C'è stato un momento preciso, nell'incredibile storia di Valentino Rossi, in cui la carriera di una leggenda del motorsport avrebbe potuto prendere una strada diversa, mai vista in precedenza. Il giorno in cui il Dottore si mise alla guida della Ferrari F2004 per un test privato a Fiorano: nelle mani la monoposto di Michael Schumacher, quella con cui avrebbe poi corso - di lì a pochi giorni - il Gran Premio di Imola, e la stessa con cui vinse l'ultimo dei suoi sette titoli mondiali.
Una Rossa per Rossi, l'inizio di un sogno che non si concretizzò mai. A quel test Valentino stupì tutti, Michael Schumacher compreso. Ingegneri, meccanici e addetti ai lavori non si capacitavano di come - alla sua prima esperienza alla guida di una Formula 1 - Vale riuscisse ad andare così veloce.
Era competitivo, già adatto alla Formula 1. Sarebbe stata la mossa del secolo: portare il più grande pilota della MotoGP - italiano - in Formula 1, nella scuderia per eccellenza, la Ferrari.
Se ne parlò a lungo, anche negli anni successi, con altri test e altri rumors. Il papà di Graziano raccontò di un Valentino entusiasta: "Da una settimana si parlava di questo test, sicuramente Valentino lo sentiva molto, mi hanno detto i meccanici della Ferrari che era contento come un bambino. Sicuramente per lui è stata una prova bella e importante. È stato curioso vedere quanto veloce va la macchina e la sua capacità di portarla al limite".
Il sogno proseguì, senza però concretizzarsi mai. Il Dottore avrebbe dovuto ricominciare da zero, prendersi il rischio di non essere competitivo, di non raggiungere mai il livello di piloti che - da tutta la vita - si dedicavano solo alle quattro ruote. Restò in motoGP, in una storia diventata leggenda che ieri - in una conferenza straordinaria al Red Bull Ring - ha trovato la sua conclusione.
Per anni non si è saputo quanto ci andarono vicini, rivelazione fatta recentemente da Luca Cordero di Montezemolo: "C’è stato un momento nel quale abbiamo pensato di fargli fare prima un anno alla Sauber. Ma lui era intelligente, sapeva di essere il numero 1 in MotoGP e preferì continuare ad esserlo piuttosto che rischiare di essere il numero 4 o 5 nell’automobilismo. Fece anche altri test in seguito, ma più per amicizia".