Per 34 interminabili giri con le soft, cercando di avere ragione di una monoposto che non gli è congeniale, con quel posteriore che non ne vuole sapere di essere domato. Di estrarre il massimo da un pacchetto che su una pista come quella di Barcellona è rimasto nudo, spogliato di ogni possibile segnale positivo, che riesca a trarre in inganno chi ancora pensa che questa SF1000 possa non essere così male, dopotutto. È paradossale definire un settimo posto un’impresa per la Ferrari, ma il risultato nel GP di Spagna di Sebastian Vettel lo è eccome.
Perché il tedesco, finalmente, ha tirato fuori la grinta che ormai sembrava aver perso. Perché ha cercato di buttare il cuore oltre l’ostacolo, visto che da perdere non c’era assolutamente nulla. E perché finalmente Vettel si è anche un po’ incazzato via radio, seppur con fare bonario, con il suo ingegnere, che pochi giri prima gli aveva detto di spingere prima di una sosta, per poi proporgli di andare fino alla fine. E al diavolo tutte le insicurezze, Vettel ci ha provato eccome a restare appeso a quella quinta posizione fino alla fine della gara.
Oggi Sebastian Vettel si è ricordato di essere un quattro volte campione del mondo. Uno che se ci si mette è davvero capace di fare la differenza. L’ha detto pure lui, la sua SF1000 oggi era da decimo posto. Anche Charles Leclerc, prima che la sua monoposto decidesse di spegnersi alla chicane – forse pure lei stufa di un supplizio del genere – aveva arrancato. E il monegasco è apparso decisamente stanco di questa situazione, di una vettura che rispetto a quella dello scorso anno in qualifica è andata decisamente peggio a Montmelò. E la gara non è stata certo un carnevale di Rio.
Ma Vettel questa Ferrari se l’è presa sulle spalle, come un novello Atlante che sorregge il mondo. Un mondo che Sebastian ha tanto amato, che ha voluto con tutto se stesso, per coronare il sogno di bambino di ripetere le gesta del suo grande eroe, Michael Schumacher. E ora che tutte quelle speranze si sono sgretolate anche per colpa sua, non resta che concludere il percorso con la Rossa come il campione che è stato, che ancora è. Perché solo un campione eleva il materiale scadente che si ritrova per le mani, senza commettere errori.
E Vettel è riuscito in questa piccola, grande impresa nel momento peggiore, quando si rincorrono veloci le voci di un suo addio anticipato alla Ferrari. Ma lui alla Rossa ci vuole restare fino al termine della stagione, e ha fatto di tutto per portare il più in alto possibile quel Cavallino azzoppato della SF1000. Servendosi di una strategia rischiosa, perché una sosta è davvero poca cosa nel caldo afoso, bollente di un’inedita Barcellona ferragostana. E per lui il settimo posto non è stato un miraggio nel deserto: ci è riuscito davvero.
Ma Vettel ora deve fare tesoro di questo risultato, perché è lui il primo a doversi ricordare di essere un campione, di avere dentro di sé la forza di reagire alle avversità. Perché è l’unico modo per affrancarsi dalle difficoltà, per far vedere di essere meglio di una vettura indegna del suo talento e di quello di Charles Leclerc. E forse sono proprio loro due i Cavallini azzoppati, per colpa di una monoposto nata male e cresciuta forse peggio. Stizziti, ma indomiti: Vettel e Leclerc li vogliamo vedere entrambi così. Sono l’unica soddisfazione di una Ferrari pessima.