntata in cui vengono tramandati fatti che potrebbero ispirare otto romanzi diversi; una trasmissione talmente carica e scorrevole che vorresti fosse il trailer di una serie tv infinita. Noi, per il momento, vi riferiamo tutto quello che ha detto Valentino Rossi nella prima tranche della sua intervista a Mig Babol.
“Come stai?”, è la prima domanda rivolata da Andrea Migno al suo mentore, che disegna il quadro della sua situazione famigliare: “Sto bene. Abbiamo da fare con la Gulietta, e poi c’è la Franci incinta della seconda bambina. Quindi, dai, è un momento abbastanza confusionario. Come va con Giulietta e con la seconda gravidanza? Sta andando molto bene, ci divertiamo da matti. Naturalmente avere un bambino è un qualcosa di abbastanza impegnativo che ti cambia i ritmi. Siamo molto curiosi di vedere cosa succederà con due. Sono assolutamente contento allo stesso modo, ma se avessi dovuto esprimere una preferenza, mi sarebbe piaciuto avere un maschio e una femmina per provare due esperienze diverse”. Il discorso viene ampliato, con Rossi che viene solleticato su quella che ormai è un’apprensione appartenente al passato: avere figli e, contemporaneamente, essere un pilota della MotoGP. “Io ho sempre avuto una gran paura di avere figli mentre correvo in moto, infatti ho cercato di non mettere incinta nessuna finché correvo in MotoGP (ride). Però poi è stato molto meglio di quanto mi aspettassi, secondo me è molto importante avere la persona giusta accanto. Io con la Franci mi sono trovato bene e, avendo un po’ di esperienza adesso che Giulietta ha due anni, mi sarebbe piaciuto averla anche un po’ prima”.
Si passa alla carriera automobilistica del 46, che spigliatamente riassume il suo 2024 agonistico e traccia la direzione per la prossima stagione: “Nel 2025 uscirà la BMW M4 GT3 Evo 2, quest’anno sono uscite altre macchine Evo 2, come Lamborghini e Ferrari, che hanno fatto uno step. Noi anche per questo motivo abbiamo fatto un po’ più di fatica, e poi diciamo che è una stagione di transizione per me perché ho provato a fare sia il WEC che in GTWCE, sia il Mondiale che l’Europeo diciamo, però l’anno prossimo dovrò scegliere uno dei due campionati, perché sinceramente quest’anno sto facendo troppe gare. Ne sto facendo sedici, l’anno prossimo ne vorrei fare dieci, massimo undici”. Che considerazione ha Rossi di sé stesso sulle quattro ruote? La risposta è secca: “Con le macchine sono un buon pilota, però con le moto sono più bravo”.
Così si torna alle origini del Rossi pilota di moto, tra le tappe di una trafila giovanile che lo ha portato anche alla scelta del numero di gara più famoso al mondo: “Kart, minimoto, kart, minimoto, poi solo minimoto, fino a quando nel 1992 ho provato la Cagiva Mito qui a Misano, lì ho pensato che avrei voluto fare quello sempre, per tutta la vita. Ovvero girare con una moto in una pista. In pista entri in un’altra dimensione, capisci che puoi spingere, non è più come fare le corse col motorino in panoramica, che comunque mi hanno insegnato tanto, è stato il nostro Tourist Trophy. Adesso la differenza è che in pausa pranzo si fa a fare una partita a padel invece di un su e giù in Panoramica. Ai primi tempi, quando andavo in minimoto, c’era Sanchini. Anche lui correva con 46, poi c’è stata un po’ di lotta e gliel’ho rubato. Io in quegli anni ero molto amico di Marco e Maurizio Pagano di Rimini. Andavamo spesso alle gare insieme, loro erano grandi appassionati di piloti giapponesi e mi avevano trasmesso questa cosa; una volta abbiamo guardato una gara in cui c’era questa wildcard a Suzuka con il 46, che andava fortissimo. È stato quello il momento in cui ho scelto definitivamente mio numero di gara”.
