Valentino Rossi ha passato la seconda parte di stagione - l’ultima, per lui - a raccontarsi al mondo, dalle televisioni ai giornali, lasciando pezzi di sé a chiunque, forse con l’intimo desiderio di restituire ai fan un po’ di quell’affetto che lo ha sempre accompagnato in 26 anni di carriera. Ad ogni intervista ha aggiunto qualcosa, che si trattasse di una (bellissima) chiacchierata di quattro minuti con Nico Cereghini o di un lungo speciale in diretta con Guido Meda, passando per Mediaset, Suzi Perry di BtSport e tanti altri. Con MCN, che gli ha dedicato uno speciale di quattro pagine, Rossi non è stato da meno, arrivando anche a ricordare Saddam Hussein. Ecco i passaggi più interessanti dell’intervista.
La prima domanda è sulle tre stagioni che più gli sono rimaste nel cuore: “Il 2001, perché era l’ultimo mondiale della 500 ed è stata una battaglia alla morte con Biaggi: bellissimo. Poi il 2004, che è cominciato con la mia vittoria al debutto con la Yamaha a Welkom, quello è stato il più bello. E poi anche il 2008, perché per molti ero già finito. Dicevano tutti che ero vecchio e che non avrei più vinto, invece sono passato a Bridgestone e ho battuto Casey Stoner. Tre piloti del passato con cui avrei corso? Mike Hailwood, Giacomo Agostini e Kevin Schwantz”.
Quando gli chiedono cosa l’abbia spinto a continuare a correre così a lungo, Valentino risponde senza troppi giri di parole: “La mia filosofia è molto semplice ed è strano che molta gente non la capisca, ma so anche che spesso il mio modo di pensare è diverso rispetto a tanta altra gente. Mi piace come mi sento in moto, la sensazione dopo una bella gara, l’adrenalina della vittoria e di andare sul podio. Tutto questo mi piace da matti. So bene però che alla fine il tempo batte tutti, purtroppo è così per ognuno di noi, ma ho lottato per renderla il più difficile possibile al tempo, questo è tutto. Ed è l’unico motivo per cui ho continuato a correre. Ho avuto una carriera lunghissima e fortunatamente ho vinto tante gare, molte delle quali indimenticabili, gioia pura. A volte me la ridevo anche dopo una settimana, dopo 10 giorni. Capitava che scoppiassi a ridere e la gente mi diceva ‘Ma che succede?’ e io così ‘Niente, sto ripensando alla gara’. Questo è quanto, finché mi sono divertito ho voluto correre. I primi pensieri sul ritiro sono cominciati due anni fa, ma anche nel 2020 non ero pronto a smettere. Ora però è la cosa giusta da fare anche se sono molto triste, avrei corso per altri 25 anni ma alla fine ha vinto il tempo. Comunque sono sempre stato un pilota e lo resterò per tutta la mia vita”.
Ecco perché, tutto sommato, è contento di aver continuato anche dopo gli anni migliori, contrariamente a chi - come Michael Jordan - ha dichiarato che, col senno di poi, avrebbe fatto meglio a ritirarsi prima: “Secondo me, quello che perdi nello smettere di fare quello che ti piace di più al mondo è più di quello che guadagni nello smettere all’apice della tua carriera. Anche perché non saprai mai se è veramente finita, perché nel 2013 quando sono tornato in Yamaha ero già finito per tutti, ma se non mi avessero rubato il mondiale del 2015 ne avrei vinto un altro. Sarebbe stato il decimo e avrebbe allungato la mia vita sportiva da vincente di almeno sei anni. Quindi no, non la penso come Jordan anche se lui per me è una leggenda. Ho voluto correre il più a lungo possibile, anche se ovviamente non mi piaceva finire dodicesimo. Ma se avessi voluto riturarmi all’apice della mia carriera avrei dovuto farlo molto tempo fa”.
A proposito di Jordan, protagonista del documentario The Last Dance, Valentino spiega che prima o poi ne verrà fatto anche uno su di lui: “Mi piacerebbe molto e probabilmente lo faremo, la mia storia è bellissima e ci sono tantissime cosa ancora da raccontare. Abbiamo tante immagini, anche private, di backstage, che non si sono mai viste”.
Poi, Rossi racconta il ritiro: “Ultimamente ne ho sempre avuto meno paura. Pensavo che sarebbe stato tutto molto noioso, mi piace la mia vita da atleta, allenarmi ogni giorno e prepararmi per un obiettivo. L’unica cosa che un po’ mi spaventa è non riuscire ad avere obiettivi ugualmente importanti. Ad un certo punto a Misano ho pensato che l’atmosfera fosse così bella che avrei potuto anche saltare le ultime due gare. Mi sono emozionato quando ho visto le Frecce Tricolori, è stato bello anche ricevere il premio alla carriera. Sono uno degli italiani più famosi al mondo e questo mi rende felice. Ho provato ad assaporare tutto, vorrei davvero ringraziare ognuno per il supporto durante la mia carriera. Che messaggio lascio? Ho dato sempre tutto per tutto il tempo per essere tra i migliori. In tanti non erano ancora nati quando ho cominciato a correre e a volte è davvero dura da capire per me, anche se mi rende molto orgoglioso. Non sta a me dire che sono come Micheal Jordan, ma sento un grande affetto. Se vado in Tailandia vedo il 46 sui motorini, è speciale. È diverso rispetto a quando avevo vent’anni, ai tempi la soffrivo: aveva un grande impatto sulla mia vita, adesso la vivo meglio. Comunque forse è questa la differenza tra me e gli altri piloti”.
Non manca nemmeno una frecciatina alla Yamaha, che a fine 2020 l’ha fatto passare al team satellite dopo 15 anni assieme: “Quest’anno ho fatto un passo indietro ma sento ancora il loro supporto. La decisione di portare Fabio nel team ufficiale era giusta, quella di scaricare me però si è rivelata sbagliata secondo me. Lui ha meritato il mondiale, non ha mai fatto errori e sono contento per lui e per la Yamaha. Se potessi cambiare una cosa della mia vita? Valencia 2006, perché lì ho buttato via un mondiale che avrei potuto vincere e raggiungere i 10 titoli anche con il furto del 2015”.
Si parla, durante l’intervista, anche del rapporto tra lui e il padre Graziano: “La nostra relazione è cambiata più o meno 15 anni fa, abbiamo cominciato ad andare più d’accordo. C’è stato un periodo, quando ero adolescente, in cui lui era calmo e io, d’altro lato, volevo farmi gli affari miei, litigavamo. Poi quando sono arrivato a 25 anni la nostra relazione è cambiata e ora andiamo d’accordo”.
In chiusura, Valentino spiega di aver tracciato la strada per gli altri fino a diventare un’icona: “Secondo me sono stato il primo pilota MotoGP moderno, perché sono stato il primo a fare tante cose che sono diventate una lezione per i piloti di oggi: io a vent’anni ero già in 500 e adesso il mio percorso viene seguito da tutti. Da quando ho annunciato il ritiro tutti volevano passare del tempo con me, la mia unica possibilità sarebbe stata sdoppiarmi! Il vero me a correre e ad inseguire i risultati, e poi un sosia a fare tutto il resto. Un po’ come Saddam Hussein, che aveva quattro o cinque finti Saddam!”
Come ultima cosa, a Valentino viene chiesto se è più eccitante vincere un mondiale o sapere che presto diventerà padre: “Beh, sapere che diventerò padre è più eccitante, ma vincere un titolo è pura adrenalina”. Una risposta così poteva darla solo lui.