In Formula 1 il tuo compagno di squadra è il primo nemico: è quello con la tua stessa monoposto, l’unico con cui puoi veramente confrontarti ad armi pari. Tra Charles Leclerc e Sebastian Vettel la guerra per la supremazia in Ferrari non è mai davvero cominciata, visto che i due dichiarano di essere grandi amici, ma nei fatti è stata vivissima fin dall’arrivo della giovane promessa monegasca.
Ralf Schumacher ha recentemente dichiarato: “Leclerc ha reagito in modo molto più intelligente di Vettel al suo errore in pista. Charles è bravo e simpatico ma potrebbe farsi ancora più largo nel team. All’interno della squadra ha ucciso politicamente Sebastian in pochissimo tempo. È sorprendentemente maturo per la sua età”.
Una grande verità, terreno fertile per una riflessione più ampia: che cos’ha Leclerc che Vettel non ha (o non ha più)? Dove il monegasco riesce a battere, in modo così plateale, il suo compagno di squadra, una volta amatissimo?
Mentre si fanno sempre più insistenti le voci che vorrebbero il tedesco in Aston Martin nel 2021 al fianco di Lance Stroll, noi abbiamo provato a rispondere a queste domande.

In pista
C’è poco da dire, i dati parlano chiaro. Leclerc è arrivato in Ferrari come secondo pilota e il sedile da prima guida se lo è guadagnato da solo, con le unghie e con i denti. I team radio di inizio 2019 gli chiedevano di spostarsi, di lasciare passare il compagno di squadra, di lavorare per il bene della Ferrari regalando posizioni al campione di casa. A un anno di distanza sembra assurdo pensare a quegli ordini di scuderia. Lo scorso anno è stato Leclerc a riportare la Rossa alla vittoria, tra l’emozione di un weekend drammatico come quello di Spa, e poi ha definitivamente spazzato via l’avversario vincendo a Monza. E se vinci nella casa dei tifosi rossi, dopo quasi una decade di non vittorie, allora quel posto nel cuore della gente diventa tuo. Ha vinto di prepotenza, di intelligenza, di talento. Mentre il suo compagno di squadra si è - ancora una volta - dimostrato debole dal punto di vista psicologico. Certo, Vettel si è preso la sua rivincita conquistando il Gran Premio di Singapore, ma la rabbia di un Leclerc non agevolato durante la gara ha comunque spostato l’attenzione dal vincitore all’erede al trono.
Con l’inizio di questa nuova disastrosa stagione il monegasco sta continuando a dimostrare quale sia il pilota a cui affidarsi e, a uno così, si perdonano anche gli errori di foga di cui è stato protagonista. Sbagliato usare due pesi e due misure? Sicuramente sì, ma Leclerc ha dimostrato una maturità in pista che anche la mossa del peggior kamikaze gli è stata abbuonata in poche ore. Una maturità che sembra, incredibilmente, mancare al quattro volte campione del mondo con cui divide la scuderia.

Nei box
Immaginatevi di essere un meccanico Ferrari. Avete realizzato il sogno di lavorare in Formula 1 e siete nella scuderia più importante del mondo. Girate per gli autodromi con il grande carrozzone del motorsport, lavorate tante ore - tantissime - per realizzare una monoposto degna del nome che c’è scritto sopra. C’è solo un problema: quella monoposto non funziona. Colpa del team, della progettazione, della politica della scuderia. Colpa di tutti e mai colpa davvero di nessuno ma una cosa è certa: nei box c’è frustrazione. E immaginate di avere due piloti che, dopo solo due gare dall’inizio della stagione, combinano due errori. Il primo fa sempre il solito casino: quando c’è un duello in pista lui finisce per girarsi. Il secondo, quello su cui si è puntato tutto, con una partenza da mattatore impazzito colpisce il suo compagno di squadra portando a casa un doppio ritiro.
La differenza? Vettel dichiara di avere una monoposto troppo difficile da guidare ed è contento di essersi girato solo una volta. Alza le spalle, scarica la colpa su chi ha realizzato la macchina. Leclerc invece arriva dai giornalisti con la faccia del bambino che ancora è, scusandosi e prendendosi tutte le colpe. Non ci prova neanche a dire “pensavo di poter passare”, non trova scusanti, e a tutti verrebbe voglia di abbracciarlo e dirgli che va bene così. Poi va a scusarsi con tutti i meccanici del box, loro che avevano lavorato giorno e notte per portare gli aggiornamenti a una gara doppiamente interrotta al via, e lo fa con la tenerezza di un ragazzo impossibile da non amare.

Davanti ai microfoni
I musi lunghi non piacciono a nessuno. Già un tifoso della Ferrari si deve sorbire l’ennesima delusione in pista, l’ennesimo anno da perdenti, l’ennesima promessa di una vittoria che non arriverà… se poi pure il pilota colleziona dichiarazioni poco lusinghiere nei confronti della scuderia ai tifosi non resta che cercare la speranza altrove. Così mentre Vettel incolpa la macchina e se la prende con chi non ha voluto rinnovare il suo contratto, Leclerc - davanti ai microfoni - cerca il lato positivo, sorride, si fa vedere ottimista in una situazione tutt’altro che rosea.
Il monegasco sta facendo proprio quello che Vettel è riuscito a fare al suo arrivo in Ferrari: prendere una squadra spenta, demoralizzata, e conquistare l’amore di tutti con l’allegria del nuovo arrivato. Non dimentichiamoci che al suo arrivo alla Rossa, Sebastian Vettel era il grande nemico dei ferraristi. Il bambino prodigio in grado di strappare i mondiali a Fernando Alonso, l’arrogantello tedesco impossibile da battere.
Gli ci sono voluti cinque minuti per conquistare tutti, dal paddock (che amava follemente il vecchio Alonso) ai tifosi: ha imparato subito l’italiano, ha giurato eterno amore alla rossa, ha riportato il mito tedesco di matrice schumacherista in Ferrari. Un ragazzo a modo, mai eccessivo, che si è fatto spazio nel cuore degli italiani come il più grande dei tifosi.
Ora che ha perso lo smalto delle grandi promesse ha perso anche quel ruolo ed è rimasto il guscio vuoto di un pilota facilmente sostituibile. E poi Vettel ha un problema: non è un personaggio. Il suo poco interesse nei confronti della vita mondana e la grande attenzione per la sua privacy lo hanno reso il non-divo della Formula 1. Una bravissima persona, un ragazzo d’oro che ama la sua famiglia e la sua tranquillità, ma anche un pilota che non può reggere - nemmeno qui - il confronto con la personalità spumeggiante di quel nuovo, velocissimo, bambino prodigio.