La questione successiva è piuttosto limpida: qual è stato il momento in cui Valentino Rossi ha cominciato ad avere consapevolezza di sé stesso, di ciò che stava diventando? Si va per gradi: “Per me correre il Mondiale – precisa il 46 - non dico fosse già un punto di arrivo, ma era un sogno. Sono andato subito forte, perché nel primo test a Jerez ho fatto nono, la prima gara in Malesia ho fatto sesto. Lì ho cominciato un po’ a sbo*rare, si può dire?”. Il signor Rossi, insieme allo studio, ride, poi fa retromarcia: “Cioè ho cominciato a dire 'ok, vai, adesso è tutto in discesa'. Il primo anno però ho capito che quello non era l’atteggiamento giusto, perché poi ho cominciato a fare errori, a sbagliare, mi sono fatto male. Alla fine ho fatto nono in classifica, vincendo una gara, ma ho subito capito che l’attitudine andasse cambiata. Alla prima vittoria in 500cc, invece, ho detto ‘cavolo, si può fare bene!’ (ride). Io nel 2000 non ho vinto il titolo solo perché non ci credevo. Nelle prime tre gare, mentre Roberts faceva 60 punti, io ne raccoglievo solo 2. Poi Roberts (Kenny Roberts Junior, ndr) ha vinto il Mondiale con 30 punti di vantaggio, quindi quel campionato l’ho buttato via proprio all’inizio. Nella prima gara faccio il giro veloce e mi stendo, alla seconda sono tra quelli che si giocano la vittoria e mi stendo, a Suzuka proprio non andavo invece. Ma se fossi arrivato con la testa di dire ‘lo vinciamo subito’, forse ce l’avrei fatta. Con la 500cc sono andato bene dal primo istante, un po’ come capita a quelli forti del Motocross duemmezzo che passano al 450: vai subito forte ma tiri delle grandi sassate”.
L’ospitata di Valentino Rossi a Mig Babol tocca uno dei suoi punti apicali quando il nove volte campione del mondo viene invitato a ripercorrere le difficoltà logistiche del primo test con la Honda NSR 500: “Jerez, fine del 1999, arrivo con due tute bellissime della Honda fatte da Aldo (Drudi, ndr), ma il mio manager si era messo d’accordo con l’Aprilia per utilizzare il loro materiale fino a fine anno. Quindi sono arrivato a Jerez con due tute Honda, ma non le potevo usare, contemporaneamente quelle dell’Aprilia le avevo lasciate a casa. Così sono andato da Marcellino Lucchi, pilota Aprilia, e mi sono fatto prestare la tuta da lui. Nel frattempo abbiamo chiamato Filippo Palazzi, un nostro amico di Tavullia, dicendogli ‘ti prendiamo un aereo, portaci la tuta dell’Aprilia’. Ma la cosa più bella è stata che prima di partire, invece di prendere la mia borsa col casco, ho preso la borsa con le visiere. Quindi a Jerez ho aperto la borsa e c’erano dentro otto visiere senza casco: momento di panico, anche perché già mi mancava la tuta. Eravamo io, Uccio e il mio manager di allora Gibo (Badioli, ndr), e a loro dico ‘nooo mi hanno rubato il casco in aeroporto, hanno aperto la borsa, mi hanno lasciato le visiere e si sono portati via il casco’. Quindi al primo giorno con la NSR 500 scesi in pista con la tuta di Marcellino Lucchi e il casco di Gregorio Lavilla, pilota Kawasaki SBK che aveva un AGV. Andai da lui e gli chiesi ‘oh mi hanno rubato il casco, mi presti il tuo?’. Io sapevo benissimo di non aver portato il casco, a Uccio poi l’ho detto (‘diobò me lo sono dimenticato’ e lui ‘ sei proprio suonato’), ma non volevo lo sapesse Gibo perché mi avrebbe fatto il cu*o. A parte questo, la prima volta con la 500cc è stato uno di quei momenti che non mi dimenticherò mai. Quando davi gas lei ti lanciava nella stratosfera. Mi ricordo anche la sensazione della pista che si stringeva e diventava piccolissima. Bello, poi però alla velocità ci fai l’abitudine. Nei successivi test di Phillip Island ero ancora veloce, tra i primi, ma alla Siberia ho dato la prima sassata vera con la 500cc. Lì arrivi da destra, acceleri, freni e poi sinistra: l’ho buttata dentro troppo forte e mi è partita dietro in ingresso. Mi ricordo come se fosse adesso la compressione dell’ammortizzatore, che mi ha lanciato a casa di Dio. Ho contato...1,2,3 e sbadabam (ride)! Poi mi sono dato una calmata”.
Successivamente, si apre un capitolo densissimo sulla rivalità con Max Biaggi, che Valentino rivaluta in maniera strepitosamente oggettiva: “Riguardando tutto, devo dire che è stata colpa mia. Lui mi stava antipatico perché tutti i piloti italiani di quel momento erano emiliani-romagnoli. Poi c’era Biaggi, di Roma, che era un po’ gagiotto, come si dice qui da noi. Io ero gran tifoso di Capirossi, mi piaceva molto Romboni, e Biaggi se la giocava con loro. Però io sono arrivato nel Mondiale e in tutte le interviste che mi facevano ripetevo questa cosa, quindi mi immagino lui che giustamente pensava ‘ma chi caz*o è questo qui che ha quattordici anni, viene qui, e parla di me?’. Lui, oltretutto, in quel momento era al top del motociclismo italiano, vinceva i Mondiali”.
