È il 2011, la MotoGP dei Fantastici Quattro (Rossi, Stoner, Lorenzo e Pedrosa) entra in una nuova fase della sua epopea col passaggio del 46 in Ducati, di Casey in Honda e col numero 1 sul cupolino della Yamaha del Porfuera. In Italia l'eccitazione per il binomio Rossi-Rossa raggiunge livelli elevatissimi nell'inverno che precede la gara inaugurale del Qatar, nonostante i test siano stati tutt'altro che incoraggianti per Valentino, che nelle interviste dispensa fiducia moderata nei miglioramenti condita da dosi non indifferenti di prudenza: con il passare dei giri la spalla recentemente operata non funziona come dovrebbe e lui, il nove volte campione del mondo, sulla Desmosedici GP11 con telaio in carbonio progettata da Filippo Preziosi non si è ancora trovato a suo agio.
L'entusiasmo non si placa nemmeno dopo la prima metà di stagione, anche perché - al contrario di quanto si possa pensare a posteriori - la primissima parte dell'avventura di Rossi in Ducati è tutt'altro che malvagia: eccetto il settimo posto al debutto in Qatar, Valentino firma due gare incoraggianti sull'asciutto di Barcellona e dell'Estoril (quinto ma con un gap non eccessivo dalla vetta), centra il podio sull'asfalto umidiccio di Le Mans e dilapida una probabilissima vittoria sotto la pioggia battente di Jerez, dove taglia il traguardo in quinta piazza dopo essere scivolato nei primi giri, trascinando con sé un arrabbiatissimo Stoner. Il 46 fatica spesso in qualifica, ma al termine del weekend di gara la sua è sempre - per distacco - la prima Ducati al traguardo. Lorenzo, Stoner e Pedrosa, là davanti, non si prendono, ma Rossi si inserisce costantemente nella lotta di tutto rispetto del secondo gruppetto di piloti, composto dalle Honda di Dovizioso e Simoncelli, dall'altra Yamaha ufficiale di Ben Spies e dalla Suzuki di Alvaro Bautista. Il tunnel non sembra così profondo, anzi la luce all'uscita in certi frangenti pare essere a portata di mano.
Il salto di qualità dovrebbe arrivare con una versione avveniristica della Desmosedici - la GP11.1 - che viene lanciata ad Assen con un forcellone nuovo, parti di telaio in alluminio di nipponica ispirazione e con un carico di aspettative enorme sul codone. Valentino la approva, ma da subito lascia intendere che gli aggiornamenti siano leggermente migliorativi, non sufficienti a colmare il divario con Honda e Yamaha e solo indicativi degli sforzi che dovranno essere compiuti per ripresentarsi all'inizio del nuovo anno con una Desmosedici "mille" (fino al 2011 le MotoGP erano di cilindarata 800cc) davvero rivoluzionaria. Il resto è storia: la seconda metà del 2011 per Rossi e la Rossa si trasforma nella brutta copia della prima, prima di un 2012 a dir poco fallimentare.
Dell'atmosfera che si respirava in quei mesi nei box di Borgo Panigale ne ha parlato Juan Martinez, allora capomeccanico della squadra di Nicky Hayden, nel corso del documentario "La vida en rojo", prodotto da DAZN Spagna: "In linea di massima la moto progettata da Filippo Preziosi era una moto pensata e concepita per non avere un telaio perimetrale, e l'arrivo di Valentino ha cambiato anche questa filosofia, un po' con l'intento di convertire una Ducati in una Yamaha. Ma alla fine ciò non accadde. Tecnicamente, questo telaio perimetrale in alluminio in un motore desmo che non era stato progettato e concepito per esso rendeva ergonomicamente la Ducati una moto piuttosto ampia, che grosse limitazioni per i piloti nel turning e nei cambi di direzione. Ci sono stati anche momenti di grande tensione, sono tremate le fondamenta della stessa azienza, anche perché sono state realizzate sette versioni di moto diverse in due anni per ottenere qualcosa con Rossi, ma alla fine hanno ottenuto solo due podi".