I prodromi del dualismo sono nati in Giappone, cristallizzati in un paio di momenti che Rossi descrive ancora con incredibile dovizia di dettagli: “Nel 1997 a Suzuka, prima gara, lui passava alla Honda dopo aver vinto tre Mondiali di fila con l’Aprilia. Io, insieme a tanti altri, dicevo che Biaggi vinceva perché l’Aprilia andava meglio. Ci incontriamo a Suzuka nel ristorante italiano Campanella. In quegli anni lì andava di modo fare le cene coi giornalisti per ingraziarseli, per leccare un po’ il cu*o. Biaggi era seduto accanto a loro infatti. Io entro, passo di fianco al loro tavolo, e lui gagiotto dice ‘oh guarda, c’è il Max Biaggi della 125cc’. Io avevo lo zaino, tornavo dal circuito, e gli rispondo ‘guarda, sarai te il Valentino Rossi della 250cc’. Lì mi è venuta bene da matti, lui è rimasto malissimo davanti a tutti i giornalisti. Però devo dire che poco più tardi, a Motegi, ci siamo incontrati in ascensore. Io entro da solo in ascensore, bello tranquillo, e poi entrano Biaggi e Marino Laghi, il suo fisio. Si riaprono le porte dell’ascensore, io penso ‘caz*o..’, anche perché era un periodo in cui coi giornalisti ci davamo parecchio fastidio. Lui mi dice ‘ma perché mi rompi così i co*lioni, che cazzo fai?’. Non mi ricordo cosa gli ho risposto, ma devo dire che lì mi ha messo nell’angolo, l’ho accusata, mi ha fatto stare zitto. Da quella volta lì sono sempre stato attentissimo negli ascensori degli hotel (ride)”.
Dal 1997 si passa rapidamente al 2001, dal Giappone al rovente parco chiuso del Montmelò: “La semi scazzottata di Barcellona? Io arrivo nel 2000 in 500cc, mentre lui diceva ‘vedremo Rossi in 500…’. Però alla fine del primo anno arrivo davanti a lui in classifica. Non vorrei dire una bugia, ma io gli sono sempre arrivato davanti quando abbiamo corso insieme. Poi nel 2001 c’è stata la lotta vera; a Suzuka prova a stendermi due o tre volte subito. Poi provo il sorpasso all’esterno, lui mi dà la gomitata, allora lo ripasso e gli faccio il dito medio. Vinco, lui arriva secondo, andiamo avanti con questo trend fino a Barcellona. Al Montmelò sono in pole, parto male come sempre, mi tocco con Crivillé alla prima curva e rientro quindicesimo, mentre Biaggi è primo. Però a Barcellona andavo fortissimo, quindi da quindicesimo vengo su e raggiungo Biaggi. Facciamo una lotta all’ultimo sangue, lui già incrociava, era tosto nella sfida. Poi vinco. Dopo il parco chiuso, che era molto più rudimentale rispetto ad oggi, entriamo nella porticina da cui si accede al retropodio, uno stanzino in cui io mi metto a parlare con Gibo, il mio manager che era mezzo non vedente, e che mi dice ‘oh, hai fatto da matti, gran rimonta’, mentre io ovviamente ero tutto gasato. Arriva Biaggi che dà una spinta forte a Gibo, che si gira e dice ‘ma che ca*zo fai’. Biaggi così dà una manata a Gibo, facendogli volare via gli occhiali. Ma in maniera tosta, cattiva. Così poi Biaggi sale una scala a chiocciola e io gli dico ‘oh ma cosa a*zo fai?!’. Lui mi risponde ‘vieni, vieni su che ce ne sono anche per te’. Era tutto rosso, incazzato come una iena, aveva la bavetta alla bocca. Io lo guardo e penso ‘vacca boia, se vado su mi mena’. Però ormai sono lì, vado e produciamo un mezzo tafferuglio, in cui lui mi salta un po’ addosso e io – con ancora il casco in testa – gli do una mezza cascata. Tafferuglio, ma non ci siamo veramente menati. Anche perché ad un certo punto è arrivato a dividerci Carlo Fiorani, bello grosso, che nella mischia si è comunque preso una gomitata da Biaggi. È stato bello ripensandoci. Una rivalità che ha fatto appassionare un sacco di gente. Comunque c’è ancora un video lì del retropodio in cui io gli dico ‘vieni vieni dopo nel mio motorhome’. E lui risponde ‘aspettami, arrivo arrivo, così ci mettiamo a posto, qui c’è troppa gente’. Fortunatamente non è venuto (ride)”. Sipario. Ma Valentino Rossi, sul divano di Andrea Migno e Filippo Carloni, fortunatamente ci concederà un bis.